Politiche della vita quotidiana
e difesa dalle frodi alimentari

MANGIARE SANO - Mai così tanto tempo dedicato alle trasmissioni tv sul cibo, mai tanta ignoranza su come comprarlo e cucinarlo: tra tutti, il simbolo dell’insicurezza e delle frodi è l’olio extravergine d’oliva. Ce ne parla Attorre di Slow Food Editore
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di Antonio Attorre *

Deve esserci qualche buona ragione se a presiedere la commissione che si occupa dei reati in materia agroalimentare sia stata chiamata, un paio di anni fa, una personalità di grande prestigio quale Gian Carlo Caselli. Lo stesso Caselli, che ha mostrato entusiasmo oltre che il noto rigore nel suo nuovo incarico, ha parlato della necessità di creare un diritto penale della vita quotidiana, in grado di accompagnare il consumatore fino allo scaffale degli alimenti, e di tutelarne la fiducia. L’espressione, inconsueta ed efficace, non è passata inosservata e in un contesto che prevedeva anche la presentazione del manuale “Il mondo dell’olio” realizzato da Slow Food Editore: intanto perché nel senso comune alimentazione e gastronomia sono ormai praticate in un’accezione che sembra avere sempre meno a che fare con la vita quotidiana ma, piuttosto, con il quotidiano circo Barnum dello spettacolo. In secondo luogo, perché a questa attenzione debordante e talvolta maniacale per il cibo-spettacolo corrispondono una povertà di conoscenza reale del cibo inteso nella sua sostanza materiale e uno smarrimento da consumatori perplessi tra gli scaffali di un supermercato.
Smarrimento che Michel Pollan ha definito come paradossale (mai tanto tempo dedicato alle trasmissioni tv sul cibo, mai tanta ignoranza su come acquistarlo e cucinarlo), e che è particolarmente evidente proprio se pensiamo a quello che è diventato, oltre che simbolo della mediterraneità, il simbolo dell’insicurezza nell’acquisto e delle frodi a danno dei produttori onesti e di noi consumatori: l’olio extravergine d’oliva.

Antonio Attorre

La difesa del consumatore che la commissione presieduta da Caselli persegue si pone infatti, quale obiettivo di fondo, la valorizzazione dell’identità culturale e territoriale del prodotto, fondamentale per un’agricoltura delle dimensioni di quella italiana, fatta -si pensi proprio al comparto dell’olivicoltura- in gran parte di piccolissime, piccole e medie imprese. Si tratta di specificità da salvaguardare anche rispetto alle direttive europee che non vedono di buon occhio le normative sul “made in”, con la motivazione che limiterebbero la libera circolazione delle merci, mentre è evidente che gli attacchi al patrimonio agroalimentare italiano (il fenomeno dell’Italian sounding, un vero colpo basso per la nostra economia) sferrati a livello transnazionale reclamano interventi specifici.
Per l’olio d’oliva, che i Greci vedevano al centro della vita domestica (oikos: stessa radice di economia ed ecologia), dovrebbe essere percepito come automatico il collegamento del prodotto salutare con la piacevolezza del momento conviviale e con la tutela del paesaggio di cui, in non poche regioni italiane, è elemento centrale. Si pensi, per restare nelle Marche, alla varietà di paesaggi e alla notevole varietà di cultivar locali tra le quali, per restare nel Piceno, la Tenera ascolana da cui derivano oli che ora come ora non temono confronti al mondo.
Nell’ambito della produzione olivicola e olearia, come negli altri ambiti agroalimentari, l’attenzione alla sostenibilità e il rispetto dei territori sono irrinunciabili, oltretutto rafforzati dalla legge di tutela della biodiversità e del paesaggio in vigore dal 2015 nel nostro Paese. Si potrebbe aggiungere, al “Buono da mangiare, buono da pensare” di Claude Lévy-Strauss, “Buono da guardare e buono da vivere”.

*Giornalista, saggista, redattore di Slow Food Editore e docente a contratto all’Università Politecnica delle Marche


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