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Campetti chiusi e telefonini accesi, là dove non giocano più i bambini

ASCOLI - Tra campetti abbadonati, smartphone, crisi economiche, pigrizia e tempi che cambiano, il vocìo che tanti anni fa animava piazze e cortili è quasi del tutto sparito. Il caso di Piazza Immacolata e i palloni di Piazza San Tommaso. Don Carlo Lupi: «A San Giacomo della Marca abbiamo superato vandalismi e chiusure». Genitori indaffarati e ragazzini con le agende piene
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di Luca Capponi 

 

C’è una bella ed emblematica canzone di Giancarlo Frigieri, autore poco noto ma di gran levatura, che si intitola “Chi ha rubato le strade ai bambini?“.

Già, chi?

Sembra fantascienza, ma davvero fino a pochi anni fa cortili, piazzette, porticati, campetti ed ogni spazio “calpestabile”, soprattutto con l’approssimarsi della stagione calda, ribollivano del vocìo inconfonbile dei ragazzi, prima ovviamente che arrivassero telefonini, consolle di tutti i tipi, realtà virtuali, crisi economiche che costringono i genitori a lavorare h24 generando quella bulimia (e, purtroppo, l’assenza) utile solo a iscrivere i figli a diecimila corsi pomeridiani “pur di tenerli occupati” (ci sono bambini con agende così piene da far impallidire un capo di Stato).

Il buffo è che, a pensarci, gli adulti di oggi, cioè quelli che hanno vissuto la strada in tutto e per tutto e che tornavano a casa quando l’urlo del genitore materno li richiamava dalla finestra risuonando per tutto il quartiere, sono gli stessi che tengono tappati i figli in ogni situazione possibile, poi quello che fanno fanno, basta che stiano al “riparo”.

Lungi da noi, però, giungere a conclusioni che possano essere tacciate di qualunquismo. Gli spunti, infatti, sono molteplici. Oltre ai tempi che inevitabilmente cambiano, si direbbe.

Un esempio arriva da Ascoli, città dove ultimamamente, soprattutto sui social, si discute proprio della mancanza di spazi buoni a far svagare bambini e ragazzi, rappresentata simbolicamente dal campetto da calcio di Piazza Immacolata di proprietà della parrocchia, un “aggregatore” che ha cresciuto generazioni intere da tempo mestamente chiuso, circondato da rifiuti. Desolatamente vuoto. Un simbolo, ma in senso negativo.

Uno degli scatti di Piazza San Tommaso che hanno fatto il giro del mondo

Non si tratta dell’unico caso, purtroppo. In tal senso l’assessore allo sport Nico Stallone, un altro che ci è cresciuto su quegli spazi allestititi spesso alla bisogna (bastavano due borse per fare una porta), sta facendo opera di sensibilizzazione (e non solo) per far tornare i cosiddetti campetti di quartiere agli antichi fasti.

Da questo punto di vista, altro fattore, c’è pure il fatto che i ragazzini iniziano a giocare a calcio nelle società già da piccolissimi, cosa che prima accadeva molto meno. Il risultato lo conoscono tutti, portato alla ribalta di recente dalla foto che ha fatto letteralmente il giro del mondo, vale a dire quella dei palloni di Piazza San Tommaso, rimasti per anni sul tetto della chiesa e ritrovati durante le operazioni di pulizia, che hanno scatenato altrettante riflessioni sul tema. Siamo sempre lì: prima i ragazzini giocavano per strada, oggi molto meno.

Un altro esempio, ma di diverso tono, arriva da Porta Cappuccina. Il campetto parrocchiale di San Giacomo della Marca è uno dei tanti rimasti chiusi durante la parte più difficile della pandemia.

«Quando abbiamo dovuto chiudere a causa del Covid, il campetto è stato oggetto di gesti al limite del vandalismo e del pericolo -spiega il parroco don Carlo Lupi-. C’è stato chi, per raggiungerlo, ha scavalcato la recinzione anche di proprietà private, per poi utilizzarlo non nel migliore dei modi. Quindi abbiamo compreso la necessità di riaprirlo, ma mettendolo in mano ad un’organizzazione che si occupi del controllo e della manutenzione. Queste figure sono state individuate tra gli animatori parrocchiali, che hanno dato la loro disponibilità, e la Polisportiva Borgo Solestà che ci sta dando una mano».

I palloni sul tetto della chiesa

Risultato, da oltre un anno è aperto due volte alla settimana, e a richiesta anche in altri giorni.

«Negli orari di apertura il campetto ospita ragazzi, prevalentemente delle scuole elementari e medie, spesso accompagnati dai genitori -aggiunge don Carlo-. I responsabili sono tenuti, oltre che alla vigilanza e, appunto, alla manutenzione, anche a prendere le presenze, in ragione delle norme anti Covid. Per l’utilizzo bisogna anche rispettate alcune regole che sono quelle osservate da tutti gli oratori parrocchiali d’Italia, tra cui quella di tenere un comportamento civile e rispettoso nei confronti di altri individui e della parrocchia stessa».

Ma non si tratta solo di calcio. È proprio il gioco in strada che manca. Vero è che al giorno d’oggi, con la crisi economica che si mescola agli effetti negativi di virus e guerra, anche la semplice apertura di un campetto e la conseguente manutenzione base provoca dei costi che associazioni, circoli e pro loco spesso non riescono a fronteggiare.

Insomma, tutto ciò per dire che le carte sul tavolo sono diverse, alcune comprensibili, altre meno. Crisi, lavoro, smartphone, videogiochi, selfie, assuefazione, pigrizia, abitudini, esigenze che cambiano, socialità che viene meno. E non solo. Alcuni, infatti, tirano in ballo anche la scarsa sicurezza che albergherebbe tra le vie delle città. E allora qui, per chiudere, si potrebbe tornare a citare lo stesso brano di Frigieri, che pensando al passato fatto di giornate intere trascorse all’aperto ricorda come “ci arrangiavamo noi, ed erano gli anni di piombo”. 

 

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