di Andrea Ferretti
Oggi, 60 anni fa, la prima di Carlo Mazzone con l’Ascoli. Ovviamente da calciatore. Fu la gara di esordio del giovane difensore proveniente dalla Roma, che l’aveva già mandato a farsi le ossa alla Spal e al Siena dopo avergli fatto assaggiare due volte la Serie A. Era il 13 novembre 1960, e l’allora Del Duca Ascoli giocava all’Ardenza di Livorno.
Carlo venne schierato nel ruolo di centromediano (poi libero) che, insieme al vecchio stopper, oggi si chiamano centrali difensivi. Esordì in maglia bianconera in quel ruolo che fino ad allora era stato di Giuliano Torelli, ascolano doc e idolo della tifoseria che, per contestare questo avvicendamento di un “indigeno” con uno “straniero”, addirittura notte tempo segò i pali delle porte del campo Squarcia (il Del Duca cominciava a prendere forma perché il taglio del nastro avvenne nel 1962) il vecchio impianto nel cuore della città oggi dedicato alla Quintana. I due ragazzi, oggi baldi ottantennni, sono sempre rimasti molto amici e quando si incontrano ancora scherzano sempre su quell’episodio.
Quel giorno Torelli venne dirottato dall’allenatore Mezzadri nel ruolo di terzino destro, e la Del Duca si schierò a Livorno con questa formazione: Persico, Torelli, Oddi, Bonciani, Mazzone, Montanari, Tenente, Ghedini, Firotto, Brenna, Santopadre. Finì 1-1. Era la settima di andata. Livorno in vantaggio con Mungai al 21’pt, pareggio di Ghedini al 29’st. Mazzone aveva di fronte Gratton, bomber del Livorno, ed era atteso a questo “esame” che superò a pieni voti.
Tanto che il giorno dopo sui giornali la sua prova venne definita “meravigliosa”. E ancora: “Gratton, un centravanti che non ha bisogno di lunghe presentazioni, non è riuscito ad effettuare un solo tiro a rete. Mazzone è stato superlativo: sempre presente nei rabbiosi contropiede degli “amaranto”, non si è quasi mai accontentato di spezzare con tempestivi interventi di testa le azioni degli avversari, ma si è preoccupato di costruire l’azione per i propri compagni di squadra, appoggiando i laterali e sulle ali e spingendosi con la palla al piede fino al limite dell’area avversaria”.
Dalle cronache nazionali a quelle locali, dalla preziosa raccolta del figlio Massimo: “Sicura e decisiva prestazione dell’esordiente Mazzone, che ha permesso un più proficuo appoggio alla prima linea”.
Insomma, quel difensore prometteva più che bene. Aver giocato nella Roma in A per un ventenne dell’epoca, non era cosa di tutti i giorni. A Roma lui no volle tornare. Volle restare ad Ascoli e mise le radici in una città che non ha lasciato più. Dove si è sposato con Maria Pia, dove sono nati i suoi figli Sabrina e Massimo, i suoi nipoti Vanessa, Alessio e Iole, il suo pronipote Cristian.
Nessuno, però, quel 13 novembre 1960 avrebbe pensato che Carletto Mazzone sarebbe diventato il sinonimo dell’Ascoli Calcio, un’icona bianconera, il protagonista dopo oltre dieci anni di una cavalcata che portò l’Ascoli del presidentissimo Costantino Rozzi, in 24 mesi tra il 1972 e il 1974, dall’anonimato della Serie C ai fasti della Serie A, quando ancora era un campionato quasi impossibile da raggiungere, a sedici squadre, dove salvarsi (come ha più volte fatto l’Ascoli) per una piccola squadra di provincia era come vincere lo scudetto.
Mazzone è stato poi bianconero per altre 579 volte, per un totale di 580 presenze: 211 da giocatore (la maggior parte con la fascia da capitano al braccio) e 369 da allenatore scrivendo le pagine più gloriose del grande libro della storia bianconera lunga 122 anni. Personaggio amato da tutti, a prescindere dai colori che ha indossato e difeso nel corso della sua quarantennale carriera di tecnico. Non è un caso che gli sia stata intitolata la nuova Tribuna Est dello stadio “Del Duca”, inaugurata da lui stesso.
Di Mazzone allenatore è stato detto, raccontato, scritto e mostrato di tutto. Ci limitiamo a un solo numero, probabilmente irraggiungibile: le 795 panchine di Serie A. Nessuno come lui.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati