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“Non chiamarmi poesia”,
come a dire:
«Rifletti prima di etichettare»
Il nuovo libro di Luca Capponi
riempie la sala

ASCOLI - L'autore, scrittore alla sua quarta opera e giornalista di Cronache Picene, ha nesso in versi pensieri nati durante il lockdown. Un messaggio, un invito, un auspicio forse, di non cedere a giudizi - o pregiudizi - affrettati, complice la velocità dei social - LE FOTO
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Filippo Ferretti, Veruska Cestarelli, Luca Capponi, Stefano Tamburrini, Stefano Artissunch

 

di Walter Luzi

 

Luca Capponi, opera quarta. Il nostro collega di Cronache Picene, giornalista e scrittore, con la sua ultima produzione letteraria, “Non chiamarmi poesia”, è diventato anche un poeta. Sì.

Ma non glielo andate a dire, perché si metterà a ridere. Lui che non si sentiva scrittore prima, non si sente poeta adesso. Come si evince facilmente anche dal titolo. L’autoironia è una grande dote, e Luca l’ha fatta sua da sempre. Alla libreria “Rinascita” di Ascoli la presentazione ufficiale della sua raccolta di poesie, con prefazione firmata da Giovanni Allevi, riempie, inusualmente per temi come questo, la sala.

E’ la terza, quella vera, in presenza, coordinata da Eleonora Tassoni, che fa gli onori di casa, dopo le due precedenti, on-line per necessità causa pandemia, vissute in balìa delle altalenanti connessioni Internet. Maledette loro.

Stavolta i presentatori della sua nuova impresa sono invece tutti seduti lì, accanto a lui. Gli stessi amici di ogni volta. Stefano Artissunch, attore e regista teatrale, sardo di nascita e ascolano di adozione, è il declamatore appassionato dei suoi versi. Il collega Filippo Ferretti ne è lo scandaglio delle emozioni più intime, alle quali dà forma Stefano Tamburrini con i suoi disegni, come ha già saputo fare, con grande sensibilità, accompagnando le pagine del libro, mentre Veruska Cestarelli detta i tempi del dibattito.

I versi di Luca Capponi nascono in tempi di quarantena dell’anima, rielaborati in tempi di quarantena vera. Quelli del lockdown. Un isolamento forzato, una solitudine, rampe di lancio verso un nuovo inizio. Ispirazioni arrivate, forse, in parte, anche da vicissitudini personali, ma che non vogliono avere, in ogni caso, gabbie, trappole, etichette o una cornice unica. Destinata a rompersi, come quella che Tamburrini ha disegnato in copertina.

I versi di Luca, grande appassionato di musica e di cinema, si leggono come dopo il ciak su un set, o sulle note struggenti di una melodia. Tutte le arti sono poesia. Sta alla sensibilità di ciascuno coglierla, sentirla a proprio modo. Una parola, di questi tempi.

«Oggi si giudicano tutti solo dai propri profili social – osserva l’autore – dalle loro foto, o dai loro post. Dovremmo rompere questo imbarbarimento collettivo. Riscoprire la lentezza nei rapporti e nei giudizi, con le persone. Pensare a lungo, prima di digitare sulla tastiera. Meditare, e godere, di un bel paesaggio, prima di pubblicarne la foto».

Stefano Artissunch, Filippo Ferretti e Veruska Cestarelli

A pagina 33 del libro, ne “Il merlo” c’è la fotografia desolante della realtà social contemporanea, che si riassume tutta nell’ultimo sostantivo che chiude la poesia. Poesia. Materia già ostica, a cui Luca non vuole dare mai un linguaggio criptico. Tutt’altro. Si mette a nudo invece, come sottolinea Filippo Ferretti, senza timori.

Fissando su un foglio bianco il significato inafferrabile, indefinibile, meravigliosamente sfuggente, che è racchiuso in ogni attimo che ci emoziona.

Sono un cuore d’inchiostro perso nel mondo senza più lettere d’amore. E’ fatto davvero così Luca Capponi. Lacrime e sorrisi che cercano conforto. Animo cortese. Parole semplici che sgorgano da un cuore grande. Di chi non ostenta e non dispera. Parole antiche. Forse. Ma sincere.


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