di Francesca Aquilone
Chi è cresciuto tra le scuole di musica di Ascoli negli anni dopo il 2008, avrà sicuramente visto un ragazzino dai capelli lunghi che suonava la chitarra e viveva a pane e rock. Di quel ragazzo oggi non è rimasto molto se non un umile neo-producer che vuol fare del successo degli altri il proprio orientamento musicale.
Dove sei cresciuto musicalmente?
«Ho cominciato a 15 anni per sbaglio alla scuola di musica Le Arti. Ero un rockettaro, suonavo con vari gruppi e ascoltavo soltanto rock con i miei amici. È stato bello, mi piaceva, ho conosciuto tante persone che col senno di poi mi hanno insegnato moltissimo come Jacopo Norcini Pala e Alessandro Charlie Mariani, veri cultori della musica».
E a livello di ascolti?
«Ad Ascoli ti avvicini alla chitarra perché senti i Nirvana e i Red Hot oppure perché magari hai avuto sempre quella propensione. Io ho deciso tardi, mamma voleva che suonassi il violino e inoltre ero incostante, mollavo gli sport, e anche a scuola non andava bene.
Avevo tanti interessi ma non portavo nulla a compimento…la musica invece è stata l’unica passione nella quale ho avuto costanza».
A 18 anni sei quasi “fuggito” verso Milano…
«Sono impazzito direi! A Milano ho potuto studiare e sono stato fortunato per questo, sempre con sacrificio. Ho frequentato il CPM e sono rimasto lì per sei anni. Ho avuto le mie esperienze, ho iniziato a capire che fino a quel momento avevo visto solo una faccia della musica.
Ho imparato a leggerla, mi sono appassionato al canto, ho iniziato a “farmi l’orecchio”, passando da un pezzo blues ad un seminario pop ad esempio.
Milano è tante cose, ti puoi perdere sia musicalmente che come persona. È stato un percorso lungo poiché quando passi dalla provincia alla grande città subito ti arriva una botta di umiltà…ti fanno abbassare la cresta!».
Quindi Milano è stato un lungo “rito di passaggio”?
«Nella musica vince chi si impegna e si sacrifica di più, è una disciplina.
Milano mi ha fatto capire che il mondo è grande, bello, enorme, con mille sfumature. Non esistono solo quelle tre cose che ti racconta il tuo amico e stare su mi ha aiutato a comprenderlo».
Però adesso sei ad Ascoli!
«Si sono tornato…ho un enorme rispetto per chi mi ha insegnato e per tutto quello che ho imparato ma sono arrivato ad un punto di totale apatia. Facevo il cameriere, studiavo, iniziavo a muovere qualche passo con la mia musica ma c’era una sorta di meccanicità…non ero abbastanza maturo da capire cosa dovevo fare.
Il mio primo disco nel 2015 mi ha portato a capire tutto questo. Erano pezzi scritti da me, ma non miei. Da una traccia chitarra e voce era diventato un qualcosa di ultra-pop che sono quasi arrivato a rinnegare. Definirei quel disco una grande master class, ma non una mia rappresentazione».
Quando ti vedevo a scuola di musica eri un po’ il gallo cedrone e ora invece sto parlando con una persona completamente diversa…
«(ride) Ero un illuso. Nella musica l’1% spacca e diventa il nuovo Travis Scott o Dua Lipa. Puoi avere talento ma solo il duro lavoro alla fine paga.
Il segreto per continuare a studiare è il non accontentarsi e arrivare a capire che quando ti senti arrivato in realtà non hai capito nulla. Ho scoperto il jazz ad esempio e mi sono sentito piccolo, poiché si attivano altri processi mentali.
Quando sono tornato mi sono messo a lavorare come cameriere, ho affrontato una crisi d’identità e credevo di non meritare niente. Per molto tempo non ho toccato la chitarra, scrivevo ancora tantissimo, pensavo in musica e avevo questo pensiero fisso, ma c’era una distanza».
Da qui è arrivata l’idea dello studio?
«Volevo imparare a farmi le cose da solo, volevo trovare un metodo, libri, tutorial su YouTube. Penso di aver rotto le scatole a tutti perché volevo fare e alla fine, dopo l’ennesima esperienza come cameriere e un corso da tecnico del suono, ho deciso di creare lo studio.
Al momento è funzionale, carino, ci fai tutto con ottimi materiali. Ma soprattutto ora ho il mio spazio, i miei libri…durante il lockdown ho usato tutto il tempo possibile per finire lo studio e continuo ad investire su di lui, quindi su di me».
Con quale concept è nato?
«Non ho mai voluto fare uno studio per far registrare tutti, non voglio mettermi a pari di altri professionisti che ci sono in Ascoli. Il mio concept è ricercare situazioni come lavorare con un team o poter chiamare persone di cui mi fido e con le quali voglio lavorare.
Io non sono un produttore e non mi spaccio per tale, il mio è un posto in cui cerco di lavorare con chi ha una buona idea».
C’è un artista con il quale vorresti collaborare?
«Sinceramente mi piacerebbe tantissimo essere né un autore né un produttore né un musicista né un artista. Vorrei stare dietro al successo di qualcun altro ma lavorare con la musica con sincerità, dare l’idea giusta alla persona giusta, essere quel qualcuno che ha svoltato l’idea di qualcun altro.
Non credo nel concetto dell’essere un “Wannabe”, poiché la fama è un elemento molto relativo. Vorrei studiare abbastanza per essere ritenuto degno di fare un lavoro importante».
Sogno nel cassetto?
«Innanzitutto, vorrei finire lo studio, renderlo un piccolo diamante. Poi se posso volare altissimo con la fantasia ti direi lavorare con Dua Lipa o perseguire il sogno rock come chitarrista».
Com’è stato affrontare tutto questo con un’anima artistica come quella di Alessandra Ercoli?
«Quando fai questo lavoro sei frustrato perché vorresti di più e lo stare male assieme, il litigare mi faceva capire cosa volevo fare nella musica. Lei è sempre stata una validissima alleata, è brava con la penna, con le armonie, ha uno spiccato senso estetico, oltre ad avere una voce assurda.
E’ quella persona che arriva tardi alle serate, ma appena apre la bocca non ti permette di lamentarti perché ha una grinta inattaccabile. A livello musicale abbiamo condiviso tanto e sono certo che quando Alle riuscirà ad organizzarsi nella musica, con un lavoro su di lei, finalmente non sarà più un diamante grezzo».
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