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«Il dolore delle guerre fecondi gesti di pace nella nostra quotidianità»: il messaggio di Natale dell’arcivescovo Pennacchio

L’ARCIVESCOVO Rocco Pennacchio della Diocesi di Fermo - che comprende anche diversi territori del Piceno: Carassai, Comunanza, Massignano, Montefiore dell'Aso, Palmiano e Roccafluvione - spedisce simbolicamente la sua lettera di Natale ai fedeli. Ecco le sue parole
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L’arcivescovo Rocco Pennacchio

 

«Carissimi fedeli, spesso mi viene chiesto: come vivere il Natale, festa della pace?

Rimango sempre colpito dal comportamento dei pastori (cfr. Luca 2, 8-20): vegliano il loro gregge, si fidano delle parole dell’angelo, vanno senza indugio a Betlemme e, giunti alla grotta, raccontano quanto era loro successo suscitando stupore; infine, se ne ritornano al lavoro lodando Dio. Questi atteggiamenti ci aiutano a comprendere appieno il Natale».

 

Inizia così, con queste parole, la lettera spedita simbolicamente a tutti i fedeli da  monsignor Rocco Pennacchio della Diocesi di Fermo, che comprende anche diversi territori del Piceno: Carassai, Comunanza, Massignano, Montefiore dell’Aso, Palmiano e Roccafluvione.

 

«Vegliare, fuggire cioè la passività, la noia, restare desti, concentrati sulla vita e pronti a cogliere la voce di Dio che in molti modi si manifesta. Fidarsi, cioè avere fiducia negli altri, delle parole che vengono da chi ci vuol bene, dai tanti angeli che il Signore ci fa incontrare. È il contrario della diffidenza e dell’indifferenza. Muoversi senza indugio. I pastori si muovono, pur potendo restare dov’erano. Chiediamoci se il Natale ci scomoda o se ogni anno scorre lasciandoci così come eravamo, se l’amore di Dio ci interpella o se rimaniamo indifferenti, se lasciamo scivolare la Parola che Dio ci donerà in abbondanza oppure se la nostra coscienza si muove a conversione. Stupirsi, cioè aprire il cuore alle novità, anziché lasciarci soffocare dalla nostra supponenza. Lo ha ricordato il Papa all’udienza dello scorso 20 dicembre, sottolineando che “se io davanti ai misteri non arrivo a questo stupore, la mia fede è semplicemente superficiale”. Gioire. La lode a Dio che si sprigiona dal presepio, diceva sempre il Papa, è “la gioia che trabocca dal cuore quando si tocca con mano la vicinanza di Gesù, la tenerezza di Dio, che non lascia soli, ma con-sola”; infatti, non sono le cose a darci la vera gioia ma il legame con le persone e quello con Gesù che non viene mai meno, specialmente nelle avversità, ecco perché si può gioire anche in situazioni di dolore o sofferenza. Sono certo che i pastori sono ritornati col cuore in pace; infatti, tutto nasce da qui: se il cuore degli uomini è in pace, non c’è spazio per i conflitti e le guerre. I pastori, persone semplici, capirono di essere amati da Dio e si lasciarono convertire dalla piccolezza e dalla povertà di Gesù Bambino. Chiediamo al Signore la grazia perché il dolore straziante generato dalle guerre non ci lasci inermi ma possa fecondare propositi concreti di gesti di pace nelle nostre famiglie e nei luoghi dove si dipana la nostra vita quotidiana».

 

 


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