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Bello lavorare da casa: ma alla lunga il centro città si spegne lentamente

DOPO gli “scollinamenti” di Ferragosto, da lunedì la maggioranza torna “al lavoro” (chi ce l’ha, o a cercarlo). Dopo le novità apportate dalla lunga “chiusura per virus” nel mondo del lavoro, ora si devono guardare anche gli effetti collaterali. Qualche appunto sui centri delle città, specialmente quelle che vivono di uffici e pendolarismo
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di Epifanio Pierantozzi
Tutti o quasi per ora tifano per lo “smart working”. O tele lavoro, o lavoro da casa, o lavoro da lontano che dir si voglia. Ma c’è anche chi, distaccato osservatore, non è d’accordo sul lavoro che dà sapore alla giornata
DA CASA, SEMPRE LAVORO È – Chi ha avuto la fortuna, o la necessità, di lavorare da casa collegato tramite web vorrebbe continuare a farlo. Chi è favorevole a continuare da casa, per almeno tre o quatto giorni la settimana, sta assaporando la pigrizia di una sveglia ritardata, la comodità di un “non viaggio” in ufficio con spuntino aprendo il frigo di casa o del tuo bagno sempre a disposizione. E’ anche vero che il web-lavoro è il sogno di ogni casalinga la quale, di lavori, ne fa due o tre, ma con scuole o asili chiusi – e ora con le vacanze estive – non riuscire a staccare dalla gonna i figli (piccoli o grandi che siano) non permette quel distacco che prima dava ansia, e ora… anche.
PRIMAVERA 2021 – Tutto bello, tutto o quasi positivo in questi primi mesi, ma allunghiamo lo sguardo oltre l’autunno, facciamo anche dopo l’inverno, e proviamo a immaginare scenari pre-Pasqua 2021.
EUFORIA DROGATA – Ormai l’euforia di lavorare da casa è passata. Tutti gli aspetti positivi vengono considerati “una conquista irrinunciabile dei lavoratori”, eppure molti – i più accorti e attenti prima, gli altri un po’ alla volta – pensano con nostalgia ai noiosi viaggi in treno o bus durante i quali ci si confrontava o si conosceva gente. Persino i semafori rossi o il traffico a rilento davano un sapore diverso al racconto della giornata. Non parliamo poi della vita, quella – di contatto pettegolezzi sguardi complici sorrisi od occhiatacce nuovi colleghi/e notizie da portineria anteprima anticipazioni incontri alla macchinetta del caffè – che ci teneva connessi con gli altri e che ormai o passa dai social o ci vede tagliati fuori “dal sale della ditta”.
FINIRE “IN RETE” – Poi, dopo qualche mese di video-tastiera da casa, ci si è resi conto che le belle pause-caffè, ma anche una semplice sigaretta, uno svogliato rallentamento delle risposte allo sportello o una pratica da un ufficio all’altro (non parliamo poi degli specialisti capaci di vagare lungo i corridoi ministeriali o statali per ore con la cartellina sotto il braccio a mo’ di giustificazione, professionisti di cui si rischia di perdere memoria), sono bei ricordi di un passato in cui non si finiva “in rete”. Ora, man mano che dirigenti e direttori affinano gli strumenti di controllo, resta tutto in memoria: tempi di ricezione di una pratica o ricerca o relazione, tempo di esecuzione e persino cosa si è fatto, tempo di consegna. Il “fancazzismo” è sotto l’occhio di un algoritmo che se ne frega del fatto che tuo figlio ti reclama, l’acqua bolle, l’amico ti ha chiamato al cellulare o, semplicemente, volevi guardare il mondo dalla finestra o dal balcone. Non puoi più svolgere una mansione nella metà del tempo che impiegano i tuoi colleghi, e poi svagarti un po’. Il “Grande Fratello” non è più un bel libro o un pessimo programma, ma una realtà che ti colpisce da vicino.
DANNI COLLATERALI – Poi vediamo i “danni collaterali” che derivano dallo smart working.
Bar, ristorantini e pizzerie sorti vicino a uffici pubblici, privati, Università, Tribunali e quant’altri ormai delegano al telelavoro, o hanno chiuso o stanno sopravvivendo (non parliamo dei bar interni, quelli sono spariti). I mercatini o i mercati ambulanti si stanno restringendo. I negozi in centro – e per questo vicini a uffici ormai senza più lavoratori (e lavoratrici) presenti – chiudono le serrande o, i più accorti, adattano l’orario di apertura a seconda del rientro dei clienti in ufficio, o   semplicemente si spostano dove gli “impiegati senza scrivania” vanno a fare spesa: centri commerciali vicino casa.
IN CASA, LITIGIOSI – Così, tra smart working e telelavoro a singhiozzo, i centri città si svuotano ancora di più, le relazioni sociali sono sempre più filtrate dai social (che, sarà bene ricordarlo, vede i gestori proprietari-padroni di tutto ciò che pubblichiamo), le conoscenze e i colleghi più virtuali che mai, e si torna al cane-da-piscio per parlare faccia a faccia con qualche altro umano, mentre i quadrupedi si annusano. Già. Una gran bella vita, con poco stress e tanto tempo libero in più, ma se hai un bilocale con prole o un appartamento condominiale con un coniuge che ormai sopporti, siamo sicuri che stiamo meglio?
P.S.: Abbiamo citato e mescolato il concetto di smart working e tele-lavoro (hanno anche regolamentazioni diverse), ma è bene precisare che il Tele-lavoro è propriamente lavoro da casa da postazione fissa, orari non flessibili e organizzazione similare a quella dell’ufficio. Lo Smart working è lavoro agile, non importa dove e quando, hai flessibilità di luogo di lavoro e anche di orari, lavori per obiettivi e utilizzando sistemi di monitoraggio dei flussi di lavoro online condivisi coi colleghi. Quest’ultimo, se preso seriamente, è molto performante, ma anche tanto più impegnativo, perché prevede una flessibilità e reperibilità da parte del lavoratore più modulata e ampia che non stare in ufficio. In Italia sul lavoro agile ancora non siamo totalmente pronti, perchè prevede una maturità sociale e professionale (e giuridica!) che ancora non c’è del tutto. Il rischio che si diventi degli pseudo-autonomi seppur dipendenti, ma con responsabilità lavorative da liberi professionisti, che si lavori più del dovuto e non si pratichi con coerenza il cosiddetto “diritto alla disconnessione” è altissimo.

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