Non si fermano – nonostante il Coronavirus – le donazioni di sangue del gruppo Avis dei Sibillini, con sede in Amandola e che raccoglie Nel ricordare che i donatori dell’AVIS provengono dagli 11 paesi della Comunità Montana a cavallo fra le province di Ascoli e Fermo.
«Gli appelli e le rassicurazioni sulla sicurezza del sistema trasfusionale e del rischio nullo sulla possibilità di trasmissione del virus attraverso la donazione – ha affermato il presidente Franco Rossi nell’assemblea ordinaria dei soci – ha consentito una rapida risoluzione della situazione che è tornata ai livelli ottimali già dal successivo mese di aprile dove sono state raccolte ben 58 unità di sangue».
La comprensibile paura di poter infettare i riceventi e di contrarre il virus recandosi presso le unità di raccolta, è stata vinta grazie al senso di responsabilità e di condivisione dei numerosi appelli da parte del sistema sanitario, che altrimenti si sarebbe trovato a dover interrompere molte terapie salvavita legate a quel prezioso liquido che periodicamente viene donato.
«I donatori hanno risposto all’appello – ha aggiunto Domenico Annibali, vice presidente – pur nel disagio si continuare a sopportare le ormai pluriennali limitazioni che il terremoto del 2016 ci aveva imposto e che, nonostante i continui appelli all’Area Vasta 4, alla quale è stato più volte richiesto uno spazio idoneo e ricavabile nella nuova struttura di Medicina Generale di circa 1. 400 metri quadrati, accanto ai container dell’Avis, non si è avuta nessuna risposta a riguardo.
Il tempo inclemente dei mesi scorsi avrebbe sicuramente scoraggiato chiunque ad attendere il proprio turno per donare al di fuori della struttura, ma la risposta di tutti i donatori alla richiesta di sangue costante ha rappresentato una delle notizie più belle che potessimo oggi raccontare.
L’unità di raccolta, ospitata ancora in un container, ha messo in evidenza, in particolare in questo periodo di distanziamento e mascherine, la realtà di cosa significhi essere “volontario”.
Gli spazi ristretti – prosegue Annibali – non consentono infatti la permanenza donatori all’interno del manufatto oltre quelli previsti dalle norme vigenti.
L’obbligo di sanificare dopo ogni donazione allunga inevitabilmente i tempi di attesa dei volontari che hanno aderito alla chiamata».
«Solo nei primi mesi dell’emergenza pandemica abbiamo avuto il supporto logistico dell’Amministrazione comunale amandolese – riferiscono i rappresentati del consiglio direttivo – concretizzato con la possibilità dell’uso di un locale ubicato frontalmente all’unità di raccolta, che è stato destinato a sala di attesa».
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