Gianluca Staffolani
di Luca Capponi
(foto di Pierluigi Giorgi)
Un uomo in piedi, fermo, impassibile sopra l’ingranaggio del circuito che lo tiene inconsapevolmente in scacco; volti, spille calcografiche, colori, visi scolpiti, anelli di carta, bobine e vecchi orologi. Entrare nello studio di Gianluca Staffolani è un po’ come fare un giro in un mondo fantastico, sospeso, nascosto ma vero, vivo. Un tourbillon in bilico tra scultura e gioielli. Unico denominatore comune, l’arte. Che per certi versi è anche e soprattutto sensibilità. Materia che il Nostro possiede in quantità.
Classe 1973, ha lasciato la sua Ascoli prestissimo, per diplomarsi all’Istituto Statale d’Arte “Mengaroni” di Pesaro, prima di approdare all’Accademia di Belle Arti di Macerata. «I primi tempi non furono affatto facili, avevo 13-14 anni e la distanza da casa e dagli affetti si faceva sentire in maniera forte. Fu mio padre, vista la manualità che possedevo, ad instradarmi sulla via dell’oreficeria, cui in effetti mi appassionai molto fino a innamorarmene» racconta Staffolani, che oggi è uno dei professionisti più ricercati del settore, tra i pochi in Italia e unico nelle Marche a seguire la via del gioiello contemporaneo, che unisce all’arte orafa la strada della sperimentazione.
«Dopo laurea ricordo che girai tutte le gioiellerie della provincia e del vicino Abruzzo per offrirmi come riparatore, trovando sempre porte chiuse. Ero poco più di un ragazzo e portavo con me un biglietto da visita scritto a penna. -prosegue nel racconto- L’occasione arrivò inaspettata da un grande gioielliere abruzzese, che decise di propormi il primo lavoro: mi tremavano le gambe, non sapevo neanche se sarei riuscito. Amo raccontare questa storia perché funga da sprone soprattutto ai giovani, che spesso mollano le loro passioni e smettono di inseguire il proprio sogno alla prima difficoltà».
Lo studio
Da lì Staffolani non si è più fermato; mostre, premi (ultimo in ordine di tempo il secondo posto al prestigioso Premio Cominelli con “L’ora del Garda”, una spilla pendente in plexiglass, nylon, plastica e argento), partecipazioni a collettive ma soprattutto inventiva e talento nel proporre pezzi inusuali come spille “cinetiche”, anelli con piccoli circuiti elettrici o di carta. A proposito: per quel noto gioielliere egli lavora ancora oggi. «Oltre a coltivare quella che è la gioielleria più tradizionale ho sempre amato sperimentare, creare qualcosa di diverso, di nuovo, pensare a come potrebbe essere il mio gioiello ideale. -prosegue Staffolani- In parallelo, ovviamente, porto avanti l’arte orafa diciamo così “canonica” e la mia altra grande passione, cioè la scultura».
E sulla scultura si apre un altro mondo, tanto affine quanto interessante; egli dimostra infatti di avere uno stile denso e preciso, capace di lavorare materiali diversi come legno, bronzo, argento, ferro, terracotta. Sempre indagando con acume l’essere umano, le sue fragilità, le sue incertezze. La sua “Pietas”, per citarne una, è stata esposta al Congresso Eucaristico Nazionale davanti a Papa Benedetto XVI, era il 2011.
Il laboratorio/scrigno dove opera si trova nel centro storico delle cento torri. Venti anni fa era poco più di un rudere, poi i lavori e la partenza, «anche se seguire la passione che amo comporta adesso più che mai grandi sacrifici, in un periodo di crisi come l’attuale dove la recessione si fa ben sentire, soprattutto in un settore come il mio» conclude Staffolani. Curiosità; proprio nello stesso edificio, in via Curzio Rufo, storia vuole che abbia soggiornato niente meno che il pittore Carlo Crivelli.
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