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Operazione “Arcipelago”,
è stata smantellata
maxi rete di aziende e “caporali”
(Il video)

ASCOLI - L'operazione ha portato alla luce attività di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e, in alcuni casi, di impiego di manodopera clandestina da parte di decine di imprenditori. A complicare il lavoro degli inquirenti, la reticenza delle stesse presunte vittime, facilmente ricattabili per via dei permessi di soggiorno temporanei
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Sono decine gli imprenditori di aziende agricole coinvolte nella maxi operazione anti caporalato portata avanti dai Carabinieri del Comando provinciale di Ascoli e del locale Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro, coordinati dalla Procura della Repubblica di Ascoli.

Foto d’archivio

Al termine di una complessa e articolata attività d’indagine denominata “Arcipelago”, è stata individuata e smantellata una rete di decine di persone, coinvolte a vario titolo, in un’attività di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ed in alcuni casi anche di impiego di manodopera clandestina (leggi qui).

L’indagine, partita dalla Stazione Carabinieri di Montalto Marche, grazie ad una approfondita conoscenza del territorio, è durata diversi mesi e si è sviluppata con appostamenti nei campi per filmare l’attività lavorativa, intercettazioni, controlli nelle aziende.

Anche con l’identificazione e l’interrogatorio dei braccianti, è stato possibile raccogliere concreti elementi di colpevolezza a carico degli oltre trenta indagati (titolari di aziende agricole in tutto il marchigiano e intermediari di origini pakistane) in ordine al reato di Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in concorso.

I Carabinieri, costantemente coordinati dalla Procura ascolana, hanno dimostrato che alcuni “caporali” (intermediari illegali di mano d’opera) da mesi sfruttavano, in concorso con i titolari di aziende agricole, il lavoro di oltre settanta braccianti di origine pakistana, la gran parte dei quali con permessi di soggiorno temporanei per lavori stagionali e quindi in più facilmente ricattabili (alcuni invece sono risultati clandestini sul territorio nazionale), alloggiati in precarie condizioni igienico sanitarie e gravemente sottopagati.

L’indagine, resa ancora più complessa, oltre che per la ritrosia dei soggetti sfruttati a collaborare, anche per la comprensione dell’ idioma “urdu” (un dialetto pakistano, decifrato grazie alla perizia di interpreti), ha consentito di arginare un pericoloso fenomeno sociale e lavorativo ancora poco diffuso nel marchigiano.

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