Ha destato grande emozione a San Benedetto ed in tutto il mondo dell’arte il ritrovamento di un murale perduto di Mario Lupo, artista sambenedettese scomparso nel 1992, noto per aver lasciato un’impronta profonda nella cultura visiva del territorio adriatico.
L’opera, dal titolo “Corale Attesa”, dieci metri di lunghezza per sei di altezza, era custodita da anni in una collezione privata, in forma riservata.
Ne parla la figlia dell’artista, Maristella Lupo, in un video, realizzato dai registi e autori Rovero Impiglia e Giacomo Cagnetti e diffuso attraverso il canale social dell’artista e dell’associazione culturale Endeca.
E proprio lei, risulta da indiscrezioni, sta pensando ad un progetto di ampio respiro per celebrare la figura di Mario Lupo nel 2026, in occasione del centenario della nascita. Secondo quanto emerso, l’associazione Endeca e la famiglia Lupo (previa intesa con il proprietario dell’opera) stanno valutando con i Comuni di San Benedetto del Tronto, Grottammare, Ancona e Giulianova – città legate alla biografia artistica di Mario Lupo – la possibilità di una collocazione pubblica e definitiva dell’opera, che ne consenta la fruizione da parte della collettività.
Sul punto si è espresso pubblicamente tutto il team a lavoro su questo progetto celebrativo, che ha avanzato una proposta suggestiva e concreta: destinare al murale uno spazio dedicato all’interno del progetto di riqualificazione dell’area Ballarin.
In particolare, l’architetto Franco Mercuri, confondatore di Endeca, ha ipotizzato di destinare uno spazio del progetto Ballarin, ancora in divenire, ad una sala espositiva permanente, affacciata sul futuro giardino firmato, insieme a tutto il progetto, dall’architetto Guido Canali, così da far dialogare il linguaggio di Mario Lupo con l’architettura paesaggistica contemporanea.
«San Benedetto del Tronto – ha dichiarato Mercuri – non dispone attualmente di spazi istituzionali idonei ad accogliere un’opera di tali dimensioni. Il progetto del Ballarin, ancora in divenire, è un’occasione irripetibile per restituire alla città un altro pezzo della sua memoria culturale».
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