di Andrea Braconi
(foto e video di Gianfranco Mancini)
Gli impianti sciistici del Monte Prata sono allineati perfettamente e non hanno subito alcun danno dal terremoto. Ma manca ancora, dalle scosse dell’ottobre 2016, un elemento fondamentale: la strada per raggiungerli, per intenderci la provinciale che va da Castelsantangelo sul Nera a Castelluccio, ancora danneggiata e sulla quale l’Anas interverrà solo a partire dalla primavera, per concludere i lavori in autunno.
Nel frattempo, però, due intere stagioni sono andate perse. «Tralasciamo il rammarico per aver perso l’occasione di un ritorno alla vita graduale di questi luoghi – ci racconta Guido Galvagno, gestore del self service sugli impianti – che poteva essere rappresentato proprio dall’apertura degli impianti invernali. Ma la provinciale non è stata ancora riaperta al transito. Confidiamo sul fatto che dalla prossima stagione si possa ripartire, visto che gli impianti non hanno alcun danno: potevano funzionare dal giorno dopo della grande scossa del 30 ottobre 2016, ma così non è stato per una burocrazia che purtroppo attanaglia tutta la situazione del post sisma».
Una ripartenza, a guardare il bicchiere mezzo pieno, che sarà con tutte carte in regola. «Esiste un progetto di un bacino idrico per l’innevamento artificiale e ci sono fondi destinati al miglioramento degli impianti di risalita».
Difficile, però, quantificare il danno complessivo. «Più che il danno diretto che ci riguarda, io penso a quello indiretto, vale a dire a tutte le persone della zona che ci lavoravano».
Sulla stessa lunghezza d’onda Francesco Michelangeli, direttore degli impianti. «Abbiamo perso due stagioni fenomenali piene di neve, considerando poi che non siamo provvisti del cosiddetto innevamento programmato. Ma soprattutto abbiamo perso il volano per una piccola ripresa. Ci lavorano 15 persone in questa stazione, più l’indotto, e questo significa tanto per una popolazione esigua. Il danno, quindi, è enorme. Anche io non lavoro in questa fase, ma così si perdono le maestranze, cioè le persone qualificate, gli operai specializzati che vivono in questa zona e che permettono l’apertura e la vita della stazione. E qui se non viviamo di turismo, di cosa viviamo? Pensiamo anche a quello che abbiamo perso legato al grande movimento di solidarietà che si è creato dopo il terremoto e a quanti sciatori sarebbero potuti venire per aiutarci a ripartire. Vivere qui è difficile, molta gente se ne andrà da queste zone ma tutti, compreso il Parco, devono essere consapevoli che senza l’uomo la montagna è finita, si degrada. Noi la presidiamo, noi che ci viviamo e che la rispettiamo. Oggi siamo come gli indiani d’America e se non ci danno un motivo per rimanere la vedo veramente dura. Non vogliamo assistenza, vogliamo solo lavorare per vivere».
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