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Bar chiuso in Piazza Mazzini
«La mia colpa è di non essere razzista
Non riaprirò, mi sento perseguitata»

MACERATA - Rebecca Raponi, titolare del Meet Bar, nella redazione di Cronache Maceratesi per raccontare la sua versione dopo il provvedimento del questore. «Hanno effettuato 12 controlli in un mese e mezzo senza mai trovare niente e con un dispiegamento di forze da far pensare all'arresto di un boss della mafia». Con lei un residente e il ragazzo che avrebbe voluto rilevare l'attività: «Mi sento in difficoltà solo perché sono un po' nero»
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Rebecca Raponi oggi pomeriggio nella redazione di Cronache Maceratesi

di Federica Nardi

«Dodici controlli in un mese e mezzo e non hanno mai trovato niente. E ora mi fanno chiudere per una settimana. Mi sento perseguitata: è un accanimento su di me perché tra i miei clienti ci sono anche neri. La mia unica colpa è di non essere razzista». Così Rebecca Raponi, 45enne di Corridonia e titolare del Meet Bar di Piazza Mazzini a Macerata, dice la sua dopo che ieri è arrivato il provvedimento di chiusura per sette giorni motivato dal fatto che il bar fosse frequentato anche da pregiudicati e che a inizio luglio ci fosse stata una rissa lì davanti. Per la Raponi una scusa come un’altra per assecondare un sentimento crescente di razzismo nei confronti dei neri. E non solo per lei. Perché oggi, ad accompagnarla nella redazione di Cronache Maceratesi, ci sono anche frequentatori e residenti della zona. Come Roberto Tirabasso, che abita da anni nel palazzo accanto. O Serigne Mbacke Diagne, 23enne di Macerata che avrebbe voluto rilevare l’attività prima del provvedimento.

La chiusura con i sigilli al “Meet Bar”

Tutto inizia a metà giugno, con il primo controllo durante le serate di Musicultura. «Sono venuti senza mandato e con i cani antidroga. Hanno chiesto i documenti a tutti i clienti. Erano sia in divisa che in borghese. Hanno controllato anche la cucina e alla fine non hanno trovato niente – racconta – stessa cosa un’altra volta che sono arrivati con i cani senza trovare niente. Una volta sono venuti a controllare per due volte in un giorno. I controlli sono stati effettuati prevalentemente dalla Polizia e dai Carabinieri – spiega – altre volte dai Vigili urbani. Non mi hanno mai rilasciato nessun verbale proprio perché non hanno mai trovato niente. Né tantomeno mi avevano fatto presente che tra la clientela potessero esserci pregiudicati, cosa che io non potevo assolutamente sapere.

Tra l’altro – aggiunge la Raponi – io apro alle ore 18. Prima i pregiudicati che fanno, stanno in casa ad aspettare me? Addirittura nel verbale c’è scritto che mi hanno fatto chiudere per la rissa avvenuta in piazza con cui io non c’entro nulla dato che il bar era anche chiuso e ci sono le telecamere per dimostrarlo».

Insomma per lei «la motivazione di chiusura deve essere un’altra. Questo accanimento si spiega solo perché da me vengono anche i neri. Io sono una persona tranquilla: non bevo, non fumo e non so nemmeno cosa sia una “canna”. E chiedo anche perché 12 controlli “a campione” in un mese e mezzo? Ogni volta che venivano da me non ho mai visto controllare anche altre attività. Così si crea solo un clima di insicurezza con uno schieramento di pattuglie come se si dovesse arrestare un boss della mafia. Una volta che ho avuto bisogno delle forze dell’ordine per un soggetto molesto nel bar, si sono presentati tre ore dopo».

Ha anche ricevuto una minaccia da un cliente che aveva cercato di allontanare perché molesto: «Mi aveva detto “Attenta che io ho fatto chiudere anche il Bar King” – continua il racconto della donna – e io adesso sinceramente passati i giorni di chiusura non voglio riaprire perché ho anche paura visto l’accanimento. Per me il bar resta chiuso anche perché non ne posso più. Solo che ora oltre al danno economico ho avuto anche un danno di immagine».

Serigne Mbacke Diagne, Roberto Tirabasso e Rebecca Raponi

Prima della chiusura, la Raponi stava cercando di cedere la licenza dell’attività a Diagne. Ma adesso è tutto in forse. «Ero già d’accordo con la proprietaria – racconta il 23enne – ma ora non so se voglio ancora prenderlo in gestione. Io mi sento in difficoltà solo perché sono “un po’” nero (motivo per cui gli hanno rifiutato anche diversi lavori, ndr). Perché i fatti sono che al bar non c’è mai stato casino, ce n’è molto di più in qualsiasi giovedì sera universitario».

Circostanza confermata anche dal “vicino” di casa del bar, Roberto Tirabasso, che vive lì da quattro anni: «Posso dire che le persone che frequentano il bar sono assolutamente tranquille – spiega Tirabasso – ovviamente bevevano come in tutti gli altri bar e non c’era nessun’altra differenza da altri clienti che potevano stare in altri bar vicini, se non quella del colore della pelle. Da quando sto lì, quattro anni, non ho mai sentito niente né avuto problemi. Mentre ho sentito molte persone lamentarsi del fatto che piazza Mazzini è considerata un salotto “bene” della città per cui non va bene che sia “mal frequentata”. Cioè che ci siano neri. Si crea così una separazione anche sociale dato che passa il messaggio che non conviene avere clientela di colore».

 


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