di Gabriele Vecchioni
Monteprandone ha origini antiche, sorge su un colle dal quale si domina la parte finale della valle del Tronto, che si avvia al suo incontro col Mare Adriatico. In basso, nell’area pianeggiante sottostante, la popolosa frazione di Centobuchi, dove si concentra la maggior parte degli abitanti e dei servizi.
Il nucleo storico, situato su una collina, conserva ancora il fascino medievale dato dalle sue strette viuzze, le mura castellane in laterizio e i resti del castello, con la bella porta del Borgo a monte. Tra le case, edifici storici, chiese e piazze che ricordano il passato. A metà strada, tra la parte bassa, moderna, e quella più antica, l’importante convento annesso al Santuario della Madonna delle Grazie, voluto da San Giacomo della Marca.
La porta medievale di Borgo da Monte, inserita nella cinta muraria del castello. Nella foto, ben visibili i beccatelli in laterizio (ph “Il Piceno”, Enit 1989)
La coesistenza dell’anima antica del borgo e di quella moderna, sviluppatasi a macchia d’olio nel secondo Dopoguerra, rende Monteprandone un luogo speciale, degno di una visita attenta. Vediamo di analizzare un po’ più da vicino le sue caratteristiche.
Prima, però, una breve digressione sul fatto, piuttosto comune in zona, che il borgo sia diviso in due parti ben distinte. Lungo la vallata del Tronto (in realtà, anche altre location della provincia ascolana e di quella fermana presentano questa caratteristica) sorsero, in epoca storica, diversi borghi d’altura, per motivi politici, difensivi e igienici. Con il miglioramento delle condizioni di vita, si svilupparono maggiormente le appendici sorte nelle aree pianeggianti, per la comodità costruttiva e per le migliori comunicazioni. Nella vallata del Tronto abbiamo diversi esempi di questa caratteristica: Castel di Lama, con la parte “ascolana” di Villa Sant’Antonio; Castorano, con San Silvestro; Colli del Tronto, Alta e Bassa; Spinetoli, con Pagliare del Tronto; Monsampolo, con Stella e Monteprandone, con Centobuchi. Sulla costa, si è verificata una situazione simile, con il “paese vecchio” separato dalla “Marina”; un esempio per tutti: Cupra marittima, con la parte alta – l’antico castello di Marano – ben separata da quella costruita lungo la linea costiera.
Ma torniamo a Monteprandone.
L’incasato storico (la parte alta”) sorge su un arioso poggio dal quale si gode uno splendido panorama sulle colline circostanti e sul crinale piceno-aprutino e che arriva fino al vicino Adriatico. La parte nuova del territorio comunale si allunga sul fondovalle, ai bordi della provinciale Salaria, per arrivare, con le aree dedicate alle attività produttive, fino alle aree pianeggianti delle golene del Tronto.
In un precedente articolo, avevamo già visto il forte impatto delle cosiddette “aree nuove” sul paesaggio: «La valle del Tronto è un autentico mosaico di paesaggi, composto da colline, campi coltivati, aree naturali, case, borghi e monumenti e, segno del presente, capannoni e aree (im)produttive realizzate, il più delle volte, a spese dell’armonia paesaggistica (le zone industriali non si integrano con la morfologia territoriale, esercitando un forte impatto ambientale)». La presenza di “detrattori ambientali” crea una situazione consolidata e non modificabile che va accettata e monitorata, tenendo conto che in tutta la bassa vallata è in atto, da tempo, un impoverimento della biodiversità e della varietà paesaggistica; quello piceno è, però, un paesaggio composito – un mosaico di ambienti diversi nato dalla secolare interazione dell’uomo col territorio – che ancora “resiste” alla banalizzazione, rimanendo sempre un luogo interessante da visitare.
Il paese di Monteprandone, almeno la parte antica, è stato fondato, secondo la tradizione, dai fuggitivi della vicina Truentum. Nel 1292 entrò a far parte del territorio di Ascoli Piceno, seguendone le sorti politiche (una sua rappresentanza sfila nel corteo della Quintana ascolana). «Questa città ebbe sempre molta cura di conservarsi fedele Monte Prandone, valido presidio del suo porto (Guida della Provincia di Ascoli Piceno, 1889)». Il legame di Ascoli col mare risale al 1323 quando Papa Giovanni XXII, da Avignone, emise una Bulla con la quale accoglieva la richiesta degli ascolani di poter costruire un porto sul litorale adriatico e di avere in feudo metà del lido e delle acque tra il Fosso Ragnola e il Tronto.
Monteprandone mantiene la caratteristica volumetria piramidale dei borghi d’altura e l’atmosfera medievale dell’incasato raccolto. Tra le case, la Collegiata di San Nicolò e la cosiddetta Porta municipale che conserva i preziosi codici della Biblioteca di San Giacomo; la piccola casa natale del Santo (sec. XV) è stata trasformata in oratorio.
A metà strada tra il centro storico e la frazione di fondovalle è situato il convento francescano con annesso il frequentato santuario della Madonna delle Grazie, voluto da Giacomo stesso, frate dell’ordine dei francescani osservanti. Alla struttura Cronache Picene ha dedicato un articolo (leggilo qui). Nella cappella principale del santuario è conservato, dal 2004, il corpo incorrotto di San Giacomo della Marca (al secolo Domenico Galgani), custodito per secoli presso la chiesa di Santa Maria La Nova a Napoli. È uno dei santi più “importanti” e venerati della Cristianità, compatrono di diverse città, tra le quali Napoli e Mantova. Di lui, Giulio Gabrielli scrisse (1882) «del francescano S. Giacomo detto della Marca, il quale nelle discordie civili del secolo XV correva qua e là per l’Italia, e colla sua autorità ed eloquenza, encomiata anche dal Sannazzaro [l’umanista Jacopo, secc. XV-XVI], valse molte volte a risparmiare il sangue cittadino e a fondare pie istituzioni di beneficienza».
Dietro all’altare, il coro e lo splendido tabernacolo ligneo (sec. XVII). Sullo sfondo, le due tavole scontornate dipinte, attribuite a Cola d’Amatrice (ph G. Vecchioni)
Quanti fossero interessati alla storia della struttura conventuale e alle opere d’arte in essa conservate, possono fare riferimento all’articolo citato prima.
Nella parte moderna del comune, a Centobuchi, c’è una delle ville signorili della vallata del Tronto (in calce gli articoli): è Villa Nicolai, dimora storica che prospetta, col suo bellissimo parco, sulla provinciale Salaria. Nei catasti settecenteschi l’edificio era identificato come «palazzo di cento busci [= cento buchi]» per via delle buche pontaie nelle murature, lasciate libere per motivi costruttivi; il nome è stato sicuramente mutuato dalla località ed è diventato il toponimo odierno.
L’edificio era di proprietà dei marchesi Odoardi, antico casino di caccia e punto di appoggio per le proprietà di famiglia (c’era un analogo Palazzo Odoardi a Castel di Lama) aveva funzione di controllo del territorio, come l’analogo palazzo degli Odoardi a Castel di Lama. Diventò proprietà dei marchesi Diotallevi e, infine, del dottor Nicolai, agronomo e amministratore fiduciario dei Diotallevi.
Vita e opere di San Giacomo della Marca: a lui è dedicato il monastero di Santa Maria delle Grazie
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