Braconi premiato dall’allora presidente dell’Aci Mimì Cappelli
di Giorgio Tabani
«Come pilota ero sicuramente più bravo, ma Lei che le parole le sa usare bene ci metta quelle più belle per parlare di Ascoli perché non riusciranno mai ad essere sufficienti per descrivere ciò che provo per la vostra città e i suoi abitanti». Questa la dichiarazione di Fulvio Braconi di Arezzo: vincitore di quattro edizioni consecutive della Coppa Paolino Teodori, dal 1996 al 1999, fu lui che trascinò l’entusiasmo ad Ascoli con addirittura la nascita di un fan club a lui dedicato.
Coppa Teodori 1993: Braconi giunse al 3° posto
Può raccontarci della sua esperienza alla Coppa Paolino Teodori?
«Ascoli è una città dove prima mio fratello e poi io abbiamo lasciato davvero il cuore. Una città unica, che non posso paragonare nemmeno alla nostra città natale Arezzo. La Coppa Teodori era l’unica gara che non avrei saltato per nulla al mondo. Se anche mi avessero invitato alla Pikes Peak International Hill Climb, la celeberrima cronoscalata automobilistica e motociclistica il cui tracciato si snoda lungo le pendici del Pikes Peak, una montagna nello Stato del Colorado, avrei rifiutato piuttosto che perdere la possibilità di concorrere alla Teodori. Avrei risposto: «Mi dispiace signori ma la Paolino Teodori non la salto per niente al mondo». Ascoli è una città che mi ha dato tanto in termini di vittorie ma non è soltanto quello! Venire lì era semplicemente una gioia, una gioia di quelle grandi. L’accoglienza, semplicemente straordinaria, gli alberghi ecc. ma poi anche l’organizzazione assolutamente perfetta. Un elemento che era ed è qualcosa di più unico che raro. E poi un tifo così, una cultura del pubblico incredibile. Io correvo ed ero considerato non così male però ecco, arrivando ad Ascoli sia io che mio fratello sembrava quasi che fossimo degli dei. E pensi che quando venni l’ultima volta pochi anni fa, ero nella vostra splendida piazza del Popolo, con cappellino e occhiali e – senza volermi dilungare nel racconto – venni riconosciuto e da quel momento come uno sciame d’api, divenne una festa. Mi fecero piangere come un bambino, come se fossi stato Schumacher: nel giro di pochi minuti non mi riuscivo letteralmente a muovere. Avevamo un fan club prima per mio fratello e poi per me, rimasto di fatto sempre attivo e peraltro ogni tanto ci sentiamo o comunque su Facebook, pur dopo tanti anni, vengo nominato e sempre in modo stra-positivo. Quando c’è la gara quest’anno? Io vorrei davvero tornare ma ho mia madre gravemente malata e non posso lasciarla purtroppo. Per me Ascoli è davvero troppo unica, conservo davvero gelosamente l’attestato e il libro che ho ricevuto per il Cinquantenario della Coppa. Ce l’ho fra i ricordi più belli qui a casa. Ascoli rimarrà per sempre nel mio cuore».
La vittoria di Braconi nel 1996
Parlando invece della sua carriera da pilota in generale cosa può dirci?
«Io ho iniziato questa carriera praticamente per caso, quando a 28 anni ho sostituito mio fratello. Si può dire che sia l’autentica passione di famiglia. Quando lui smise, mio padre venne da me e mi chiese: «Vuoi provare a salire sulla macchina da corsa?» e così è iniziata l’avventura. I miei due anni migliori sono stati il 1996 e il 1997, ricordo in particolare il secondo assoluto alla Rieti-Terminillo, valida per il Campionato italiano velocità montagna e per il Campionato europeo della stessa specialità. Nel ‘98 cambiammo macchina e non riuscimmo più a fare i tempi che facevamo prima. Ho avuto poi un incidente e un duro colpo lo subii il 3 giugno del 2000 con la tragica morte di Fabio Danti, un amico fraterno nonché pluricampione di cronoscalate: durante la Caprino-Spiazzi, cento metri prima del traguardo, perse il controllo della propria Osella all’ultima curva, uscendo di strada a circa 240 km orari andando ad impattare contro un albero. Peraltro il mio babbo stava già male di salute e allora mi dissi che era ora di smettere e d’altro canto ci stavo già riflettendo da un po’».
I suoi tifosi
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