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“The care day”, seminario regionale su cure palliative e fine vita

DALLE MARCHE - Domani, giovedì 18 gennaio, a Palazzo delle Marche di Ancona con inizio alle ore 16. Tra i presenti anche il medico ascolano Stefanio Ojetti, presidente di Ascoli e segretario nazionale dell'Associazione medici cattolici (Amci)
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Primo appuntamento con i seminari regionali condivisi su cure palliative e fine vita. “The care day” si solve domani, giovedì 18 gennaio, ad Ancona con lo slogan “Le regioni in dialogo con la società civile per una sanità che permetta a tutti il diritto a non soffrire”. Appuntamento alle ore 16 nella sala Bastianelli del Palazzo delle Marche in Piazza Cavour.

 

Tra i saluti iniziali anche quelli del dottor Stefano Ojetti, ascolano, presidente di Ascoli e segretario nazionale dell’Associazione medici cattolici. Con lui anche i consiglieri regionali di FdI Simone Livi e Carlo Ciccioli.

 

Al dibattito, moderato dall’avvocato Achiropita Curti, intervengono Angelo Vescovi (presidente Comitato nazionale per la bioetica), Mario Melazzini (medico e ricercatore della Direzione generale welfare Lombardia, Giacomo Rocchi (presidente di sezione della Corte di Cassazione, Rita D’Urso (medico oncologo dell’Hospice “Il giardino del Duca” di Fossombrone, coordinatrice regionale della Società italiana cure palliative), Paolo Marchionni (direttore Medicina legale Ast Pesaro Urbino). I primi due in videocollegamento.

 

L’INTERVENTO DEL DOTTOR STEFANO OJETTI

 

Non passa in Consiglio regionale del Veneto il progetto di legge di iniziativa popolare sul suicidio medicalmente assistito. Il voto della norma, proposta dall’associazione” Luca Coscioni”, non ha passato in particolare i primi due dei cinque articoli complessivi, che richiedevano il sì della maggioranza assoluta.

L’Associazione Coscioni sta presentando infatti, nelle diverse regioni del nostro Paese, una proposta di legge che ha lo scopo di ridurre procedure e tempi per l’Assistenza regionale al suicidio medicalmente assistito, sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019, chiedendo, di fatto, che il Sistema Sanitario Regionale diventi datore di morte anziché di salute.

I giudici della Corte Costituzionale infatti con tale sentenza, sulla scia della legge 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, hanno inteso prevalentemente di dichiarare “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale” relativamente alla punibilità del reato sul Suicidio Assistito, ponendo in essere, nella fattispecie, la presenza di alcuni requisiti da parte del richiedente in determinati casi e a specifiche condizioni: “essere affetto da una patologia irreversibile o a prognosi infausta,  essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, essere assistito dalla rete di cure palliative o abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale”.

Su tale problematica il prossimo 18 gennaio in nove consigli regionali, compresi le Marche, 74 relatori e decine di Associazioni del laicato cattolico dibatteranno sul tema “Care Day”, in una manifestazione senza precedenti che mira a porre l’accento e riaccendere i riflettori su tale problematica; il principio in questione non è infatti solo di tipo ideologico-confessionale, ma etico e deontologico.

Lo scopo di questa proposta di legge regionale, poggia essenzialmente su tre principi: ridurre a venti giorni il tempo intercorso tra richiesta e assistenza al suicidio medicalmente assistito, gratuità della prestazione inserendola nei LEA (livelli essenziali di assistenza); nessun accenno alle cure palliative con il rischio in tal modo di innescare l’equazione: malattia inguaribile = suicidio assistito.

In tale maniera se passasse in alcune regioni tale proposta di legge, si rischierebbe di avere nel nostro Paese, oltre ad una diseguaglianza delle cure, anche una disomogeneità nell’applicazione della normativa giuridica sul suicidio assistito che necessita, al contrario, di un’unità Parlamentare che vada a colmare in maniera equa e responsabile l’attuale vuoto normativo.

Premesso che non tutte le malattie sono guaribili ma tutte sono curabili, certamente considerevoli sono stati negli ultimi decenni i successi ottenuti, nell’ambito della medicina, riguardo le terapie palliative normate dalla legge 38/2010 “Il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”.

Nello specifico le cure palliative in hospice o domiciliari, sono un servizio previsto dai  Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) che “garantiscono il complesso integrato di accertamenti diagnostici, prestazioni mediche specialistiche, infermieristiche, riabilitative, psicologiche, l’assistenza farmaceutica, la somministrazione di preparati di nutrizione artificiale, le prestazioni sociali, tutelari e alberghiere e il sostegno spirituale” (Ministero della Salute).

Il coinvolgimento in un percorso di cure palliative deve costituire infatti, come già prefigurato dall’ordinanza n. 207 del 2018 «un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente»

Peraltro, nel parere del 18 luglio 2019 («Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito»), il Comitato nazionale per la bioetica, pur nella varietà delle posizioni espresse sulla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito, ha sottolineato, all’unanimità, che la necessaria offerta effettiva di cure palliative e di terapia del dolore – che oggi sconta «molti ostacoli e difficoltà, specie nella disomogeneità territoriale dell’offerta del Sistema Sanitario Nazionale e nella mancanza di una formazione specifica nell’ambito delle professioni sanitarie» – dovrebbe rappresentare, invece, «una priorità assoluta per le politiche della sanità».

In realtà in Italia attualmente gli Hospice sono poco più di 300 con circa 800 medici palliativisti, numero insufficiente per far fronte ai bisogni del Paese; dall’autunno 2022 sono state aperte le prime scuole di specializzazione nelle cure palliative ed è del tutto verosimile pertanto che nel prossimo decennio si specializzeranno circa 2.500 operatori sanitari in tale disciplina, che porteranno, ovviamente, ad una diminuzione di eventuali richieste di suicidio assistito.

Richiamare l’attenzione “sull’umanizzazione delle cure”, su tutto ciò che non sia quindi risolvibile tecnologicamente pone viceversa in essere una seria riflessione sui bisogni di ascolto e comprensione del sofferente.

Come scriveva anche Kierkegaard infatti, “se davvero si vuole aiutare qualcuno, bisogna prima scoprire dove si trova. Questo è il segreto dell’assistenza. Se non si può scoprirlo, è solo un’illusione credere di poter aiutare un altro essere umano”; il punto cruciale resta la persona umana del malato, i suoi bisogni, le sue peculiarità esistenziali, i suoi diritti.

Il suicidio assistito infatti, rappresenta il modo di affrontare il problema del fine vita e della sofferenza dal suo epilogo e nella maniera più semplice, fornendo tutti quei presidi atti ad assicurare la morte. Crediamo, al contrario, che tale esperienza, la più difficile, debba essere affrontata in maniera totalmente opposta aiutando e accompagnando il sofferente verso una morte dignitosa.

Per questo, siamo profondamente convinti che l’implementazione delle terapie palliative e il sostegno concreto e psicologico ai caregiver, possano certamente ridurre le richieste di suicidio assistito facendo sentire il sofferente non come peso per la famiglia e la Società, ma come persona che possa essere accompagnata verso una fine dignitosa.


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