La natività del presepe vivente di Comunanza
di Luca Capponi
(foto di Andrea Vagnoni)
Il presepe vivente torna a casa, lì dove è stato per più di tre decenni. Lì dove è diventato il più antico delle Marche, dove lo spettacolo della natività è divenuto anelito di storia. Lì dove la ferita del sisma ha colpito, ma non ha vinto. Dopo un anno di pausa forzata (il 2016) e un anno di “esilio” (nel 2017 si svolse nel vicino parco della Rimembranza), il presepe vivente organizzato da Amministrazione comunale, Pro Loco e “Comunanza Eventi” è andato in scena nel suo contesto naturale, vale a dire il meraviglioso centro storico dove nacque esattamente 40 anni or sono.
I bimbi coi giochi di una volta
Un centinaio di figuranti, bambini e adulti, nel tardo pomeriggio di mercoledì 26 dicembre ha smesso i panni della contemporaneità per un viaggio indietro nel tempo di 2.000 anni, tra antiche botteghe, in groppa ad un cavallo o nell’intento di filare o infornare il pane. Tutti rigorosamente in abiti d’epoca, diretti da Marco Renzi e animati da una tradizione ben radicata e sentita da tutti gli abitanti. Quella di Comunanza è una comunità che si stringe intorno al miracolo della nascita di Gesù, miracolo doppio, stavolta, come conferma l’assessore alla cultura Rita Simonelli: «Ripartire dal centro, dove ci sono molti edifici ancora lesionati dal terremoto, ha rappresentato una vera sfida, soprattutto a livello di permessi e autorizzazioni, una sfida cui tenevamo molto e che siamo riusciti a vincere».
E’ nato
E probabilmente trattasi di un’azione che va al di là di molti concetti, storici, religiosi e persino scenici: in realtà qui c’è un “luogo” che prova a riappropriarsi dei propri “luoghi” con determinazione, lena e sorrisi. Gli stessi dei tanti bambini protagonisti dei 20 tableaux vivants pensati per l’occasione, dove capita che un ragazzino ti suggerisca con discrezione che «Ai tempi di Gesù i bambini non avevano i giochi elettronici, i loro giochi erano semplici, alcuni ancora conosciuti come il tiro alla fune. le bambole di lana e di pezza, la dama, la mosca cieca, il gioco dell’oca con le pedina di legno intagliato».
La foto di Amal, un monito
Si viaggia e si riflette. Sembra Betlemme, ma forse è il mondo d’oggi. Anche per i riferimenti al presente che il regista Renzi ha voluto disseminare lungo il percorso; una ragazza seduta in mezzo alla rua, vestita di rosso e di rosso macchiata sul viso, monito su quella piaga che è il femminicidio; una valigia di cartone con un piccolo presepe sopra, come a dire che anche loro, Gesù, Giuseppe e Maria, erano migranti, viandanti, gente in fuga; infine il più toccante, il corpo smagrito della piccola yemenita Amal Hussain, morta di fame la scorso novembre a soli 7 anni, simbolo di tanti piccoli che soffrono di malnutrizione. La sua fotografia stampata a terra e riprodotta più volte arriva da contraltare subito dopo la maestosa natività, a fine itinerario, come un monito che fa male alla coscienza. Un rimosso che neanche il freddo rigido di questo 26 dicembre 2018 riesce a cancellare. Nonostante l’apparente andare oltre le cose che a volte ci rende disumanamente indifferenti.
LA FOTOGALLERY DI ANDREA VAGNONI
Valigie di cartone
Il centro ferito dal sisma
La piaga del femminicidio
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