di Franco De Marco
Divertente siparietto, venerdì sera al teatro Ventidio Basso, in occasione del penultimo appuntamento de “La Milanesiana”, il festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi, che si chiude dopo quattro intense giornate che hanno animato l’offerta culturale post coronavirus.
Il maestro Pupi Avati
Il protagonista della serata era il regista cinematografico Pupi Avati intervistato dal critico Ranieri Polese. Nel corso degli interventi di presentazione, il notaio Francesca Filauri, presidente del Circolo Culturalmente, alla quale si deve gran parte dell’organizzazione della manifestazione ad Ascoli, ad un certo punto, presa dall’entusiasmo e dalla foga illustrativa, ha definito Avati «il più grande regista di tutti i tempi».
Un po’ troppo, onestamente. Che Avati sia un importante e significativo regista italiano, è fuori di dubbio, ma che sia un numero 1 mondiale non si può dire. Insomma, come si dice in ascolano, Francesca Filauri se ne è un po’ passata. E naturalmente il primo a ironizzarci è stato il cineasta il quale, appena ha preso il microfono, ha scherzato sulla troppo incensatoria definizione. «Sulla lapide – ha detto – ci starebbe proprio bene la scritta il più grande regista del mondo. Ma non è vero e ve lo dico».
Francesca Filauri (foto Vagnoni)
Al di là di questo siparietto, il regista, che ha firmato 50 pellicole e 51 sceneggiature, ha incantato il pubblico con il racconto della sua vita, della sua passione per la musica («Volevo fare il jazzista suonando il clarinetto poi ho capito che mi mancava il talento anche perché con me suonava un certo Lucio Dalla»), del suo avventuroso avvicinamento al cinema e anche dei suoi amori. Quella di Avati, un istrione, un affabulatore, capace di tenere sempre alta l’attenzione del pubblico, è stata una performance molto intimistica, piacevolissima.
Nel corso della serata il professor Stefano Papetti ha ricordato che si deve alla presenza di Pupi Avati a Fermo, nel 2011, per girare “Il cuore grande delle ragazze”, il restauro di un dipinto, ispirato a Caravaggio, presente nella Pinacoteca di Ascoli. «Ne parlai con Cesare Cremonini che faceva parte del cast e lui si adoperò per trovare le risorse per il restauro» ha ricordato il direttore dei musei ascolani.
Elisabetta Sgarbi
Sabato 11 luglio si chiude “La Milanesiana” di Ascoli, sempre alle 21, nel teatro Ventidio Basso, con prologo letterario di Nuccio Ordine e spettacolo di Mario Incudine dedicato alle serenate. Questo festival ha segnato la ripresa delle attività culturali ad Ascoli dopo il digiuno da coronavirus. Era ora.
Che tristezza, però, vedere il Massimo a capienza ridotta (massimo 200 persone) per rispettare le norme anticontagio. Nei palchi massimo 2 persone congiunte, platea largamente vuota per consentire il distanziamento. E misurazione della temperatura all’entrata. E’ importante ripartire ma speriamo che il ritorno alla normalità giunga al più presto. Ultima notazione: mentre nel Ventidio Basso scrupoloso rispetto delle norme anticontagio, di fuori, a 5 metri, in via Trivio-Chiostro di San Francesco, tavoli e allegre compagnie a gogò.
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