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Storie di donne marchigiane, cultura e coraggio: la vita di Cleofe Malatesta e della suora ascolana Maria Petronilla Capozi

VISSUTE in due epoche completamente diverse, oltre alla cultura e al coraggio, hanno avuto in comune l'aver contribuito in maniera importante al lento processo di emancipazione della donna
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di Antonietta Vitali

 

Se guardassimo al tempo come a uno spazio universale non interrotto dagli anni e dagli eventi, allora potremmo dire che il tempo non esiste e chi ci ha preceduto non è qualcosa di accaduto prima ma qualcuno che, in qualche maniera, fa parte del nostro dna. Questo concetto sarebbe dimostrabile se la storia fosse maestra di vita dell’umanità, ma la realtà ci insegna che non è così. Eppure la storia resta lì, imperterrita, a cercare di raccontarci le sue vicissitudini e oggi noi ci andiamo un po’ a spasso dentro, per conoscere le vite di due donne marchigiane molto colte e molte coraggiose. Vissute in due epoche completamente diverse, hanno avuto in comune, oltre la cultura e il coraggio, il fatto di aver contribuito, seppur in modo sconosciuto per la maggior parte di noi, in maniera importante nel lento processo di emancipazione della donna.

 

Cleofe Malatesta (1405-1433) nasce a Pesaro. La sua famiglia è potente, sono i Signori di Rimini e Pesaro, è colta, unita (anche se a disgregarla ci penserà poi Sigismondo Malatesta) e ben introdotta nella politica del tempo fino a far parte, addirittura, del Senato di Venezia. La madre di Cleofe era una Varano e muore dandola alla luce. La bambina viene quindi adottata da suo zio Carlo, che la fa crescere a Rimini e le fornisce una istruzione di tipo ellenico. La ragazza è molto bella e cresce acquisendo abilità nell’arte oratoria divenendo preparata, saggia, di idee liberali, lungimirante. Se ne accorge anche Papa Martino V che decide di usarla come dama politica di un suo piano. Lui vuole unire la Chiesa d’Oriente con quella di Occidente e la manda in sposa al figlio dell’imperatore romano d’Oriente, Teodoro Paleologo, despota di Morea. Cleofe ha solo 15 anni, si sposa per procura in Italia e poi di nuovo a Costantinopoli con rito misto e poi si trasferisce nel Peloponneso, a Mistra, città capitale della Morea. Non trova un alleato nel marito, seppur uomo di cultura che fonderà anche un’accademia filosofica a Mistra, perché lui non si innamorerà mai di lei e considererà sempre il loro matrimonio come un dovere politico a cui accondiscendere. Troverà l’amicizia del suocero, invece, che la tratterà come una figlia indirizzandola e istruendola sulla politica, sulla teologia, sulla filosofia. Nonostante, in cuor suo, il suo desiderio era quello di andare in una corte italiana, accetta il suo ruolo, consapevole anche della responsabilità enorme che il Papa aveva riposto in lei. Si iscrive all’accademia fondata dal marito, alla quale accorrono ragazzi da tutto il continente europeo, diventa carismatica e abile nelle trame politiche, si occupa di restaurare parti della città, ne fa costruire di nuove, partecipa alle sedute di consiglio del governo, i suoi suggerimenti vengono ben considerati. Aiuta i profughi che arrivano da Costantinopoli, inizia un percorso di conversioni, è amata e stimata sia dal popolo che dalla corte. Nel 1428 nasce Elena e nel 1433 è in attesa del suo secondo figlio. I suoi bambini, nonostante la famiglia del marito sia numerosa di fratelli, sono gli unici eredi dell’Imperatore e se il secondogenito di Cleofe dovesse essere maschio, lei, una Malatesta, diventerebbe Imperatrice d’Oriente. Così il piano di Papa Martino V diventerebbe realtà, la storia, anche quella che riguarda le crociate, prenderebbe tutta un’altra piega. Ma a qualcuno questo progetto storico non piace e Cleofe viene uccisa e il suo bambino non vedrà mai la luce.

 

Di vita breve anche l’altro personaggio storico, suor Maria Petronilla Capozi (1749-1776) da Ascoli Piceno, che non morirà uccisa da qualcuno ma di tisi alla giovane età di 27 anni. Entrerà nell’ordine della Congregazione delle Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, fondato da Francesco Marcucci Pomponi (1717-1798) nel 1744, giovanissima. Lui è originario di Force, la sua famiglia è nobile e potente, è un illustre teologo, nel 1770 viene consacrato Vescovo di Montalto delle Marche, nel 1774 è nominato Vicegerente di Papa Clemente XIV e si trasferisce a Roma. Insomma lui, per genere (maschile) di nascita e per curriculum è un intoccabile e le sue parole non possono essere smentite men che meno da una giovane suora. Ma Suor Petronilla è dotata di un’intelligenza fuori dal comune. In pochi anni, negli studi che effettua in convento, porta a compimento quelli in Antropologia, affina la teologia, la dottrina cristiana, studia le lingue classiche, quelle moderne tra cui il francese che la avvicinerà alle teorie illuministiche, conosce la geografia, la geometria, la poesia, l’arte della retorica, la musica, l’arte. Del suo straordinario talento e intelletto si accorgerà anche il fondatore dell’Ordine di cui fa parte che intratterrà con lei, non senza scontri e confronti aperti, un rapporto epistolare della durata di ben dieci anni. La forza di suor Petronilla è proprio data dalla grande consapevolezza del suo sapere e della sua fervida intelligenza, che le fa comprendere che il suo appartenere al genere femminile non consente a nessuno di porla in una situazione di svantaggio o di silenzio. La sua attività intellettuale sarà, per l’epoca di riferimento, rivoluzionaria. Aprirà un varco di comunicazione tra le donne (al tempo escluse dalle istituzioni perché considerate con capacità di intelletto ridotte) e i luoghi del potere. Tesserà connessioni intellettuali, sarà uno dei membri femminili dell’Arcadia, accademia letteraria fondata a Roma nel 1690 e attiva ancora oggi. Ad oggi solo 438 donne nei secoli hanno fatto parte di questa accademia. Di queste, marchigiane ne sono state solo cinque, tra cui appunto suor Petronilla.

 

Questo interessante viaggio nel tempo, profondamente legato alla cultura, è stato il tema dell’evento presentato domenica scorsa 12 marzo presso la sede di Roccamadre a Pedaso, cooperativa agricola di comunità che, da anni, svolge la sua attività di agricoltura sostenibile e consapevole.

 

Cleofe è stata presentata dalla dottoressa Clara Schiavoni, mentre Suor Petronilla è stata raccontata dalla professoressa Olimpia Gobbi, storica del territorio molto attiva nelle ricerche relative all’Opera Pia che gestiva il brefotrofio di Fermo.

 

Ad allietare l’evento, assaggi di gelato, biscotti, cioccolato, pane, tutti con un unico denominatore, l’anice verde di Castignano Presidio Slow Food. Un prodotto scelto in onore della Principessa di Mistra che ci rimanda al nostro mistrà. Ma dove arriva il mistrà? E da dove giunge l’anice? E poi, perché qui, nel nostro territorio, si trasforma in due distillati talmente diversi da rappresentare proprio due classi sociali? Ma questa potrebbe essere tutta un’altra storia da raccontare…


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