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Mario Capriotti, la Storia picena del ballo da sala

LE STORIE DI WALTER - Ottantatre primavere e ancora il cuore di un ragazzo. La grande passione per il ballo che lo ha accompagnato per tutta la vita. La sua scuola, la Palma d’Oro, prima scuola di liscio della provincia e fra le più prestigiose della regione. Il suo testimone passato al figlio Marco. La bella storia del contadino che voleva emanciparsi in un’epoca da raccontare
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Mario Capriotti oggi a 83 anni

di Walter Luzi

 

Stare vicini a Mario Capriotti fa bene al cuore. Qualcuno che lo ha conosciuto bene glielo ha detto. Moltissimi altri sottoscrivono. Perchè non è da tutti gli ottantatreenni trasmettere entusiasmo e gioia di vivere come lui riesce a fare. Dentro e fuori un locale da ballo. Perchè per lui, decano dei maestri di ballo liscio della regione, ancora lietamente operativo, dopo quarant’anni di appassionata attività con la sua scuola, qualche passo di valzer te lo insegnerebbe anche gratis. Perchè per lui il ballo è vita.

 

Con i genitori e la sorella

BALLANDO CON IL FORCONE

Mario nasce, nell’estate del 1939, e cresce, contadino felice di essere contadino, nelle campagne della Valtesino di Ripatransone. Il papà Agostino, la persona più buona del mondo, aveva sei fratelli. La mamma Lucia è una Capriotti anche lei, ma sono solo omonimi. Il piccolo Mario cresce, con la sorella Giovanna, in questa unica, grandissima famiglia di mezzadri a Santa Maria Goretti, piccola frazione agricola del Ripano. I suoi studi di fermano alla quinta elementare nella scuola, costruita durante il ventennio fascista, di Contrada Mulino a Ripatransone. La passione per il ballo la coltiva fin da ragazzino, quando gli amici più grandi gli consentono di aggregarsi a loro per fare la parte della dama nella prova dei passi, sotto la guida di qualcuno già infarinato nella materia. Una materia che lo prende. Che lo porta a riprovare quei passi anche durante le sue lunghe giornate di lavoro in campagna. Nella stalla il forcone diventa la sua bellissima ballerina fra una inforcata di fieno e l’altra, con la quale volteggia tornando dalla stalla verso il fienile. «A tredici anni – racconta lui – ero il più piccolo della compagnia, e mi sentivo onorato e orgoglioso di essere accettato nel gruppo dei più grandi. Poter partecipare alle loro riunioni, ascoltare i loro discorsi. Mi preparavano già alla vita, ad allargare lo sguardo verso l’orizzonte, a prepararmi alle emozioni che verranno».

 

IN BICICLETTA AL CINEMA

«Non c’era la televisione, la radio si e no, altri svaghi zero – prosegue Mario Capriotti – avevamo solo il cinema, anche più volte a settimana, spendendo gran parte di quello che mi guadagnavo. Al barretto si decideva insieme la pellicola più interessante, dunque la meta, e si faceva la conta delle biciclette disponibili. Se erano tutte da uomo, con la canna, ne bastavano quattro se eravamo in otto. E vai. Pedalando un pò ciascuno, a turno. Fino a Offida in bicicletta. Otto chilometri, di cui la metà in salita, a spingere sui pedali fino al Serpente Aureo o al cinema parrocchiale San Francesco, gestito dai preti. Più spesso fino a San Benedetto, al Calabresi oppure al Pomponi. Sedici chilometri di strada brecciata, anche in inverno, senza neanche un cappotto, che nessuno aveva neppure nell’armadio di casa, addosso. A Ripatransone ci chiamavano cafoni. Intesi come contadini, zotici, gente di poco conto. Io ero un contadino, orgoglioso di esserlo, e non mi vergognavo del mio status. Aspiravo solo ad evolvermi, a competere alla pari con i paesani o con i cittadini dei centri più grandi. Non mi sentivo inferiore a nessuno. E non lo ero. Ci separavano, in fondo, solo le esteriorità. La differenza la facevano, spesso, solo un paio di scarpe lucide, più adatte, o degli abiti più decorosi, rispetto a quelli con il panno tessuto e cucito in casa alla buona, dalle nostre mamme o, al massimo dal sarto del paese con cui si barattavano, in compenso, fagioli e pomodori, frutta e verdura, salsicce e polli».

 

Mario giudice di gara

LE FESTE DI CARNEVALE IN CASA

Il ragazzino sta crescendo bene, e la sua passione per il ballo diventa il suo asso nella manica. «Si organizzavano feste da ballo nelle case – racconta Mario- sempre con tanti uomini e troppe poche donne. Io ero ancora un ragazzotto e mi intrattenevo a parlare più con le mamme che con le figlie, anche perchè quegli spazi angusti, ricavati in locali di fortuna, quasi sempre magazzini o soffitte, mi andavano stretti. Quando però venne fuori l’usanza che fossero le dame a scegliere i propri cavalieri, mi capitava spesso di partire per primo verso la pista sottobraccio a una ragazza. I genitori si affacciavano spesso a dare un’occhiata. Per offrire l’anice millefiori distillato in casa ai convenuti, e cercando di individuare chi fosse il giovane più adatto come fidanzato per le proprie figlie. Dalla mia Santa Maria Goretti verso l’interno fino a San Venanzio, Patrignone, e, soprattutto, a Castignano anche nel locale cinema, si ballava in tante case per venti giorni filati sotto il periodo di Carnevale. Il mercoledì delle Ceneri era per me il giorno più triste dell’anno. Perchè era finito il Carnevale. Che per me era la vita».

 

Da giovane

QUEL PRIMO ABITO SCURO

«Nel ballo ci vedevo già un futuro, una opportunità in avvenire – continua sempre Mario Capriotti – oltre che considerarlo, come ancora oggi, il migliore dei divertimenti. E un’arte. Mi interessava relativamente l’acchiappo, come si diceva, la facilità che il ballo offriva nell’approcciare, conoscere, e socializzare, con tante ragazze, la possibile avventura piccante che poteva profilarsi. Davanti all’ingresso del Serpente Aureo, con le nostre biciclette e i nostri vestiti dimessi, potevamo solo stare a guardare l’entrata di tanta bella gente, per i grandi veglioni offidani. Tutti, uomini e donne, molto eleganti, arrivavano a bordo di automobili tirate a lucido. Da Ancona, Macerata, o anche Teramo e Pescara, potevamo leggere sulle targhe, oltre a quelle di Ascoli. Noi restavamo fuori. Ingresso precluso a noi campagnoli. Non tanto per il prezzo dei biglietti. Risparmiando per mesi li avremmo anche messi insieme i soldi necessari, ma erano i nostri vestiti ad escluderci dalla festa. Ci voleva infatti, obbligatoriamente, l’abito scuro, da sera. Ma in campagna un vestito da cerimonia potevi permettertelo, appunto, solo per entrare in chiesa quando ti sposavi. Non potevo aspettare così a lungo. Pregai mio zio, il capo famiglia, che provvedeva ai bisogni di ciascuno dei componenti, di liquidarmi in contanti i soldi destinati agli acquisti del panno per far confezionare al sarto i miei vestiti. Non la prese bene, mi disse che ero il solito rivoluzionario, strano e ingrato». Tramite Maria, una ragazza di Roccafluvione, riesce a farsi acquistare, ad Ascoli, un tessuto Principe Marzotto con la righina. Un prodotto chic, che sugli scaffali del negozio di Offida nemmeno arriva. Lo insultano un pò tutti in casa, quando si presenta, raggiante, con quella stoffa di lusso, costatagli un anno di risparmi, che nessuno capisce bene a che cosa possa servirgli. A Ugo, il sarto del paese, con quella stoffa pregiata Mario si fa confezionare, su misura, oltre al vestito, anche il gilet. Perchè ha un vecchio orologio con la catenella, da taschino, che intende sfoggiare da gran figo nato qual’è. Anche la zia Maria, con qualche soldino di mancia per le tante commissioni che gli fa, contribuisce al pagamento del conto del sarto. Ma l’emancipazione di Mario Capriotti non passa solo dal look.

 

Con la moglie alla festa dell’Ascensione

PROVARE, PRODURRE, PROGREDIRE

«Mi iscrivevo a tutti i corsi che si tenevano – racconta sempre Mario – dalla zootecnica alla floricoltura. Volevo emanciparmi, conoscere, fare ogni esperienza utile per adeguarmi al mondo in evoluzione. Le tre P erano il motto della Coldiretti di Paolo Bonomi dell’epoca. Provare. Produrre. Progredire». Mario lo fa suo. Alla fine di ogni corso c’è una gita premio. A poco più di diciassette anni, una di queste gli permette di assistere, a Milano, ad una delle prime Fiere Campionarie. Una esperienza fantastica per lui. Torna a casa con una coppia di conigli che gli anno regalato, per tentare di avviare un piccolo allevamento a casa sua. Lavorando al fiume cavando la breccia con pala e piccone sul greto del Tesino, mette da parte i soldi per comprarsi anche una moto, una IsoMoto 175, prima ancora di conseguire la patente per poterla guidare. Quando, finalmente, ha l’età per poterlo fare, per lui è un bel salto di qualità. Ora possono andarci anche in tre, senza casco all’epoca, e, soprattutto, senza pedalare. Di pari passo cresce la sua passione per il ballo. Ha diciannove anni quando Domenico Modugno fa impazzire tutti con il suo ritornello-tormentone “Volare” che segna un’ epoca. E’ il grammofono il protagonista insostituibile di quelle serate in campagna, prima dell’avvento dei giradischi. «Il problema non erano tanto i dischi – ricorda Mario – che si rimediavano sempre, ma le puntine che si usuravano presto. Ne portavamo sempre di scorta in quantità, custoditi gelosamente in una scatolina delle caramelle, perchè senza la musica per noi sarebbe finita troppo presto anche la festa. Ma la serata diventava memorabile quando, oltre ai dischi, si poteva avere anche un fisarmonicista. Diventava lui il re della serata. Surclassava il suonatore di organetto, pure osannato, in mancanza di meglio. Disporre, in coppia, di entrambi, rappresentava il top, ma era un lusso per pochi. Fra le feste tradizionali più amate figurava quella dell’Ascensione. Un vero e proprio evento, atteso per un anno intero. La gente arrivava in massa, a piedi, come hanno fatto anche i miei genitori, da tutta la provincia. A migliaia. I più giovani partivano a frotte nella nottata, passando da Capradosso, per essere in cima al monte Ascensione in tempo utile per poter vedere l’alba sorgere da lassù. Ogni prato pianeggiante, anche minimo, diventava una pista da ballo al suono degli organetti».

 

In gara con la moglie

MARCO E CLARA AL RUSTICHELLO

Quando anche a Santa Maria Goretti arriva la televisione, con le sue antenne primordiali, il segnale disturbato, le mille interferenze in mezzo alle quali si intravvede un altro Mario, Riva, che conduce Il Musichiere, Mario Capriotti lascia gli zii e i campi per andare  a lavorare alla falegnameria Amadio di Offida. Ha ventiquattro anni. Si prende anche un orto da coltivare, dove governa anche una mucca da latte. A Offida ce lo ha portato il cuore, innamorato com’è di una ragazza del paese. Un contadino che va a fidanzarsi con una paesana. Una rarità per l’epoca. Passa poi a lavorare alla Fastigi Mobili, un grosso produttore di mobili. Ci resterà ventisette anni.

 

La donna che sposa tre anni dopo è però di Castignano. Si chiama Clara Virgili. Quando si sposano, nel 1966, mancano quattro giorni al suo diciottesimo compleanno e così il suocero Quintilio deve andare in comune per autorizzare la cerimonia. Mario ha dieci anni di più, e tanta fretta di mettere su famiglia. «Quando fai le cose per amore non sbagli mai – confessa – ma, con la maturità di oggi, consiglierei a due giovanissimi di pensarci su ancora un pò prima di fare certi passi». E’ una unione, la loro, fatta di alti e bassi. Durante uno dei periodi buoni concepiscono Marco, il loro unico figlio, che nasce nel 1972. Quando è abbastanza grandicello Mario e Clara iniziano a frequentare una scuola di ballo al Piccolo ranch di Osimo. Un impegno non certo banale, che si protrae per quattro anni, e che solo la loro grande passione per il ballo non fa pesare. Dopo otto ore, salvo frequenti straordinari, di lavoro in fabbrica, e una cena veloce, Mario e Clara partono alle nove di sera e tornano a casa a tarda notte. Il loro maestro è Dante Sarso, già pluricampione italiano di danze standard, e che è anche apparso in alcuni film accanto al super molleggiato Adriano Celentano. Dante, che ha solo qualche anno in più, e Mario, diventano molto amici.

 

A 17 anni

«Mi ha insegnato l’ottanta per cento di quello che sò di ballo. Poi ho avuto anche Ermes Baricchi, reggiano, papà del futuro campione mondiale di danze standard». A fine anni Settanta Mario comincia a dare lezioni agli amici in casa sua. Spostano un divano e fanno spazio per provare giri a destra e a sinistra e spin, balancè e promenade. Peccato solo che le loro scarpacce da campagna lascino segni inequivocabili sui pavimenti lucidi, turbando così la quiete coniugale. Mario passa così a dare lezioni nel vicino ristorante-balera Rustichello. Pietro Illuminati, classe 1928, recentemente scomparso, il padrone di casa, è suo vecchio amico, e vuole sviluppare questa pratica del ballo liscio nel suo locale. Lì dentro infatti non si va oltre le tre discipline del liscio: mazurka, polka e valzer. Degli altri balli da sala, tango, fox trot e valzer lento, che Mario Capriotti, insieme a Clara, contribuiscono a diffondere in tutta la provincia negli anni successivi, esistono le musiche ma non ancora i passi. Poi passeranno anche alle discipline latine: samba, rumba, cha cha, paso doble e jive, prima dell’arrivo, anche nelle nostre zone, del ciclone dance caraibico. I corsi, come le coppie di aspiranti ballerini, al Rustichello si moltiplicano mese dopo mese. Gli allievi diventano presto centinaia. Che lasciano, se vogliono, solo un’offerta per ricompensare questa coppia dei loro preziosi insegnamenti. A Mario e Clara, basta già solo il piacere di farlo. Lui si laurea maestro di ballo nel 1982.  Subito dopo nasce la sua scuola di ballo, la “Palma d’oro”, la prima della provincia, fra le più prestigiose della regione.

 

Direttore di gara

«All’inizio la maggior parte dei miei allievi – racconta sempre Marco – per la metà erano bambini e ragazzi accompagnati dai nonni, che proprio per le tradizioni carnevalesche nelle campagne, lo avevano vissuto e apprezzato. Poi ho ospitato,   per venticinque anni, affollati stages del maestro e amico Ermes Baricchi ad allievi provenienti da tutta Italia». I due hanno anche ricoperto cariche ai vertici, regionali e nazionali, dell’ Associazione Nazionale Maestri di Ballo. «Assistendo alle sue lezioni mi sono fatto una cultura nel campo – rivela Mario – che mi è stata poi preziosa nella mio lungo percorso di insegnamento di queste discipline. Un giorno dopo una serie di figure montate mi ha detto: io faccio il maestro di ballo, ed è un mestiere che mi piace. Ma tu hai passione e buon gusto non comuni». Il ballo, secondo Mario, è aggregazione e spensieratezza. Ma anche cultura, studio, professionalità.

Marco, il figlio di Mario, è stato agonista da ragazzino portando a casa due titoli italiani nelle danze standard, prima di laurearsi anche lui maestro di ballo  all’inizio degli anni Novanta. Un altro “concorrente” per Mario Capriotti?: «Questo mai – si inorgoglisce Mario – Dicono che è diventato più bravo di me? Mi fa piacere che in tanti lo pensino. E’ naturale che gli allievi siano destinati, prima o poi, a superare i loro maestri, ma lui non ha la mia esperienza. Non ancora». Marco e Morena gli hanno regalato, quattro anni fa, anche una nipotina. Si chiama Lucia, come la bisnonna. E pratica anche lei già la danza. Ovviamente.

 

 


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