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“Apoptosi”, canzoni come foglie cadenti
Le disarmonie esistenziali del Guru

ASCOLI - Arriva l'opera prima di Massimo Marozzi, personaggio poliedrico della musica picena. Esordio sofferto e malinconico dopo 28 anni di migrazioni musicali, dallo spensierato pop anni '80 al rock di sostanza stile Springsteen. Quindici tracce arricchite dalla voce di Silvia Tedeschi
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di Luca Capponi 

Cadono le foglie. Si staccano da sé o vengono strappate, non senza dolore. E diventano canzoni. Dove è racchiusa la parte più intima, dove si urla e si piange, dove ci si mette a nudo. Pure se fuori è freddo. Pure se fuori c’è un mondo liquido che conta solo di emozioni usa e getta, buone da pubblicare sui social prima che qualcosa di più appetibile per il pubblico arrivi a sostituirle.

Massimo Marozzi, il guru

Quello di Massimo Marozzi è un grido tradotto in note e parole. Covato dentro in 28 anni di peregrinazioni musicali; dallo spensierato pop anni ’80 al rock di sostanza alla Bruce Springsteen, dal metal fino all’estremismo della non-musica. Il “Guru” (soprannome omen, mutuando quanto dicevano i latini), come è ben conosciuto tra le cento torri, ha sfornato la sua opera prima. Sedici tracce che grondano sangue, perché, dice lui, «la vita a volte ti asfalta».
Ed ha ragione. Tutto in “Apoptosi” (termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali di fiori, oggi usato anche in biologia per indicare la morte cellulare programmata) ce lo ricorda. «Parlo di malinconia, rimpianti, disagio, inadeguatezza, parlo del me stesso che si sa esprimere solo attraverso la musica» spiega Marozzi. Lui, classe 1970, con la musica ha sempre avuto uno stretto rapporto. La militanza in diverse band (su tutte gli Inverno), la scrittura, la passione filologica (il suo sito gurulandia.it è un archivio impressionante che contiene, tra l’altro, sezioni dedicate al noise/grind ma anche ai testi della disco “made in Italy”), il collezionismo (è arrivato a possedere 4.000 dischi), i concerti.

La copertina di “Apoptosi”

Ma perché aspettare tutto questo tempo per “palesarsi”? «Volevo lasciare qualcosa di tangibile, una traccia di quanto scritto negli anni -aggiunge-. Non mi interessano le classifiche o le piattaforme digitali, ci tengo però che le persone che mi conoscono lo facciano anche attraverso questo lato sommerso di me. “Apoptosi” è un’opera intimista e sofferta, dentro ci sono io, quello che sono stato, quello che sarei potuto essere e che non sarò mai. Per questo non voglio condividerlo con nessuno se non con chi mi conosce di persona. Questa è il mio primo ed ultimo lavoro, nato dalla sofferenza e da esperienze realmente vissute».

Con Silvia Tedeschi

Concetto interessante, quasi rivoluzionario per chi fa musica, che si estrinseca anche attraverso la scelta del supporto fisico. E di una voce, quella intensa di Silvia Tedeschi, senza cui il progetto non avrebbe potuto prendere la via definitiva. «Vero, senza di lei “Apoptosi” non sarebbe nato -conferma il Guru-. Non ero in cerca di una voce, ma della voce di Silvia. La conosco da tempo e so cosa può dare a un brano, ha regalato pathos, è riuscita ad entrare dentro il mio mondo dando un apporto fondamentale. Il suo è un talento cristallino che merita riconoscimento. C’è un’altra persona, poi, che devo ringraziare, ed è Valerio Tomassini di Popper Stopper Recz Studio».
Per il resto, Marozzi ha fatto tutto da solo. Testi, musica, arrangiamenti, produzione. «E’ stata dura, ma ogni parto difficile avviene con dolore e per me non è stato facile ritrovare le sonorità originali, concepite come erano al tempo» conferma.
La consapevolezza di calpestare questo pianeta terra come intrusi, le disarmonie esistenziali, la non appartenenza a qualcosa o a qualcuno, ma soprattutto la sincerità persino in un accordo di chitarra venuto così così, ma pur sempre immagine di un momento, di uno stato emotivo, di un sogno mal riuscito: l’albero perde le foglie, ma resta in piedi se conosce l’arte.


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