Le “lavannare” e i Longobardi di Castel Trosino (Video e foto)

ASCOLI - Il "Festival culturale deli borghi culturali della Laga" fa tappa nell’ascolano. Fra storia e tradizione di un sito fra i più unici e suggestivi d’Italia
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Le mitiche "lavannare"

 

di Walter Luzi

(foto di Domenico Cornacchia)

 

Castel Trosino, lavandaie e Longobardi. Non basta che sia arroccato da millenni su quello sperone roccioso riemerso dal fondo del mare, che ne fa un unicum fra i più belli e suggestivi borghi italiani. Il gioiello incastonato nel verde di quella estrema propaggine dei monti della Laga, terra di confine per secoli fra le Marche papaline e l’Abruzzo borbonico, riesce sempre a sedurre anche gli escursionisti più navigati, dentro e fuori quelle mura inespugnabili.

Passano anche di qui, a Castel Trosino, i cacciatori di tesori nascosti del Festival culturale dei borghi rurali della Laga. Anno quarto. Oltre sessanta eventi organizzati in ventidue comuni di tre regioni, da febbraio a dicembre 2025. Con pochi mezzi e tanti meriti. A cominciare dall’attestato riconosciuto di buona pratica in chiave di sostenibilità, e nuovo equilibrio, culturale e sociale in primis, tra le aree montane, urbane e costiere dei nostri territori dell’Italia centrale.

 

E poi il coinvolgimento delle popolazioni residenti nella realizzazione delle iniziative in calendario, la voluta trasversalità, irrinunciabile, tra le diverse generazioni, sia dei protagonisti che dei partecipanti agli eventi. L’impegno ad incentivare iniziative diffuse nell’intero arco dell’anno, sempre tese a tenere vive tradizioni, usi e costumi locali, ma anche a promuovere modelli di economia e di turismo sostenibili, anche in zone, a volte, rimaste, immeritatamente, ai margini dei grandi circuiti.

E anche, non ultimo fra i tanti meriti, l’estrema varietà della natura delle proposte. Che possono andare dalla cultura alla solidarietà. Dal trekking di ogni livello, all’opera di società educanti. Dalla sensibilizzazione nella tutela dei diritti, e dell’ambiente, allo slow food, fino all’inclusività intesa in ogni sua declinazione.

 

Sulle t-shirt che indossano, i giovani attivisti volontari del Festival, come Domenico Cornacchia, hanno scritto il loro credo. Luoghi che rigenerano l’anima, anime che rigenerano luoghi. È così. È successo ancora. Utilizzano Qr code, dirette Facebook, whatsapp e social media per meglio veicolare i loro messaggi. Modernità buone, spese per la causa, che aiutano a scoprire e conoscere meglio luoghi, e umanità, che ci appartengono. Che vanno custodite. Tecnologie che, per una volta almeno, non mortificano passati, e capelli bianchi, di chi trovate ad accogliere, per trasmettere le emozioni di una gioventù lontana, tramandare memoria che, in ogni ambito, non deve mai andare dispersa.

Il borgo di Castel Trosino

 

Anche a Castel Trosino. Un altro luogo magico, un’altra festa per lo spirito. Lavandaie e Longobardi si è detto. Storia e tradizioni che si incrociano fra i piccoli sentieri nel bosco che salgono alla necropoli, rivelatasi fra le più ricche di reperti d’Italia, e il travertino, di cui le cave da queste parti abbondano, delle sue possenti mura. Al vicino, antichissimo lavatoio nel bosco tornano a rivivere le leggendarie lavannare di Castel Trosino. Donne forti e infaticabili dedite alla cura del panno, al lavaggio dei panni sporchi che quassù arrivavano a dorso di mulo anche dai palazzi della ricca nobiltà ascolana.

Chine sul lavatoio a passare i grossi pezzi di sapone fatto in casa sui panni, rivivono i loro proverbiali pettegolezzi, i battibecchi, il loro allegro ciarlare in epoche quando i social, le influencer, in fondo, erano proprio loro. Conche di rame piene d’acqua trasportate con eleganza e maestrìa sulla testa, e ceste piene di bucato strette fra le mani. Fonti inesauribili di gags e debordante umanità che hanno ispirato tanti poeti in vernacolo ascolano e brillanti spettacoli teatrali. Carmelita Galiè e Barbara Virgulti guidano la pattuglia di vocianti lavandaie locali e giovanissime neofite da istruire.

N’sapona, sbatt’, tuorce, spanne. Operazioni dimenticate, con l’avvento di lavatrici e asciugatrici. Macchine moderne che annullano le fatiche, ma inaridiscono anche i cuori. I canti popolari, le arie agresti le propone il tenore Giovanni Vitelli, capace, sempre umile e lieto, di adattare la potenza delle sue corde vocali, degna di ben più importanti ribalte, ad ogni contesto. La breve salita alla antica necropoli Longobarda ci porta ad un cantiere aperto, che somiglia più una scena del crimine delimitata da nastri invalicabili, che al gigantesco sepolcro ammantato di Storia, troppo a lungo, impunemente, saccheggiato.

 

Armi, armature e monili d’oro trafugati da queste tombe, fanno bella mostra nei musei più prestigiosi del mondo. Furono un contadino e un prete, nel 1893 a scoprire, casualmente, la prima delle 260 tombe di Longobardi, ultimi invasori barbarici del primo secolo dopo Cristo, con i loro ricchi corredi funebri. Un tempo su questi monti non c’erano tutti gli alberi di oggi, ma appezzamenti terrazzati coltivati a dare sostentamento e prosperità alle popolazioni residenti. I lavori in corso di riqualificazione dell’intera area, che restituiranno dignità al sito ed ottimale fruibilità ai visitatori, prevedono anche la realizzazione di una piccola arena per concerti e spettacoli con vista mozzafiato sull’antico borgo.

In paese laboratori esperienziali, e i ragazzi della Fortebraccio Veregrense, ricordano questo fiero popolo germanico, le loro armi, i costumi e gli accampamenti. Il cuore di Castel Trosino non ha mai smesso di battere. E mai di emozionare. Dal punto più alto ed esposto dello sperone roccioso su cui poggia, lo sguardo del visitatore si perde all’infinito sull’ultimo lembo della Valle Castellana proteso verso Ascoli. Terra di fitti boschi e di eremi, rupestri e non. Di natura quasi incontaminata e grandi silenzi, che invitano a meditare sulle miserie infinite del mondo contemporaneo. Di acque cristalline che scendono dalla Laga portate dal Castellano, che si mescolano a quelle salmacine, color turchese, custodite, secondo la leggenda, da una ninfa, e celebrate anche da Plinio il Vecchio.

 

Acque che sgorgano da sorgenti sotterranee, sicuramente terapeutiche, ma da tanti ritenute addirittura miracolose. Certamente lavavano i cattivi pensieri, e curavano le pene del cuore. Quindi provvidenziali, e indispensabili, ancora oggi. Paris Orsini, un altro giovane volontario figlio di queste terre, anche lui impegnato nell’opera di salvaguardia e promozione delle memorie ad essa legate, introduce alla conoscenza e ai segreti delle pietre di questi monti che l’hanno resa così forte. Il travertino e l’arenaria. Cavatore e scalpellino come i suoi avi. Orgoglioso di averne conservato, insieme al ricordo, anche i loro vecchi utensili. E gli insegnamenti.


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