di Adriano Cespi
«Quando la politica affronta il tema Sanità, lo fa parlando solo di tagli e mai d’investimenti. Addirittura vogliono convincerci che un ospedale unico sia la panacea. Poi, leggendo con attenzione il bilancio 2017 dell’Asur Marche, scopri che la spesa media per gli stipendi del personale supera ogni logica, sfiorando l’indecenza». Non usano mezzi termini i membri del comitato Obiettivo Salute Piceno nel denunciare «questo sperpero di denaro pubblico». Documenti in mano e tabelle in evidenza, Andrea Cellini (presidente), Masha Parisciani e Cinzia Ficcadenti, convocano la stampa alla libreria Rinascita per criticare duramente «questa politica sanitaria regionale sempre più lontana dai cittadini».
IL CASO STIPENDI – «Sulle buste paga siamo davvero al paradosso – attacca la Parisciani – e, senza ombra di smentita, possiamo dire che a fronte di una spesa complessiva, messa a bilancio nel 2017, di 742.837.886 milioni di euro, lo stipendio medio per ogni dipendente è di 52.702 mila euro. Basti pensare che un infermiere guadagna intorno ai 1.550 euro netti al mese e un operatore Ota intorno ai 1.200 euro netti, perché l’interrogativo sorga spontaneo: chi li guadagna tutti questi soldi? Noi riteniamo che, considerando anche gli stipendi dei medici, siano i dirigenti a far lievitare i costi con buste paga da nababbi, parliamo di stipendi dell’ordine di 250.000 euro annui, con benefit e premi fuori misura. Mentre l’intero comparto è costretto a tirare la cinghia. E non consideriamo, poi, le spese sostenute per il personale convenzionato: medici di base, guardie mediche turistiche ed altro, perché altrimenti la cifra lieviterebbe di altri a 171 milioni di euro».
LE CRITICITA’ – Tutto questo con un’utenza costretta a convivere con tempi d’attesa di mesi per una visita specialistica e ore e ore al pronto soccorso prima di vedere un medico. «Vi cito solo questo dato per farvi capire come siamo messi – interviene la Ficcadenti -. In tutto il 2018 i Pronto Soccorso di Ascoli e San Benedetto hanno offerto 70.000 prestazioni, parlo di accessi, 30.000 al “Mazzoni” e 40.000 al “Madonna del Soccorso” con due medici in servizio per turno. E’ naturale che poi si creino quelle file interminabili. E, secondo le direttive nazionali, sono previsti 15 minuti d’intervento per ogni paziente. Ditemi voi come è possibile». Aggiunge Cellini: «L’aspetto più grave e preoccupante, però, è quello dei tempi d’intervento secondo i quali è nella prima ora che si deve operare in caso d’infarto grave, insufficienza respiratoria ed altro, soprattutto quando necessita un intervento chirurgico d’urgenza. Ebbene, non può essere demandato ad altri un intervento che deve essere seguito in tempi rapidi, ne andrebbe della vita del paziente. Per questo è assurdo parlare di ospedali unici in aree come la nostra dove la viabilità, tra autostrada spesso intasata da lavori e strade provinciali poco scorrevoli, diventa un’emergenza. Tutto questo con l’aggiunta che le due eliambulanze fisse al Torrette di Ancona non sono operative di notte e in caso di maltempo. Ma pensate un attimo a realtà come Ripatransone, Montefiore, Montalto, Carassai, Acquaviva e immaginate cosa significhi per gli abitanti di questi paesi raggiungere l’ospedale di San Benedetto. O a quelli di Roccafluvione, Montegallo per citarne solo alcuni, rispetto all’ospedale di Ascoli. E per risolvere queste gravi problematiche cosa si fa? sottolinea Cellini – si costruisce un ospedale unico a metà strada tra Ascoli e San Benedetto. Ma vi rendere conto? Non capisco come abbiamo potuto votare sì quei sindaci che si vedranno allungare ancora di più la distanza dei loro territori dal nosocomio più vicino». Altro argomento che sorprende e indigna è poi quello del trattamento riservato al Sud delle Marche. «Ci siamo accorti – spiega la Ficcadenti – incontrando i comitati regionali contrari all’ospedale unico che nel nord della regione ci si lamentava per la chiusura o il rischio chiusura di diversi ospedali, tra i tanti che hanno, mentre qui da noi gli ospedali li possiamo contare sulle dita di una mano. Questo deve finire. Sono stati creati due territori: il nord della regione, di serie A; e il sud, di serie B. Eppure siamo proprio noi del sud ad essere i più virtuosi: l’Area Vasta 5, ad esempio, ha chiuso il bilancio con +10 milioni di euro, Fermo è andata quasi a pareggio, mentre l’Area Vasta 1, quella di Pesaro, ha chiuso con un -40 milioni».
IL TRASPORTO – In mezzo a tanta criticità si aggiunge anche quella del trasporto pazienti in ambulanza, in primis verso Ancona ma anche fuori regione. «Vi siete mai interrogati sul proliferare di tutte queste ‘Croci’? che poi svolgono un servizio sotto convenzione con l’Ausl – interroga la Parisciani -. Semplice, per supplire alla carenza di ambulanze e automediche. Pensate che quotidianamente si effettuano 60 trasporti di pazienti. Non sarebbe meglio e, magari, anche più economico, istituire dei reparti specialistici nei nostri ospedali per curare in loco le persone invece di trasportale, come pacchi, da una parte all’altra della regione o anche fuori territorio?».
LE RICHIESTE DEL COMITATO – «Nostro obiettivo – chiosa Cellini – è incontrare sindaci, ma anche comitati di quartiere, per far conoscere ad un pubblico il più ampio possibile tutte queste problematiche. Una cosa però ci tengo che sia chiara: non siamo un Comitato politico, non seguiamo partiti, movimenti o liste di alcun colore. Noi siamo per l’impegno concreto e disinteressato. Per questo abbiamo stilato una sorta di programma sul quale ci batteremo perché trovi realizzazione. Partiamo così con le richieste di un’Azienda sanitaria autonoma Marche Sud che unisca Ascoli e Fermo e col potenziamento dell’ospedale Mazzoni di Ascoli, altro che ospedale unico. Che sia fatto poi uno studio di fattibilità per la costruzione di un nuovo ospedale in prossimità della costa, magari nei pressi di Grottammare, il più vicino possibile al casello autostradale perché l’ospedale di San Benedetto, tra traffico e file di auto, è sempre più difficile da raggiungere: magari lì può restare il pronto soccorso di massima urgenza. Chediamo ancora l’apertura delle Potes, ovvero delle Postazioni territoriali di emergenza sanitaria in zona montana e collinare; e, sempre nella stessa area, la costruzione di un ospedale di Comunità. Infine, il potenziamento e la ristrutturazione delle strade dell’intera rete intercollinare».
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