Dalla mappatura delle faglie ai droni: «Appennino centrale modello di prevenzione e resilienza»

SISMA - Dalla crisi può nascere un'opportunità. È questo il messaggio lanciato dal commissario straordinario alla ricostruzione Guido Castelli, intervenuto all’Acquario Romano di Roma durante la seconda Giornata Nazionale della Prevenzione e Mitigazione del Rischio Idrogeologico
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Dalla crisi può nascere un’opportunità. È questo il messaggio lanciato dal commissario straordinario alla ricostruzione post-sisma 2016, Guido Castelli, intervenuto all’Acquario Romano durante la seconda Giornata Nazionale della Prevenzione e Mitigazione del Rischio Idrogeologico, promossa dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri e dal Consiglio Nazionale dei Geologi.

Il convegno di Roma

 

«La vasta area dell’Appennino centrale colpita dal terremoto – dichiara Castelli – è diventata un vero e proprio laboratorio di buone prassi, dove sperimentare soluzioni innovative per una ricostruzione non solo efficace, ma anche preventiva. Una ricostruzione che supera il principio del ‘com’era e dov’era’ per andare verso un modello fondato sulla sicurezza e sulla sostenibilità».

 

Con i suoi oltre 8.000 chilometri quadrati, il cratere sismico si configura come una macro-area paradigmatica, dove si intrecciano le fragilità del territorio italiano: crisi sismica, cambiamenti climatici e spopolamento. «È proprio per questo – spiega Castelli – che si è reso necessario pensare a una ricostruzione capace di prefigurare scenari di sicurezza futura, abbandonando logiche puramente conservative».

Alla base della nuova strategia ci sono studi e monitoraggi scientifici condotti in collaborazione con enti di ricerca e università. In particolare, con l’Ingv è stata completata la mappatura delle faglie attive e capaci, per evitare che la ricostruzione avvenga in aree ad alto rischio sismico.

 

«Non solo terremoti – continua Castelli – con l’Autorità di Bacino dell’Appennino Centrale e cinque università sono stati approfonditi 242 scenari franosi, con oltre 1.000 fenomeni analizzati. L’obiettivo è identificare le aree a pericolosità elevata (P3) e molto elevata (P4), e aggiornare la pianificazione territoriale con dati più precisi e attuali».

Il “Laboratorio Appennino centrale”, ricorda sempre il commissario, «si avvale anche delle più avanzate tecnologie digitali: rilievi Gps, droni, laser scanner e piattaforme mobili di mappatura sono già in uso per monitorare le infrastrutture idriche. Ma non solo: nuovi sistemi integrati con osservazione satellitare e sensori a terra permetteranno il controllo in tempo reale di fiumi, frane, ponti e edifici strategici, rilevando anche minime oscillazioni strutturali».

 

Dunque, quanto si sta realizzando nell’Appennino centrale potrebbe diventare un modello replicabile a livello nazionale.

 

«Dalla criticità di quest’area possiamo trarre soluzioni utili per tutto il paese – è la conclusione -. Il nostro obiettivo è dimostrare che anche nelle zone più fragili si può ricostruire meglio, più sicuri e più consapevoli».

 

 


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