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Essenzialità, passione e radici:
dietro le quinte di “Olmo”,
il corto rivelazione di Calvaresi

CINEMA - Reduce dal Globo d'oro 2019, il regista offidano racconta come nasce il suo personaggio di legno, del legame con questo materiale e con la sua terra. Un'opera artigianale ed essenziale: «Io, disoccupato e solitario come il protagonista all'inizio della storia»
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di Martina Fabiani

«Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo», scriveva Italo Calvino ne “Il sentiero dei nidi di ragno”. Forse la storia di una ferita segreta è anche quella di Olmo, protagonista del cortometraggio “Olmo – una film di legno” dell’offidano Davide Calvaresi, reduce dal premio per il miglior corto al Globo d’oro 2019.
Un successo inaspettato, un successo meritato. Un racconto di formazione, di essenzialità e di amore, scritto e realizzato interamente da Davide e che sa fortemente di Davide. «Sono Olmo all’inizio del film, disoccupato e solitario», confessa ironicamente l’autore. Quella del giovane regista è una formazione artistica, ma eterogenea. Appassionato di grafica, disegno e animazione frequenta l’istituto d’arte e in seguito la sezione scultura dell’Accademia di Belle arti di Carrara per poi dedicarsi a laboratori di teatro. Ama David Lynch e Wes Anderson, ma anche le commedie all’italiana di un tempo. Dal 2005 dirige la compagnia 7-8chili, dove si occupa di video-teatro. «Ho voluto tradurre questo mio bagaglio espressivo nel linguaggio video. Ho una telecamera in mano sin da quando sono bambino», continua Calvaresi. L’idea di un corto che si reggesse da sé arriva quindi automaticamente.

La copertina di “Olmo – un film di legno”

Olmo è un personaggio di legno che trascorre le proprie giornate rintanato nella sua dimora, ha molto tempo libero e «quando incontra una superficie dura in cui sbattere la testa, lui sbatte la testa», come recita la voce fuori campo all’incipit del film. Nel quartiere di Olmo vivono altri personaggi: i “Senza Testa”, “Testa Fina”, “Testa Vuota”, “Testa e Croce” e “zio Fusto”. La nomenclatura dei soggetti è costruita su giochi di parole e la fisionomia dei personaggi è coerente con il nome a loro assegnato. Tutti sono in legno, così come in legno è tutto il set: dagli interni, agli esterni, dai volti, agli oggetti.  «Questo materiale è sempre stato nella mia vita, mio zio era un falegname e ho sempre giocato con il legno da piccolo -racconta Calvaresi- lo considero un materiale vivo, in cui riconoscere il contatto con la natura». Tutto ciò che lo spettatore vede nel corto è stato costruito dal regista con tipologie di legno raccolte nel tempo. Tutto è, quindi, realizzato a mano oltre che con la testa. E se la domanda su come avviene l’animazione dei personaggi nel corto sorge spontanea nello spettatore, altrettanto spontanea è la risposta di Davide: «Tutto ciò che vedete è analogico, manuale, come se fosse un teatro dei burattini. Al pc ho inserito solo qualche passaggio di stop-motion». Sono le mani del regista a muovere i soggetti, a farli incontrare e a creare l’intreccio. «Il teatro di figura è ciò che di più antico ci portiamo dietro -afferma il regista- basta prendere un manico di scopa, metterlo al contrario e diventa un personaggio con i capelli. Con gli oggetti si può fare tutto».

Davide Calvaresi

Come un vero artigiano l’artista tesse la sua tela, rende viva la sua creazione, ispirandosi ai luoghi da cui proviene. Quella provincia in cui la vita a tratti appare spenta e silenziosa è anche il luogo nel quale rifugiarsi e lasciarsi sopraffare da un diorama naturale. «La cultura rurale è per me fondamentale ed è quella che mi permette di sviluppare una dimensione più reale con la vita», confessa Calvaresi. È un corto scarno, perché sgombro da fronzoli e forzature e volto invece all’essenzialità. Quella delle parole, dei sentimenti, del messaggio. Ci sono i sentimenti in Olmo – questo personaggino che si chiama come un albero e il cui accostamento di lettere sembrava giustamente semplice e immediato –anche se all’inizio lui sembra rifuggirli. Un atteggiamento apparentemente apatico e disilluso, lascia spazio con il succedere degli eventi ad un temperamento forte e coraggioso, ad un animo altruista e genuino. Al centro di tutto questo c’è l’incontro con Pina, un pezzo di legno proveniente dalle conifere dei Monti Sibillini. Un incontro casuale, accidentato, che si trasforma in una richiesta di aiuto, e di amore. «Olmo aveva perso la testa per quella testa persa», recita ad un tratto la voce fuori campo. C’è senz’altro una traccia di amore in “Olmo- un film di legno”. «L’uomo ha bisogno degli altri affinché possa dare un senso alla propria esistenza -spiega Calvaresi, nonostante si definisca un’anima solitaria – Olmo rappresenta un disagio che ha bisogno di un altro disagio per potere colmare il proprio».

Olmo

La musica e i suoni che accompagnano armoniosamente questa storia seguono la scia di essenzialità che caratterizza il film. Non è musica di riempimento, quella creata da Giampiero Mazzocchi, ma qualcosa di studiato. Poiché l’intento era quello di abbracciare in toto l’universo legno, è stato inserito nel corto anche il suono dei fuselli del tombolo per dare voce a Pina. «Olmo non parla e la prima voce che sente è quella della donna – racconta il regista – mi piaceva che fosse una sensazione acustica evocativa e raffinata».
Sullo schermo per una frazione di secondo anche le sembianze di Pinocchio. Lecito domandarsi se anche Calvaresi abbia voluto omaggiare il celebre burattino entrato nell’immaginario di tutto il mondo, attingendo dal simbolismo ad esso collegato. «L’idea del film nasce proprio il giorno in cui stavo facendo costruire piccoli Pinocchio a dei bambini -rivela- li guardavo e pensavo che volevo anche io il mio Pinocchio». Nasce così Olmo.
Davide confessa di essere emozionato per il premio ricevuto e la sua intenzione ora è quella di diffondere il corto, anche all’estero, e trasformarlo in uno spettacolo. «Pensavo che la stampa estera si focalizzasse soprattutto sulla scelta estetica invece ha apprezzato proprio la scrittura e i giochi di parole -conclude Calvaresi -. Questo lavoro nasce in un momento in cui non sapevo davvero dove sbattere la testa, cosa che accade spesso a chi cerca di portare avanti un percorso artistico. Ora mi tocca fare qualcos’altro».

 


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