di Martina Fabiani
(foto di Andrea Vagnoni)
«No Man is an Island, No man is an island entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main», scriveva nel lontanissimo 1964 John Donne. Un’ode, quella del poeta inglese, all’altro, un invito per il singolo a sentirsi parte di un tutto. Perché l’essere umano, che lo voglia o meno, è circondato dagli altri, da questi ultimi è influenzato, talvolta sorretto, o ferito, o amato. Non si può rifuggire dallo sguardo degli altri, dal più semplice contatto con essi.
Scott Matthew sul palco del “Pacetti”
Piace pensare che sia questo il concetto alla base di “Ode to Others”, ultimo lavoro in studio del cantautore australiano di stanza a New York Scott Matthew, sbarcato in Italia per quattro date, tra le quali spicca l’auditorium Centro Pacetti di Monteprandone. Si è esibito nella serata di giovedì 8 novembre, di fronte ad un pubblico decisamente esiguo, ma giusto. Dopo la riuscitissima serata con i magistrali Pere Ubu, e prima ancora con gli acustici Turin Brakes, la scelta di proporre un cantautore sostanzialmente di nicchia come Matthew – seppure caratterizzato da sonorità e testi potenzialmente apprezzabili anche dai più – si è rivelata azzardata. Ma forse è meglio non suonare di fronte a chi non vuole ascoltare. Per l’ennesima volta, dunque, il pubblico piceno si dimostra poco ricettivo. Tanto di capello a coloro che, nonostante tutto, decidono di rischiare, accettando un’ulteriore sfida. Tanto di cappello, quindi, alla combo Massimo Bonfigli e Pink Rabbits.
Dodici i brani proposti dal cantautore e dai suoi compagni di viaggio. Con lui sul palco il chitarrista Gary Langol, il violoncellista Sam Taylor e la polistrumentista Marisol Limon Martinez, presente nella formazione sin dagli esordi. Matthew, occhi dolci e barba folta, a metà strada tra un Bon Iver e un Vasco Brondi, rispecchia perfettamente lo stereotipo del cantautore romantico. “Ode to Others” viene eseguito quasi interamente, mancata all’appello solo “The Sidewalks of New Year”; proposte poi “The wonder of falling in love”, contenuta in “Gallantry’s Favorite Son” del 2011, “For Dick” e la celebre cover “I Want to Dance with Somebody” di Whitney Houston, eseguita in chiusura e canticchiata dagli spettatori.
L’amore romantico è sempre stato il cuore pulsante dei testi dell’artista, la maggiore ispirazione per i suoi lavori. «Con questo ultimo album si assiste ad un allontanamento dal soggetto amoroso e dalle delusioni e turbamenti che ne derivano. L’amore c’è sempre, ma è trattato in senso lato: amore verso gli amici, la famiglia, i luoghi, gli sconfitti e i dimenticati» precisa Matthew prima di iniziare il live. C’è “End of Days”, scritta per «tutti coloro che vivono in America», “Where I Come from”, dedicata al padre che «finalmente ama», poi “The Deserter”, destinata ad una persona fittizia esistita nella mente del cantautore per diverso tempo. Non dimentica nemmeno la strage di Orlando, la sparatoria di massa avvenuta in un pub nel 2016, che con il testo “The Wish” il cantautore definisce «an assault against love». Sono le tracce di diversi tipi di amore, quelle che il cantautore australiano ricerca nel suo ultimo lavoro, e ci tiene a precisarlo. Ogni brano è infatti preceduto da una spiegazione in pillole; a Matthew piace, anche troppo, condividere a chi o cosa pensava mentre creava, tanto da far risultare il live una lunga chiacchierata tra vecchi amici.
Marisol Limon Martinez
Piacevolmente riarrangiata è “I Wanna Dance with Somebody”, meno “Do You Really Want to Hurt Me?” dei Culture Club che risulta leggermente stucchevole. Fatta eccezione per “End of Days” che, nonostante le note folk siano rese eleganti da un levigato violoncello, risulta il pezzo più frizzantino del concerto, il clima rimane generalmente tra l’emozionale e lo struggente, senza però scadere nella più sterile banalità. Gli arrangiamenti sono dolci e raffinati, offrono sostegno ai testi senza mai sovrastarli. Un live che non esalta, ma che risulta gradevole. In un’epoca che ci vuole individualisti, Scott Matthew controbatte offrendo, invece, uno sguardo altruista sul mondo, un pensiero per l’altro.
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