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Coppa Teodori,
chi era Pietro Laureati
al quale sarà dedicato il Memorial?

ASCOLI - Si tratta di una sfilata d’auto d’epoca che precederà la 58esima Coppa Paolino Teodori. L’ingegner Laureati, nato a Grottammare ma sambenedettese a tutti gli effetti, corse per ben 18 volte a partire dalla prima edizione del 1962. Pilota appassionato, partecipò a 135 competizioni automobilistiche. Ne rievoca la carriera sportiva il figlio Mario
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Laureati riceve uno dei numerosi trofei vinti alla “Coppa Paolino Teodori”

di Giorgio Tabani

«Il mio rammarico è di non aver mai vinto la Coppa Paolino Teodori. Ho fatto secondo qualche volta, ma c’era Nesti che mi dava fastidio». Così Pietro Laureati (1922-2011) commentava la sua storica partecipazione alla Ascoli-San Marco, a cui concorse 18 volte consecutive fin dalla prima edizione del 1962. Per questa 58° edizione della Coppa sarà ricordato con un memorial a lui intitolato, che consisterà in una sfilata d’auto storiche, con l’obiettivo di celebrare la sua figura singolare ma al contempo farne il simbolo di tutti gli appassionati piloti locali e in generale della passione per lo sport automobilistico della salita. Ne rievoca la figura di sportivo il figlio Mario, che ha promosso l’iniziativa.

Ci può raccontare un po’ la carriera di suo padre Pietro Laureati?

Mio padre era un ingegnere meccanico e i motori l’hanno appassionato da sempre. Sua sorella Caterina racconta sempre di quando a tavola simulava col piatto il volante di un’auto e ne mimava anche il rumore. Suo zio Giulio, vero pioniere dell’aviazione con all’attivo anche dei record di volo, ha probabilmente introdotto in casa questa passione.

La sua carriera trentennale da gentleman-driver consiste in 135 partecipazioni totali a gare automobilistiche. La prima risale al 1953 con una Fiat 500C “Topolino” e fu la partecipazione a una delle corse automobilistiche più famose del mondo, la Mille Miglia, da Brescia a Roma e ritorno. L’ultima corsa fu invece la cronoscalata “Svolte di Popoli” nel 1983. In una prima fase si concentrò nelle gare di durata, con quattro Mille Miglia fra il ’53 e il ’57, sei Targhe Florio, l’altra celeberrima corsa italiana fra le più antiche del mondo, e un 1000 km Nürburgring nel ’67, il circuito tedesco concepito per essere il più difficile al mondo, fra cambi di pendenza, curve impegnative e un certo grado di pericolosità. I riconoscimenti vennero con il secondo di categoria nel 1957 nei 1600 km della Mille Miglia su Alfa Romeo 33 e un primo di categoria nel 1964 sui 720 km della targa Florio a bordo di una Simca Abarth 1300: in questa occasione ottenne anche un riconoscimento da Carlo Abarth per il risultato ottenuto.

A metà anni ‘60 si dedicò invece essenzialmente alle gare di salita. Fu un assiduo frequentatore soprattutto delle competizioni del centro Italia, fra le tante ricordo Popoli, il Trofeo Luigi Fagioli di Gubbio, la Rieti-Terminillo, la Sarnano-Sassotetto ecc. E poi naturalmente la Coppa Paolino Teodori.

Oltre ai tanti piloti, molti dei quali furono suoi amici, quali altri incontri nel settore automobilistico ricorda che fece suo padre?

“Mi ricordo poi del progettista della Alfa Romeo 33 Stradale, Giuseppe Busso, di cui parlerò fra poco” con “Mi ricordo poi di Carlo Chiti che aveva in gestione la realizzazione dell’Alfa Romeo 33 Stradale, di cui parlerò fra poco”.

Premetto che, a partire dalla Targa Florio del 1959, io iniziai a seguire mio padre nelle trasferte automobilistiche. Poi dagli anni ’70, quando ebbi anch’io la patente, lo aiutavo nella logistica. Dietro i pochissimi minuti di una cronoscalata c’è un lavoro particolare. Alcune auto le trasportava col camioncino, con il problema poi di scaricarle, per cui spesso si andava allo scalo merci. Poi dal 1970 iniziò a usare i carrelli tirati da auto usate, come una Fiat 1500 che ricordo bene. Viaggiavamo il giovedì sera per il fresco o il venerdì mattina ed erano traversate lunghe, anche se la fatica era ampiamente compensata dalla passione. Ricordo a Siena mentre aspettavamo l’arrivo del camion, essendo arrivati molto presto: io, lui e mia sorella ci addormentammo in macchina.

Di piloti ricordo, oltre al suo avversario nella Teodori, Nesti, anche Scola. Poi c’era il marchigiano Ludovico Scarfiotti, che aveva incontrato alla Mille Miglia del 1957, di cui si ricorda la splendida vittoria nel Gran Premio d’Italia di Formula 1 a Monza del 1966, tuttora l’ultima di un italiano nella nostra gara di casa più importante, peraltro su una Ferrari.

Altri personaggi che mi vengono in mente sono ad esempio Gino De Sanctis, che dopo essere stato un pilota vincente nella categoria turismo, campione italiano e campione della montagna con vetture che si preparava da solo, rese la sua officina un punto di riferimento degli sportivi in particolare romani. C’è poi il teramano Berardo Taraschi, pilota motociclistico e automobilistico con 22 vittorie su 65 partecipazioni ma anche fondatore della sua azienda automobilistica, la Meccaniche Taraschi, nata nel 1947 come semplice officina. Mi ricordo poi di Carlo Chiti che aveva in gestione la realizzazione dell’Alfa Romeo 33 Stradale, di cui parlerò fra poco. Non riuscì a incontrare il mitico ma schivo Carlo Abarth, pilota motociclistico e poi creatore della società resa celebre dalla produzione dei kit di elaborazione che aumentavano le prestazioni delle piccole vetture di serie; conobbe però nei primi anni ‘70 Lorenzo Avidano, il braccio destro di Abarth come direttore generale fino al passaggio dell’azienda dello Scorpione alla Fiat. Ci fu infine Enzo Osella che proveniva dalla Abarth e fondò la Osella Engineering, casa automobilistica di vetture da competizione. Mio padre fu suo cliente quasi fino alla fine, mi ricordo distintamente il rodaggio in officina di un motore Bmw per noi.

Quali vetture utilizzò principalmente suo padre per la Coppa Teodori?

Ad Ascoli nel 1962 corse con l’Alfa Romeo Giulietta SZ, il modello frutto della collaborazione col carrozziere Elio Zagato che ne progettò un nuovo telaio e una carrozzeria leggera e aerodinamica. Nel 1963, pur non avendo a disposizione una propria vettura, riuscì a gareggiare con una Porsche 1600 prestata da un amico. C’è poi la Simca Abarth 1300, con cui vinse la classe alla Targa Florio del ’64. Sicuramente il modello più famoso che guidò fu la Alfa Romeo 33 Stradale, una fuoriserie prodotta a fine anni ‘60 in 18 esemplari. Ce l’avevano Gianni Bulgari o lo Scià di Persia, era un vero gioiello disegnato da Franco Scaglione, di una bellezza da lasciare a bocca aperta: fu la prima italiana con le portiere ad apertura verticale per un costo, alto per l’epoca, di 9.750.000 lire mentre oggi vale 10 milioni di euro. Mi ricordo l’ufficio del responsabile corse dell’Alfa Chiti a Settimo Milanese, attaccato al capannone dove veniva prodotta: mentre eravamo lì da dietro la sua scrivania aprì un’enorme porta scorrevole e ci fece vedere i tre esemplari che erano andate in parata al Daytona International Speedway nel ‘68. Purtroppo però la 33, che mio padre usò fra ’68 e ’69, non era competitiva dal punto di vista sportivo e quindi dal 1970 passò alle sport prototipo: la prima fu l’Abarth 2000, per passare poi alle britanniche Chevron e Lola legate a Osella. Un’altra auto particolare, che domani sarà in parata, è l’Alfa Romeo 2000 GT Veloce con cui vinse peraltro nel 1976 la Rieti-Terminillo. Vorrei sottolineare che la sua era a tal punto pura passione sportiva che per la Teodori nel ’77 concorse nella Turismo, di fatto tornando indietro nella carriera, a causa di un problema col motore delle sport prototipo.

Purtroppo non abbiamo conservato nemmeno un’auto. Mia madre rimpianse in particolare la Giulietta della Mille Miglia, ma per mio padre erano uno strumento di “lavoro” e comunque finanziare un garage di usati non era possibile per lui da solo. Soltanto la GT 2000 riuscii, sollecitata da mia madre, a riprenderla io e la rimisi volentieri a posto. Andammo insieme poi negli anni ’80 a iscriverla al Registro italiano Alfa Romeo e tra i verificatori dell’auto, che dovevano garantirne autenticità e la corrispondenza alle specifiche di fabbrica, c’erano dei piloti che se lo ricordavano ancora come acquirente della 33.

Alla guida di una Alfa Romeo 33 Stradale

Un incidente. Ricordava: “Guidavo un’Alfa Romeo 33, molto pesante. Non disponevo del cambio estraibile Hewland, ma di uno fisso con sei marce stradali ed era difficile cambiare”

Con l’Alfa Romeo Giulietta SZ 1300 taglia il traguardo della prima edizione

A bordo della Abarth 2000 affronta il terzo tornante


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