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Serafino, il pastore buono dei Sibillini torna in un libro: ecco il backstage del film con Celentano

ARQUATA DEL TRONTO - Nel volume di Mauro Scoccia oltre 500 pagine di aneddoti, curiosità, testimonianze ed immagini della mitica estate del 1968, quando il regista Pietro Germi scelse come ambientazione i territori a cavallo tra Marche e Lazio. Dalla lapide di zia Gesuina ritrovata per caso al cimitero di Spelonga fino alle feste serali ad Acquasanta. L'autore: «Dedica speciale a chi ha perso la vita a causa del terremoto»
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di Luca Capponi 

 

Immaginate la scena. Siamo alla fine degli anni ’60, in quel di Spelonga, frazione del comune di Arquata. La giovane Iolanda Nanni si reca al cimitero, come spesso fa, per portare un saluto ai suoi cari. Una volta giunta in loco, tra le tombe, qualcosa attira la sua attenzione. Una lapide a terra, diversa dalle altre, malmessa tra le zolle. Mai vista prima. Tantomeno l’epigrafe, che riporta: “Gesuina La Manna: 7/6/1884 – 4/2/1968 candida anima volata in cielo, Serafino pose”.

L’autore Mauro Scoccia

 

Gesuina? Serafino? Nomi mai sentiti dalla ragazza, che una volta tornata a casa chiede ai genitori. Niente da fare. Ma chi sono questi due sbucati da un giorno all’altro senza che nessuno li conosca, là tra le montagne dei Sibillini? Il mistero si sbroglia poco dopo, quando il compaesano Aldo Cucchi, meglio noto come “Zì Belà”, le racconta di una tomba finta creata appositamente per un film. E Iolanda: «Ma come sarebbe una tomba finta, ma che esistono tombe finte?».

 

L’ingenuità, il candore e la spontaneità di Iolanda raccontano tanto proprio di quel film. Che a sua volta racconta, anche, di un mondo sempre più preso da sé stesso, rivolto ormai definitivamente verso l’avidità, l’egoismo, il calcolo. Un mondo che non sa più guardare attraverso gli occhi buoni del bambino, ma solo attraverso quelli del progresso.

 

L’aneddoto rivelatore è uno dei tanti contenuti nel libro “Serafino – Effetto Backstage“, oltre 500 pagine di foto, curiosità, testimonianze e storie che arrivano direttamente dalla magica estate del 1968, quando Arquata ed Amatrice divennero il set della pellicola diretta da Pietro Germi. A mettere la firma sull’opera è Mauro Scoccia, classe 1956 di Morlupo (Roma), che da sempre, come molti, subisce la fascinazione per le avventure del pastore interpretato da Adriano Celentano, la cui lavorazione rappresentò un evento per questi luoghi. Prima di essere dato alle stampe, il volume verrà presentato in un evento speciale in fase di organizzazione.

 

«L’idea è maturata tre anni fa, mentre curiosavo sui social – spiega Scoccia -. In particolare, alcuni cittadini di Amatrice ricordavano di quando fecero la conoscenza di Celentano, il quale, durante le riprese, con tutta la sua famiglia e i musicisti del “Clan”, risiedeva al ristorante/albergo “La Conca”. Così mi venne l’idea che quelle preziose testimonianze meritassero un contenitore unico, incentrato non solo su Amatrice ma su tutte le cittadine che furono teatro del film: Arquata del Tronto e le frazioni di Tufo, Capodacqua, Pretare, Spelonga e Colle. Nel libro viene descritta anche Acquasanta Terme, anche se lì non fu girata nessuna sequenza. Durante le sere d’estate, però, fu punto di ritrovo e svago per le maestranze e per qualche attore nonché teatro di altre curiosità».

Adriano Celentano e Ottavia Piccolo in una scena del film

 

Da quel momento partono due anni di ricerche sul campo, viaggi e soprattutto incontri, con l’obiettivo di ripercorrere in maniera certosina il dietro le quinte di “Serafino” attraverso le parole di chi c’era. Scoccia mette in fila, così, aspetti inediti rimasti nella memoria popolare, che sfogliando il volume catapultano il lettore indietro nel tempo di oltre 50 anni, tra momenti di pausa del set spesso esilaranti.

 

«La fortuna mi ha assistito – continua -.  Sempre in rete sono riuscito a rintracciare una foto di Celentano in costume di scena accanto ad una ragazza di Capodacqua, Maria Pasqua Angeletti. Non ho esitato un istante, e le ho scritto spiegandole brevemente lo scopo del mio progetto. La sua risposta positiva è stata fondamentale. Tra di noi è nata una fattiva collaborazione, grazie a lei mi sono messo in contatto con persone che al tempo avevano impersonato piccoli ruoli o lavorato al film. Per ogni luogo ho scritto una vera e propria storia nella storia fatta di reminiscenze antiche, fotografie e ricordi personali degli anziani che ancora rammentano quello che avvenne. Il lavoro è stato meticoloso, intrapreso con particolare fatica, e dà vita ad un testo molto ampio che indaga non solo sul film ma anche sulla vita che si svolgeva tra Marche e Lazio».

Una pagina del libro “Serafino – Effetto Backstage”

 

«Tanti racconti riguardano Celentano, Germi e non solo – va avanti l’autore -. Ci sono ovviamente Ottavia Piccolo, Francesca Romana Coluzzi, Saro Urzì e gli altri attori del cast, come se fossimo dinanzi a un libro-film. Nel 2021, a Roma, ho intervistato Valeria Punturi, che ha preso parte anche ad un altro capolavoro di Germi, “Sedotta e abbandonata”. In “Serafino” faceva parte della numerosa famiglia di zio Agenore (Urzì). A Civitavecchia, invece, l’incontro con Paolo Cristini; suo padre Raffaele è stato il truccatore del film. Paolo mi ha rilasciato una lunga intervista del suo vissuto a contatto con la produzione, in particolare con il “molleggiato”, il cane Lupetto e la parrucchiera del cast Martina Patacca».

 

Un capitolo a parte meritano le location. Destino crudele ha infatti voluto che nel 2016 il terremoto ha distrutto gran parte dei borghi che fecero da sfondo a “Serafino”. Per questo il libro di Scoccia assume un valore che va oltre il mero racconto. Non a caso la dedica posta alla fine, oltre che per la moglie Gabriella Sara, è per “i cittadini che durante la notte del 24 agosto 2016, alle 3:36, persero la vita sotto le mura delle proprie dimore abituali”. 

 

«Arrivai qui per la prima volta nel 1997, poiché mio figlio Gabriele, che aveva 8 anni, era desideroso di conoscere il pastore Serafino, in particolare il tetto della casa dove chiamava l’amata zia Gesuina – conclude Scoccia – . Tutti quei borghi montani erano piccoli gioielli incastonati in una natura incontaminata, credo che la genuinità dei loro abitanti contribuì molto al successo del film. È immaginabile la mia tristezza alla vista delle pietose immagini giunte prima dai telegiornali e poi dalle mie successive visite. In questi anni ho maturato l’affetto e la vicinanza verso le comunità colpite, in quanto il lavoro mi ha impegnato sotto il profilo professionale ma soprattutto umano, anche per il fine che lo stesso avrà nella storia e la cultura del territorio».

 

 

 

 

 


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