di Luca Capponi
Melania Rea, sono passati 10 anni.
Era il 18 aprile del 2011, infatti, quando si persero le tracce della giovane mamma residente a Folignano ma originaria di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli.
Fu ritrovata priva di vita due giorni dopo nel bosco delle “casermette”, nella frazione di Ripe, comune di Civitella del Tronto, a pochi chilometri da Colle San Giacomo e dal pianoro di San Marco (Ascoli), dove si concentrarono le prime ricerche della donna dopo che il marito Salvatore Parolisi, caporalmaggiore dell’Esercito, ne aveva denunciato la scomparsa.
Melania Rea aveva solo 28 anni.
Il corpo martoriato, la vita spezzata in maniera crudele, l’eco mediatica del caso, i mille risvolti, le successive indagini (e la condanna) di Parolisi e una figlia, Vittoria, che all’epoca aveva appena 2 anni: sono queste le coordinate di una tragedia che nel tempo è stata scandagliata, setacciata, sezionata in mille modi, spesso anche in maniera fin troppo morbosa, in grado di sconvolgere non solo le due comunità di appartenenza della donna, quella partenopea e quella picena, ma tutta l’Italia.
Una tragedia che dopo 10 anni pretende ed esige di non essere dimenticata. Mai. Per tutte le donne che, come Melania, hanno subito e continuano a subire la ferocia di uomini privi di anima, nell’ombra di mille storie senza voce.
Una di queste era Rossella Goffo, i cui resti, coincidenza, furono rinvenuti qualche mese prima, era gennaio, a pochi chilometri di distanza, in una buca scavata nel Bosco dell’Impero, lungo la strada che collega proprio Colle San Marco e Colle San Giacomo, nel territorio di Ascoli. Era scomparsa da mesi, Rossella. Aveva 46 anni, era di Rovigo, lavorava ad Ancona. Per il suo omicidio è stato condannato un ascolano, Alvaro Binni.
Rossella e Melania. La crudeltà degli esseri umani non è ancora stata sconfitta.
Dieci anni fa, come oggi.
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