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Gli antichi mestieri delle nostre montagne

NEL MAGGIO dello scorso anno si è svolta a Battaglia di Campli una tavola rotonda ("Gli antichi mestieri della Valle degli Scoiattoli"), nell’ambito della terza edizione del "Festival dei Monti Gemelli", organizzato dalla sezione Cai Val Vibrata-Monti Gemelli. Ecco la prima parte del testo di quella relazione (dello stesso autore dell'articolo) tenuta sull’argomento. Seguirà la seconda parte
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Colle San Giacomo. Gregge al pascolo nei pressi di una caciara (foto G. Vecchioni)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Il tema dell’incontro di oggi è il lavoro: parleremo dei lavoratori della montagna e delle testimonianze che, sul territorio, ricordano la loro fatica. Guarderemo, in parallelo, alla Montagna di Campli e a quella dei Fiori, “gemella” dalla doppia anima, marchigiana e abruzzese. Il convegno è stato organizzato dalla sezione vibratiana del Cai e all’appuntamento partecipano sicuri conoscitori dei Monti Gemelli. Non mi dilungherò, quindi, sulla geografia di questa piccola ma bellissima dorsale calcarea, che spicca in maniera decisa dai rilievi arenacei della Laga e dalle colline del Teramano.

 

La pubblicazione alla quale si fa riferimento nel testo

Prima di trattare dell’argomento, qualche riga di presentazione del territorio di riferimento. Cominciamo con una citazione, dal Notturno di Gabriele D’Annunzio, un’opera èdita nel 1921. Sul filo dei ricordi, l’autore rivive le emozioni di un viaggio in treno verso Pescara; arrivato al ponte sul “Tronto ghiaroso”, vede la Montagna dei Fiori (ma le parole si adattano bene anche a quella di Campli) e scrive: “Ma d’improvviso, al porto d’Ascoli, in un’insenatura delle colline modeste, appare la montagna grande. Cilestrina, nivale, confusa con le nuvole fulgide, mi rapisce con la sua altezza taciturna”. Una descrizione lirica, breve ma precisa, di queste montagne alte circa 1.800 metri, sicuro punto di riferimento visivo del territorio.

 

La posizione dei Monti Gemelli rispetto alla catena degli Appennini comporta, rispetto a montagne di pari altitudine situate sull’opposto versante tirrenico (per esempio, i Simbruini), un clima più rigido e una maggiore nevosità, per l’influenza della vicina, fredda regione balcanica. La permanenza delle nevi per un periodo di 60-80 giorni all’anno (da dicembre a febbraio) ha favorito lo sfruttamento delle aree più elevate (Monte Piselli, 1.600-1.700 metri) per la costruzione di impianti legati alle attività sciistiche.

 

Peonie della Montagna di Campli (foto D. Francioni)

LA FLORA, LA VEGETAZIONE – Chi è salito su questi monti ne conosce la ricchezza floristica; il nome stesso della Montagna dei Fiori evoca suggestioni legate alle splendide fioriture. Al Vallone si incontrano bellissime antèsi di narcisi, asfodeli, orchidee, fritillarie dell’Orsini e, nelle aree sub pianeggianti vicino alla vetta, viole d’Eugenia. Nelle chiarìe e sui prati della Montagna di Campli, fioriscono le peonie.

 

La flora d’Italia comprende circa 8000 specie; quella della Montagna dei Fiori 598 specie, il 7,5% circa di quella italiana. Certo, non possiamo paragonarla a quella di un’altra magnifica montagna abruzzese, la Maiella – 2.100 specie (poco meno del 30% del dato nazionale) – ma è comunque un bel numero. Una precisazione numerica (un aggiornamento) che però non altera in maniera rilevante quanto già scritto: studi recenti hanno portato il numero delle specie vegetali presenti in Italia a 9.792. Le piante autoctone sono 8.195; le rimanenti 1597 sono aliene, arrivate nel Paese in tempi più o meno recenti.

 

Caciara d’inverno (foto A. Palermi)

Sui Gemelli sono diffusi i boschi di faggio, l’albero che domina il paesaggio appenninico tra i 1.100 e i 1.800 metri, limite altimetrico del bosco. Nel sottobosco, spesso, si incontra il tasso, specie relitta della laurisilva del Terziario (2 milioni di anni fa), che non forma associazioni monospecifiche ma è presente, qui, in gran numero.

 

Sulla Montagna di Campli, appena cent’anni fa (primi del Novecento) si incontrava frequentemente l’abete bianco, splendida conifera ormai confinata in stazioni dei Monti della Laga (in botanica, le stazioni sono le aree di presenza di una particolare fitocenosi). Lo sfruttamento e il taglio dell’essenza erano regolati dagli statuti comunali fin dall’epoca rinascimentale, quando la città era sotto la Signoria dei Farnese.

 

La mulattiera che risale I Biferi, alla Montagna di Campli (spiegazione nel testo, foto G. Vecchioni)

I RIMBOSCHIMENTI – La pratica forestale del rimboschimento è sempre effettuata a scopo protettivo, per difendere il suolo dall’erosione. Quelli più importanti (almeno dal punto di vista storico) sono sulla Montagna dei Fiori.

Il Bosco della Casermetta, frutto del lavoro coatto dei prigionieri di guerra austriaci della Grande Guerra. L’edificio (la Casermetta della Forestale) è degli anni ’30 del Novecento,

come il rimboschimento del Bosco dell’Impero, un impianto del ’36 sul versante ascolano del rilievo, realizzato per celebrare la proclamazione dell’Impero. Anche sulla Montagna di Campli ci sono importanti ripopolamenti a pino nero; nella Valle degli scoiattoli c’è un bellissimo nucleo di thuye vetuste.

Ricordiamo che, anche se la “scusa” era politica, la vera motivazione dei rimboschimenti era quella di dare lavoro alla gente di montagna, qui e altrove (ci sono diversi Boschi dell’Impero in Italia).

 

Il Vallone d’inverno (foto C. Ricci)

LA FAUNA – Il tema esula dal tema dell’incontro; ricordiamo solo la presenza dell’aquila, da tempo stabile nelle nostre zone, e la forte presenza, qualitativa ma anche numerica, dell’avifauna, favorita dalla grande varietà di ambienti presenti.

 

I GEMELLI MONTAGNE STORICHE (E LEGGENDARIE) – Hanno visto uomini del Neolitico (alla Grotta Sant’Angelo); i Piceni (a Campovalano); i Cartaginesi di Annibale (alla Metella); gli eremiti (al Salinello); gli Svevi di Re Manfredi e gli Angioini di Re Carlo (al Castello di Macchia); qui sono passati San Francesco (al Salinello) e San Benedetto (a Montesanto); Sciabolone e i suoi briganti (alla Sagannàta – ce lo racconta Fernando Aurini); i piemontesi di Pinelli e Mezzacapo (a Civitella), i partigiani (al Colle San Marco).

 

E, finalmente, i paesaggi… I Gemelli sono monti per cacciatori di orizzonti e regalano all’escursionista visioni magnifiche, dall’Adriatico alle catene montuose dell’Appennino: una vista a 360 gradi, una varietà di scorci come solo pochi rilievi sanno offrire.

Ceduo della Montagna dei Fiori (foto G. Vecchioni)

L’escursionista percorre il sentiero per il piacere della scoperta. Il fascino dell’escursionismo, però, non sta solo nel raggiungimento della mèta (la performance) ma anche nella preparazione dell’escursione e nell’informazione: quali sono le condizioni ambientali e le emergenze naturali e storico-culturali del territorio; la lettura e l’interpretazione dei segni del territorio. Andare in escursione significa scoprire i segnali della natura e le tracce dell’uomo e comprendere la storia dei borghi del nostro Appennino.

E questo ci porta all’argomento del nostro incontro: il lavoro. Sui Gemelli oggi si va per i panorami, ma chi viveva alle pendici dei rilievi in montagna ci andava per lavorare: i sentieri e le mulattiere erano percorsi da pastori, boscaioli, carbonai e nevaroli. Il modo di cercare le loro “impronte” è proprio quello di percorrere i sentieri che risalgono i rilievi.

 

I Monti Gemelli dalle colline della vallata del Tronto (foto G. Vecchioni)

LA PASTORIZIA è l’attività economica tradizionale dell’area appenninica. La presenza di pascoli estesi ma pietrosi e la relativa scarsità di acqua costringono alla scelta del tipo di allevamento. I pascoli (quasi tutti biocenòsi di sostituzione, per l’abbassamento del limite superiore dei boschi per effetto del disboscamento) delle nostre montagne (e dell’Appennino in generale) sono poco erbosi e non permettono lo sfalcio: non sono adatti ai bovini ma vanno bene per gli ovini.

Sui Monti Gemelli, nella bella stagione, l’escursionista incontra greggi di pecore e di capre (animali frugali che si “accontentano” di pascoli magri e sassosi). Sulla Montagna dei Fiori, alla testata del Fosso Il Vallone, c’è il Lago (1.625 metri), un bacino carsico di abbeverata. Alle pendici della dirimpettaia Montagna di Campli, il borgo di Macchia è un’area storica per la pastorizia. Fino agli anni ’60 del Novecento, i pastori del luogo effettuavano, in autunno, una transumanza ridotta verso il litorale adriatico: arrivavano fino alla costa dei trabocchi (tra Ortona e Vasto) ma più spesso si fermavano alla Sentina di Porto d’Ascoli.

La morfologia del territorio ha imposto condizioni seminomadi di lavoro: la casa di abitazione nei villaggi alle pendici della montagna e ricoveri temporanei alle quote più elevate, da utilizzare nel corso della bella stagione (capanne in pietra a secco sulla Montagna dei Fiori, stazzi o jacci su quella di Campli).

 

(segue)

 

Tre Caciare, d’autunno e d’inverno (foto G. Vecchioni e A. Palermi)

 

Escursionisti al Fosso Il Vallone (foto G. Vecchioni)


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