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Giacomo Lelli
e la magia del flauto:
nel segno dei Jethro Tull

MUSICA - Il flautista di Spinetoli parla della sua carriera, tra classica, rock e contaminazioni. Dall'esperienza con Ian Anderson alla passione per il vino. Citando Goran: "Le emozioni non le compri al supermercato, è l’artista che te le dà"
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di Gabriele Vecchioni

In margine al Jethro Tull Event, concerto tenutosi a Spinetoli lo scorso 13 agosto, abbiamo rivolto qualche domanda al maestro Giacomo Lelli, spinetolese di nascita e tornato nel suo paese a riproporre, con il suo “flauto magico”, la musica del famoso gruppo inglese dei Jethro Tull, nome mitico per gli appassionati di progressive rock, autentici pionieri dell’uso di questo strumento al di fuori delle sale da concerto.

Il flautista Giacomo Lelli

Nemo propheta in patria, recita un detto in lingua latina. Il motto non si può certo applicare nel tuo caso, visto il successo che hai avuto. È stata una bella manifestazione d’affetto dei tuoi compaesani, mi sembra…

«Sicuramente sì. Sono mancato in paese per circa vent’anni; mi sono trasferito in Veneto nel 1999 e sono tornato nelle Marche da pochi anni, nel 2015. È stata una manifestazione di affetto e di stima che mi ha fatto piacere. Posso dire che è un sentimento reciproco».

Il momento della scelta dello strumento musicale è un momento “magico” (di nuovo questo aggettivo…). Com’è avvenuto il tuo incontro con il flauto?

«Il primo incontro con il flauto è avvenuto a sei anni, alle elementari, grazie a mio padre, maestro elementare con la passione della musica. Aveva formato un’orchestrina di bambini e ognuno suonava uno strumento; nell’orchestra c’ero anch’io, con il flauto dolce. Mi piacevano la chitarra e il piano; poi, dietro suggerimento di mio padre, ho iniziato, a dieci anni, a studiare il flauto traverso: è nata la passione ed è ancora il mio strumento».

Il flauto è uno strumento antico, uno dei più antichi della storia dell’umanità. Si costruivano flauti con pezzi di canna, mi sembra…prima di arrivare al tuo strumento, il flauto traverso. Cosa significa per te suonare il flauto?

Momenti dello Jethro Tull Event

«È vero, il flauto è uno strumento antichissimo. I primi strumenti erano flauti “dritti” di legno o di canna; poi è nato il traversiere, flauto di legno antenato del moderno flauto traverso: è il flauto che si ritrova nei concerti di musica barocca. È stato il flautista tedesco Theobald Böhm che ha perfezionato lo strumento (nell’Ottocento) e così siamo arrivati ai nostri giorni. Cosa significa per me suonare il flauto? Posso dire che è la mia vita. Ho iniziato a studiare e suonare il flauto a dieci anni, ho sempre avuto ottimi insegnanti, sia nei miei studi privati sia in Conservatorio. Lo suono da 45 anni e non mi sono ancora stancato».

Sentendoti (e vedendoti) suonare, si intuisce la tua partecipazione, si nota che ti piace suonare insieme ad altri musicisti. Non vorrei dire una banalità, ma non è solo “questione di feeling”; dietro a tutto questo ci sono studio e applicazione costanti, presumo…

«Sì, mi piace suonare con altri musicisti. C’è tanto studio dietro; ancora oggi, a distanza di tanti anni, ci sono novità e occorre essere aggiornati. Sono “sul pezzo”, come si dice in linguaggio giornalistico; mi piace esplorare diversi generi: dalla musica classica (che ho studiato al Conservatorio) a quella moderna, al cantautorato, al rock, alla bossa nova, non sono un jazzista ma seguo anche il jazz. Sul palco non cerco la performance; suonare non deve essere angosciante, devo divertirmi. Nel senso che devo provare piacere a “fare musica insieme”»

Hai suonato con Ian Anderson, con Clive Bunker. Hai un debole per i Jethro Tull… Hai partecipato a eventi a loro dedicati.

«Ho suonato in diverse convention dedicate ai Jethro Tull; nel 2006 ho duettato con Anderson in quattro loro pezzi. Con Clive suono da tempo, è facile suonare con lui, è un elemento trainante. Mi piacciono i Jethro Tull, ho iniziato a suonare loro pezzi in Veneto, con Lincoln Veronese, musicista con il quale ancora collaboro da tempo.
In realtà, sono diverse le partecipazioni con altri artisti. Qui ne ricordo solo due. Con Flavio Oreglio, cabarettista (era il “poeta catartico”) e bravo musicista, ho partecipato alla realizzazione di un suo disco, già nel 2006, e con Goran Kuzminac, musicista serbo trasferitosi in Italia. Questa è stata una collaborazione lunga, ho suonato con lui per ben 26 anni, fino al 2018, anno della sua morte,  Per chi fosse interessato, la mia attività è dettagliata sulla mia pagina Facebook (Giacomo Lelli flutist)».

Lelli con Ian Anderson

La tua formazione musicale è classica ma ti piace la contaminazione con linguaggi musicali diversi. In fondo, tutto serve per portare la musica alla gente…. o la gente alla musica: il risultato è lo stesso.

«Sì, in Conservatorio si studia musica classica… ma non mi sono mai fermato a un genere musicale. Mi è sempre piaciuto spaziare, tentando di “cambiare” il suono del flauto, adattandolo al genere musicale. È una sorta di dialogo con l’ascoltatore…».

In questa mission sei forse facilitato dal tuo strumento, presente nella storia dell’uomo dai primordi e quindi accettato senza difficoltà quasi come simbolo della musica stessa. Ho letto che il violoncello è lo strumento che più si avvicina alla voce umana; possiamo dire che il flauto è quasi la voce dell’anima?

«Sì, è così. Ma questo è valido per tutti gli strumenti musicali. Ogni strumento ha caratteristiche peculiari che dànno emozioni. Lo strumento deve dialogare con l’ascoltatore, deve emozionarlo. Mi piace riportare una frase di Goran: “Le emozioni non le compri al supermercato, è l’artista che te le dà”. Per suonare uno strumento non basta la tecnica… e il pubblico lo sente, percepisce se l’artista ci mette il cuore. Il flauto è uno strumento molto particolare, che si adatta a diverse situazioni. Molti musicisti optano, tra gli strumenti a fiato, per il sassofono, perché è più eclettico; non è così per me: preferisco il flauto e non lo abbandonerò. Un aneddoto: anni fa, suonavo in teatro. Proposi Bourée, un pezzo classicheggiante. A fine concerto, una signora si avvicinò e mi disse: “Complimenti. Non pensavo che con il flauto si potessero suonare certi pezzi”».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«Il mio unico progetto è “fare musica”. Ho in corso diverse collaborazioni; quella alla quale tengo di più è con Paolo Capodacqua (già chitarrista di Claudio Lolli) e con Giuseppe Morgante. Partecipo a diverse jam session col batterista Massimo Manzi, amico personale, un jazzista che proviene dal mondo progressive e un’altra con un gruppo locale, il Trio Gialese, con Alessio Giuliani e Sergio Capoferri. La musica di quest’ultima formazione ha costituito il sottofondo musicale dell’evento “Stelle cadenti… tra scienza e musica”, alla Sentina di Porto d’Ascoli, quest’anno».

Un’ultima curiosità. So che oltre alla musica, hai un’altra passione: il vino.

«Sì, il vino è l’altra mia passione. Ma, al di là di questo, è necessaria una precisazione. Vivere di sola musica nel nostro Paese è difficile: è un’occupazione considerata ancora come hobbystica. In un Paese come il nostro, che dovrebbe essere (e per certi versi lo è) culturalmente all’avanguardia, la musica è considerata da tanti un’arte minore, un hobby appunto. Ho “approfittato” di questa mia seconda passione per avviare un’attività che mi permettesse di seguire le mie inclinazioni. La musica occupa sempre gran parte del mio tempo ma ho aperto il wine shop “Il Conte di Villa Prandone” a San Benedetto del Tronto, in collaborazione con una nota casa vinicola, con vigneti sulle bellissime colline che si affacciano sull’Adriatico. Un altro tipo di arte, legata al territorio. Vorrei chiudere con un binomio che io considero perfetto, musica e vino, ascoltare musica con un calice di rosso, cosa chiedere di più…».

 

 


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1 commento

  1. 1
    Giacomo Lelli il 24 Agosto 2020 alle 22:46

    Un ringraziamento all’autore di questa intervista, il giornalista Gabriele Vecchioni ed al gruppo “Lincoln Quartet” più Clive Bunker capitanati da Lincoln Veronese con cui ho suonato il 13 Agosto scorso a Spinetoli (AP).

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