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Don Bastoni, nuova vita ad Ascoli:
«Droga e festini? Sono stato scagionato
Grazie al vescovo che mi ha accolto»

L'INTERVISTA - In esclusiva per Cronache Picene, padre Alberto racconta per la prima volta la sua verità, a cinque anni dallo scandalo che lo travolse quando era parroco di Collevalenza: «Ho accettato di parlare per monsignor D'Ercole, criticato ingiustamente solo per avermi accolto». Oggi è vice parroco del Duomo.
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Padre Alberto Bastoni all’ingresso della Curia in un momento di relax

 

di Luca Capponi 

Sono passati più di 5 anni da quel gennaio del 2012, quando padre Alberto Bastoni, all’epoca parroco di Collevalenza (Perugia), fu trovato in possesso di alcune dosi di cocaina. Inevitabili lo scandalo e la bufera mediatica, rinforzati dalle accuse mosse al prelato, originario di Rimini, da un istruttore di pattinaggio e da un pusher: non solo droga, ma festini e frequentazioni omosessuali. Di questa brutta storia, il 53enne padre Bastoni, dal 2016 vice parroco del Duomo di Ascoli, non aveva mai parlato pubblicamente. Ha accettato di farlo, in esclusiva, con la redazione di Cronache Picene

Padre Bastoni, come sta?

«Da quando sono stato fermato dai carabinieri la mia vita è radicalmente cambiata. Nel giro di qualche ora ho perso tutto e sono rimasto solo con me stesso e la fede in Dio. E proprio la fede mi ha sostenuto tenendomi lontano da quello che poteva essere un disperato epilogo di fronte a una situazione che non solo ha compromesso la mia reputazione, ma che mi ha completamente spogliato di onorabilità, rispetto e dignità. Ho collaborato con le forze dell’ordine ma non ho accusato nessuno. Mi sono assunto le mie responsabilità anche per non fare del male a qualcuno. Se poi le cose sono andate diversamente è perché il giudice ha voluto sentire anche la mia versione dei fatti, versione che mi ha scagionato da qualsivoglia accusa o da possibili rinvii a giudizio».

Perché ha deciso di parlare proprio ora?

«E’ la prima volta che rilascio un’intervista. Lo faccio non per riabilitare la mia immagine o per far cessare i pesanti pettegolezzi nei miei riguardi. Vorrei offrire la mia testimonianza, nel desiderio, tra l’altro, di far apparire la figura del vescovo Giovanni D’Ercole che la gente conosce meno: un uomo di Dio, il cui impegno principale è quello di annunciare e testimoniare il Vangelo della carità e della Misericordia, in modo concreto. E’ lui, come dirò, che mi ha accolto come ha fatto con altri: la Chiesa ha bisogno di testimoni credibili per autenticità e chiarezza di posizione. Uomini pronti a rischiare di persona per aiutare gli altri e lontani da facili compromessi».

Ci può raccontare come è approdato ad Ascoli?

«Il mio cammino ascolano è iniziato nella parrocchia di Villa Pigna di Folignano ed è proseguito nella stessa Folignano dove, dopo due mesi di supplenza, i parrocchiani mi gradivano al punto da volermi come parroco. Da un anno, invece, sono vice in Duomo dove coordino l’attività pastorale sotto la guida di don Angelo Ciancotti. Presto anche servizio nella segreteria del vescovo. Forse la scelta di mettermi immediatamente sotto gli occhi di tutti non è casuale e fa parte del percorso di integrazione, lento e progressivo, in un contesto dove mi trovo molto bene, anche se le insinuazioni talvolta sono motivo di sofferenza e gli attacchi mi addolorano. Non sono stato accolto come un profugo o un esule disperato ma dopo che la richiesta di proseguire il mio ministero sacerdotale è stata sottoposta e accettata dal Consiglio Presbiterale e dal Collegio dei Consultori. Quindi, una scelta consapevole. Conto, nei tempi e nei modi che la Chiesa suggerirà, di approdare qui definitivamente e mettermi al completo servizio della chiesa locale. In effetti la mia non è una seconda possibilità ma un diverso proseguimento della prima poiché non sono mai stato sospeso né mi sono state inflitte sanzioni canoniche gravi».

Della storia che l’ha coinvolta si leggono tante cose sul web e, ai tempi, si lessero anche sui giornali. Qual è la sua versione?

«E’ ovvio che questo è dovuto anche alla natura dei fatti che mi hanno coinvolto e di cui si ha traccia sul web. Se fossero stati così gravi, sarei stato punito in modo proporzionato, specie in presenza di azioni giudiziarie nei miei riguardi. Sicuramente ho le mie responsabilità ma ciò che è stato scritto e detto sul mio conto è in gran parte inventato da chi, nel disperato tentativo di evitare gravi conseguenze penali, ha infangato la mia persona consegnando il verbale di un interrogatorio alla stampa solo ed esclusivamente per trarne lucro. Su questo si è basata la tempesta mediatica: su quanto detto da altri che mi hanno accusato per scagionarsi, e non su fatti contestati in giudizio».

E’ vero che ha passato un periodo in una comunità?

«Obbediente ai miei superiori, per tre anni ho seguito un percorso, non in una comunità per tossicodipendenti come qualcuno impropriamente ha scritto, ma a Trento, presso i Padri della Congregazione di Gesù Sacerdote (Venturini), in una delle strutture di accoglienza per sacerdoti in difficoltà. Preghiera, lavoro, psicoterapia, terapia di gruppo, direzione spirituale ma soprattutto un ambiente comunitario sano: tutto questo mi ha ridato fiducia e coraggio per affrontare la vita e la mia missione. Proprio la mancanza di fiducia era una sofferenza che portavo con me fin dalla prima infanzia. Al termine del percorso mi è stata consegnata una relazione dall’equipe che mi ha accompagnato, grazie a questa e al nulla osta dei miei superiori ho iniziato a cercare un vescovo che mi permettesse non tanto di ri-ricominciare, quanto di partire da zero. Infatti la mia vera vocazione è sempre stata quella al sacerdozio diocesano piuttosto che alla vita consacrata. Quindi doppia sfida: non solo quella di trovare l’opportunità di partire ma anche di poterlo fare come risposta alla mia vera vocazione. Non un ripiego, non una fuga né un rassegnato adattamento alle circostanze. E qui devo ringraziare D’Ercole e la sua paterna sensibilità».

Vi conoscevate già?

«No, non conoscevo neanche la Diocesi di Ascoli Piceno. E’ stato l’unico vescovo che senza esitazione mi ha risposto “Volentieri ti accolgo”. E’ stato per me un segno importantissimo. Ho trovato la tenerezza e la disponibilità tipica di chi sa accogliere amando, sostenendo concretamente le persone, ogni persona, senza distinzione. In questo suo gesto non ho visto nulla di straordinario ma solo l’esatta applicazione di quanto il Vangelo chiede a chi vuole essere discepolo di Gesù: annunciare il suo Amore e la sua Misericordia non in modo astratto ma con segni fattivi che rendono credibile e la nostra appartenenza a Cristo. Un tale ha scritto, non senza sarcasmo, che. D’Ercole “un po’ se le cerca”. Senza saperlo, chi parla e scrive così ha dipinto la più autentica ed evangelica immagine del vescovo: quella del buon pastore che “cerca” la pecorella smarrita, che se la mette sulle spalle, che cura le sue ferite e pazientemente la riporta nel gregge. Questo lo rende meno popolare e al centro di critiche feroci (anche in ambito ecclesiastico), talvolta spietate, ma se risaliamo alla fonte di queste si capisce ben presto che chi le formula è molto lontano dalla logica evangelica. Ciò che in qualche modo mi fa sentire “a casa” è anche la straordinaria capacità del clero ascolano di accogliere chi come me chiede, in punta di piedi di entrarne a far parte».

Quanto si sente cambiato dopo questa storia?

«Quello che mi sento di dire è che a nessuno è permesso di esprimere giudizi impropri sulle persone e sui fatti né arrivare a facili conclusioni. La realtà è molto più complessa. È ingiusto e sbagliato emarginare chi presumiamo abbia sbagliato o comunque è oggetto di pesanti critiche. Sicuramente per molti sono stato e sono ancora di scandalo, di inciampo; questa mia “scomodità” se da una parte mi spinge a chiedere sempre perdono dall’altra può essere occasione per il superamento di pregiudizi legati a una certa mentalità. Non mi sento di rinunciare per questo al servizio ministeriale, come uomo e prete, perdonato e riconciliato con Dio e con i fratelli. Un’amica mi ha scritto un giorno che si sente fiera di appartenere a questa chiesa ascolana che con coraggio e coerenza evangelica mi ha aperto le sue porte. Anziché continuare a rivangare il passato, sarebbe meglio accompagnare gli sforzi di una persona che prende le distanze da un periodo “complicato”, né giusto né sbagliato in termini di sopravvivenza della sua vita, e affronta il presente senza nascondersi, cercando di dare il meglio che può. Qualcuno mi ha chiesto più volte di far cancellare da internet informazioni compromettenti. Ecco, questo sarebbe nascondersi. La gente deve essere informata, ma nessuno ha il diritto di giudicare o di eludere uno dei principi basilari del diritto: la presunzione di innocenza. Quando cammino per la piazza o giro per il centro, percepisco sguardi e commenti. I primi tempi, quando uscivo di casa, osservavo come i clienti di un bar adiacente iniziavano il loro cicaleggio cercando sul telefonino informazioni sul prete “tossico”. Sicuramente questa esperienza mi ha segnato, come uomo e come prete».

Pensa che la sua esperienza possa essere di sostegno agli altri?

«Riesco a capire meglio tante situazioni di emarginazione, di rifiuto, di discriminazione che prima vedevo con occhi diversi. Ho aiutato e aiuto tuttora alcune persone che come me hanno avuto un “passato complicato”, consigliando di non nascondere disagi o difficoltà, e li invito a trovare il coraggio di farsi aiutare da qualcuno ma soprattutto a non farsi trascinare dalla “compensazione” (droga, alcol sesso fumo, gioco) onde evitare conseguenze troppo irreversibili. Non avere paura di parlare delle proprie sofferenze interiori, qualunque esse siano. La vita ci riserva sempre sorprese, belle o brutte. Sento forte il compito di annunciare l’amore e la misericordia del Signore, il cuore del Vangelo insomma, ma da una prospettiva diversa rispetto a prima. Gesù ci ha dato un insegnamento fondamentale: annunciare con l’esempio più che con le parole. E poi, chi occupa la cattedra di Sant’Emidio, a cui gli ascolani hanno tagliato la testa, è pronto a donare la vita per il suo gregge».

 

 

 


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