di Martina Oddi
Non solo amore. Nel “Romeo e Giulietta” riadattato al teatro Concordia di San Benedetto da Lo Stivalaccio – Compagnia teatrale di Verona che si è formata a Offida (scherzano i commedianti) tirando in ballo il paesino dell’entroterra più volte nella loro performance fino ad augurarsi di essere convocati dal sindaco per portare la loro arte nella cittadella offidana – ci sono le passioni degli uomini, i loro impulsi, le debolezze e le grandi ridicole pulsioni del sangue, foriere di tragedie.
Corre l’anno 1574. Due saltimbanchi realmente esistiti – Giulio Pasquati e Giacomo Salimbeni – e una prostituta scaltra e sorniona assoldata all’ultimo dai due, Veronica per il ruolo della casta Giulietta, devono interpretare la tragedia più famosa dell’epoca davanti al Doge che li ha convocati al cospetto del Re di Francia in visita in Laguna. Con questo espediente narrativo i talentuosi comici – al secolo Anna De Franceschi, Michele Mori, Marco Zoppello – portano avanti i primi due atti, con ironia e un ritmo intenso condito da un intercalare molto spontaneo e coinvolgente.
Ecco però che il pubblico entra nella narrazione, partecipando attivamente alla costruzione improvvisata dei due capitoli successivi della storia, che scivola verso il finale tragicomico della rappresentazione. Un amore saltimbanco, con i tre attori improvvisati baciati dalla sorte grazie alla loro improvvisazione davanti al Principe stesso, che li sceglie per portarli in tour in tutte le più grandi città d’Europa. Così la tragedia assoluta diventa commedia interattiva, e il dramma shakespeariano si caratterizza per la sua sorprendente attualità. Contemporanee le sue contraddizioni, la sua impietosa analisi delle pulsioni umane, in una storia in cui la grandezza sovraumana dell’amore si staglia sul fondo, e il sentimento più nobile si tinge delle insicurezze e delle piccole rivincite di esseri deboli e imperfetti nella quotidiana esperienza umana.
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