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Passivo di 298 milioni, denunciati in 6
E’ il crack edilizio più clamoroso
(Video)

ASCOLI - L'operazione "Nemesi" è arrivata fino al Lussemburgo, sulle tracce di una società fallita e delle sue oscure manovre. I risultati del grande lavoro della Guardia di Finanza
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Operazione "Nemesi"

E’ una delle indagini più importanti degli ultimi anni, uno dei crack più clamorosi nel mondo dell’edilizia marchigiana, con propaggini anche in Lussemburgo. Basti quantificare parte della massa fallimentare recuperata, che si aggira sui 70 milioni di euro. Si chiama “Nemesi” e coinvolge, tra gli altri 6 persone e una società ascolana.

Operazione Nemesi

L’indagine della Guardia di Finanza di Ascoli, coordinata dalla Procura, nel mese di giugno ha visto l’esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip, cui sono seguite perquisizioni nelle città delle cento torri e a Roma presso gli uffici di due imprese, di uno studio di un consulente e di filiali di due istituti di credito e la notifica di un ordine di esibizione documentale ad una società fiduciaria di amministrazione e trust di Milano, coinvolta in relazione a diversi rapporti fiduciari intestati a soggetti sottoposti alle indagini.

L’operazione “Nemesi” ha disvelato gli ambiti dell’internazionalità di uno dei maggiori crack degli ultimi anni di una società ascolana già operante nel settore dell’edilizia, depauperata dei propri beni, che annovera ad oggi un passivo di 298 milioni di euro, rappresentato in gran parte da debiti bancari (circa 208 milioni di euro), dichiarata fallita dal Tribunale nel novembre del 2019 in conseguenza della rinuncia, da parte del management aziendale, nel portare avanti un concordato “in bianco” a cui la medesima aveva fatto ricorso ad aprile dello stesso anno.

Determinanti, anche in questa circostanza, i contributi dei finanzieri “Computer Forensics e Data Analysis”, che hanno curato l’esecuzione delle complesse indagini di polizia giudiziaria, i quali hanno partecipato alle perquisizioni, occupandosi di scandagliare diversi apparati informatici, al fine di rinvenire – come, poi, successo – documenti, file e tracce digitali transitate nel tempo nelle “memorie” dei dispositivi.

Alquanto articolata la ricostruzione del crack effettuata dalle Fiamme Gialle che, tra l’altro, ha consentito di delineare condotte, vicende e distrazioni, poi “chiarite” in Lussemburgo attraverso l’esecuzione di una specifica Commissione rogatoriale.

Si delinea, quindi, la posizione del management della società fallita, composto da tre membri del consiglio di amministrazione, oggi indagati unitamente ad altri tre professionisti (commercialisti ascolani, membri del Collegio sindacale della stessa fallita, denunciati per “concorso”); avevano messo in atto un preciso e precostituito disegno, attraverso il quale , con una serie vorticosa di iniziative illecite – ed anche con l’ausilio di società anonima lussemburghese, risultata riconducibile ai tre membri del cda indagati e controllata da altre due società anonime lussemburghesi – si è arrivati ad una bancarotta pianificata della società picena, “svuotata” degli asset patrimoniali di maggiore rilevanza finanziaria, al fine di inibire i creditori.

Tra i reati di cui dovranno rispondere, a diverso titolo, le sei persone indagate c’è quello di “bancarotta fraudolenta aggravata da reato societario”:  dal 2011 al 2017 avevano truccato i bilanci, continuando così l’attività societaria in assenza di requisiti economico-patrimoniali, con la conseguenza di veder incrementato il deficit patrimoniale che, alla luce delle rettifiche che si sarebbero dovute apportare, è passato dai 3 milioni di euro del 2011 a più di 16 milioni di euro del 2017, aggravandone così il dissesto in atto di oltre 13 milioni di euro.

Per quanto attiene ai tre indagati, nonostante fossero consapevoli dello stato di dissesto della fallita – e partecipi alle delibere assembleari con cui erano state distratte le azioni della controllata green company – attraverso il loro parere favorevole espresso nelle relazioni di accompagnamento ai bilanci chiusi dal 2012 al 2017, attestavano falsamente la veridicità e la correttezza della situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico dell’esercizio, realizzandosi, così, omissioni agli obblighi di controllo e di vigilanza previsti dal codice civile a presidio dell’operato degli amministratori, alla denuncia di fatti censurabili, non impedendo la formazione e l’approvazione delle false comunicazioni sociali.

I titoli azionari dell’importante società operante nel campo della generazione di energia da fonti rinnovabili e l’intero capitale sociale di una società immobiliare proprietaria di un’area edificabile di oltre 87.000 metri quadrati a “Tor Tre Teste” (Roma), per un valore di mercato complessivo di circa 70 milioni di euro, è quanto, di fatto, rientrato nella disponibilità della società fallita per effetto dell’esecuzione del sequestro preventivo richiesto dalla Procura della Repubblica di Ascoli ed accolto dal Gip.

Sequestro preventivo significativamente “confermato”, nella solidità degli elementi di prova raccolti e delle indagini corrispondenti, dal Tribunale di Ascoli Piceno, che ha respinto il ricorso proposto dagli indagati e dai legali rappresentanti delle società che hanno subìto il sequestro.

Grazie all’operazione “Nemesi”, si sono quindi ristabiliti in capo alla società fallita i valori di cui era stata depauperata, consentendo il recupero, alla massa fallimentare, di attività per un valore di circa 70 milioni di euro.

 


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