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Arresto cardiaco improvviso: il ricercatore Federico Oliveri si sta specializzando in Olanda

IL 31ENNE MEDICO sambenedettese sta costruendo il suo futuro all'estero grazie ad una borsa di studio. Lo studio dei dispositivi che permettono di dare una chance in più nel trattamento dei pazienti che sono colpiti da arresto cardiaco. Il futuro negli Usa: «Ho fatto tutti gli esami durante la specialità per avere la certificazione utile ad ottenere il riconoscimento della laurea negli Stati Uniti»
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di Cristina Mignini

 

Federico Oliveri, classe 1992, è un giovane e brillante medico e ricercatore – sambenedettese di adozione e maceratese di nascita – rientrante tra il 5% e l’8% dei laureati italiani che scelgono di lasciare il nostro Paese per continuare a formarsi e specializzarsi all’estero.

 

Federico in sala operatoria

«Noi medici specializzandi abbiamo una borsa di studio tassata con anche le tasse universitarie, con 1.400 euro al mese di cui 800 per l’affitto, occorre imparare ad organizzarsi, io ad esempio in questi tre anni, ho fatto turni extra mettendo da parte il necessario per proseguire in questa avventura di studio che è mossa da tantissima passione».

 

Secondo l’elaborazione dei dati del Ministero dell’Università e Istat pubblicata da “Il Sole 24 Ore” lo scorso marzo, a partire sono soprattutto medici e ingegneri, circa 248.0000 laureati tra i 25 e i 34 anni nel periodo 2012-2021; dalla pandemia l’8% lavora all’estero e il saldo, rispetto a chi resta è negativo – 79.000 futuri professionisti.

 

Al simulatore

Federico, quali progetti stai portando avanti?

 

«In Olanda grazie alla specializzazione che sto svolgendo, mi sto appassionando moltissimo all’arresto cardiaco improvviso, evento frequente tra i fatti di cronaca nazionale e locale che colpisce anche i giovani che da un momento all’altro si accasciano. Più che nelle cause, il mio interesse è focalizzato nel trattamento in emergenza dell’intervento che qui è più esteso, anche nelle piccole città, rispetto che altrove grazie ai fondi investiti in ricerca. In Olanda fino al 30%  delle persone con arresti cardiaci che avvengono al di fuori dell’ospedale riescono a sopravvivere, in Italia siamo intorno all’8-10%».

 

«In caso di arresto, si applica un macchinario cuore-polmone che si chiama “ecmo” che permette al paziente di poter sopravvivere e al medico di poter intervenire sfruttando il tempo che il dispositivo fa guadagnare meccanicamente, circa 30-40 minuti, che sembrano pochi ma sono preziosissimi per chi sa cosa fare avendo l’occorrente a disposizione. Mi spiego meglio. In caso di arresto cardiaco non massaggiato, dopo 20 minuti si iniziano ad avere danni cerebrali irreversibili, dopo 40 la morte cerebrale. Se si applicano tutte le manovre rianimatorie, questi 20 minuti riescono ad essere portati anche a 40-50. In questo tempo il paziente viene portato in Emodinamica o in Pronto Soccorso e in 15-20 minuti si mette l’ecmo. Ecco quindi che, se si riesce a raggiungere l’ospedale in 20-30 minuti, allora la persona ha speranze non solo di salvarsi ma anche di uscirne incolume. Una riflessione: nel nostro territorio solo Ancona possiede tale strumento e spesso per raggiungere l’ospedale di Torrette non è sufficiente nemmeno l’elicottero».

 

Al  congresso di Marsiglia

La storia di Federico oltre ad essere impattante per il futuro della ricerca medica – attualmente si sta formando in emodinamica in Olanda uno dei massimi centri per la Cardiologia – è anche di ispirazione per chi come lui ha una mentalità glocal e si concentra contemporaneamente sulla dimensione globale della formazione senza dimenticare l’opportunità di tornare ad esercitare a livello locale, nelle Marche dove ha anche iniziato il percorso universitario all’Università Politecnica per poi specializzarsi ad ottobre a Pavia in Cardiologia.

 

La pubblicazione sull’”International Journal of Cardiology” ha di fatto ufficializzato l’avvio della carriera da ricercatore con una preziosa intuizione sull’importanza dei farmaci anticoagulanti di nuova generazione. Federico perché è così preziosa la ricerca svolta sugli anticoagulanti tanto da renderti unico italiano al “Tokyo Valves”, evento di riferimento per la Cardiologia?

 

Al congresso di Parigi

«I farmaci di cui mi sono occupato in realtà esistevano già ma erano applicati su un altro tipo di popolazione. Sia il “coumadin” che i nuovi farmaci anticoagulanti sono utilizzati comunemente ma il primo e’ meno sicuro perché provoca più sanguinamenti ed il paziente ha bisogno di fare controlli per monitorare i dosaggi nel sangue. Nei pazienti con sostituzione della valvola aortica, prevalentemente anziani, si preferiva il “coumadin”. Io ho analizzato diversi studi, raggruppando le evidenze e facendo una summa teorica e pratica, ho scoperto e dimostrato che anche i nuovi anticoagulanti possono essere usati con pari efficacia e minore sanguinamenti sui pazienti risultando meno invasivi».

 

Un contributo che ha destato l’interesse di molti e ha reso sempre più vicino l’inseguimento del sogno americano per continuare nello studio. Da dove è partito il tuo percorso che l’anno prossimo ti porterà negli Stati Uniti?

 

«A dire la verità sono un ingegnere mancato. La mia passione per l’ingegneria non ha prevalso su quella per la medicina, ambito che ho scelto per diverse attitudini che sento più mie. La mia mente scientifica e matematica l’ho applicata alla Medicina non solo nella statistica medica ma anche nell’Emodinamica, di cui mi sto occupando unitamente ad altro, ed è l’equivalente della fluidodinamica nell’Ingegneria. Oggi il mio lavoro consiste anche nello studio delle coronarie per capire quali possono essere i fattori meno indagati come la microcircolazione (vasi piccoli, non visibili, ma studiabili con dei calcoli e somministrazioni di farmaci e test farmacologici) che possono far sviluppare l’infarto oltre al diabete, l’ipertensione, ecc.».

 

«L’America è un obiettivo per i grandi investimenti di cui possono beneficiare i ricercatori e per questo resta il sogno di chi come me, vuole proseguire lungo questa strada. Grazie all’incitamento di mio zio, che è medico e lavora negli Usa e mi ha introdotto a questo sistema, ho fatto tutti gli esami durante la specialità per avere la certificazione utile ad ottenere il riconoscimento della laurea negli Stati Uniti cosa che credo sia molto rara sia perché non c è interesse sia perché è molto complicato. Come diceva già Enzo Ferrari in una frase che sento molto mia “la passione permette di sopportare amarezze e rinunce che l’ambizione non giustificherebbe in alcun modo”».

 

Con l’equipe olandese


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