Eremo di Colle San Marco, un luogo magico da preservare

ASCOLI - La straordinaria bellezza di un luogo, che merita ulteriore, maggiore, tutela e valorizzazione, è stata tappa del Festival culturale dei borghi rurali della Laga. Si impone una sollecita assegnazione da parte del Comune di nuovo incarico per la custodia del sito. La fotogallery della giornata
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di Walter Luzi

Ascoli, storia e natura si fondono lungo le pendici del Colle San Marco. Arriva anche qui il Festival culturale dei Borghi rurali della Laga.

Escursione numero trenta, al giro di boa praticamente, di un fitto programma annuale di uscite che ne prevede il doppio in oltre una ventina di comuni di Lazio, Abruzzo e Marche. Alla riscoperta, talvolta anche piacevole e inattesa scoperta, dei tesori più o meno noti, ma certamente da meglio valorizzare, delle nostre aree montane. Alla ricerca e di nuovi equilibri e sostenibilità, con il coinvolgimento delle popolazioni residenti, di comunità e territori dell’Italia centrale, fuori dai grandi circuiti turistici.

Alla incentivazione di iniziative diffuse nell’intero arco dell’anno, volte anche a tenere vive tradizioni, usi e costumi locali, tramandate dagli avi. E in quel chilometro scarso di salita sul sentiero acciottolato che sale dalla frazione Piagge verso il pianoro di Colle San Marco, 150 metri di dislivello, una bazzecola anche per i camminatori meno assidui, si trova di tutto. Peccato che la piccola chiesetta di San Bartolomeo, immersa nel bosco, edificata nel 1474, e recentemente molto ben restaurata, sia rimasta chiusa.

Nonostante l’importanza dell’appuntamento, perché sono centinaia i trekker forestieri saliti, nonostante la calura opprimente, fin quassù nell’occasione, il parroco non ha potuto proprio trovare mezz’ora del suo tempo per venire ad aprirla. Sul portale tardo-gotico ci sono ancora le insegne della nobile casata ascolana degli Sgariglia, ricompensati per la loro fedeltà al papato con la regalìa dei terreni della provincia picena intera. E che, a loro, volta, alla soglia dell’estinzione della loro famiglia, resero ricco il Comune di Ascoli con una gigantesca donazione da destinare ai poveri della loro città. Una condizione disattesa che, probabilmente, li sta facendo rivoltare ancora nella tomba. Più orgogliosi gli Sgariglia possono andare invece dei privati, che alcuni di quei tanti terreni fecero in tempo ad acquistare. O almeno di proprietari virtuosi e romantici come loro. Come i Giuliani originari della vicinissima frazione San Savino. Poche centinaia di metri dai castagneti che ancora curano con un amore che va ben oltre l’interesse economico.

Giovanni Giuliani apre volentieri alla nutrita comitiva ospite il cancello del suo bosco di castagni secolari. «I nostri vecchi – ci racconta non senza una punta di commozione – hanno fatto sacrifici immani per lasciarci in eredità questi luoghi. Si sono spezzati la schiena per mantenerli puliti e produttivi. I soldi qui non c’entrano. Sono stati infatti numerosi gli anni in cui i bilanci fra costi e ricavi si sono chiusi in perdita, ma questo ci importa relativamente. Il minimo che possiamo fare noi, e, auspicabilmente, le generazioni che seguiranno dopo la nostra, per onorare la memoria di padri e nonni, è di custodirli con lo stesso loro rispetto e amore».

Luoghi che rigenerano l’anima, anime che rigenerano luoghi. È proprio questo il motto dei giovani attivisti volontari di questo Festival itinerante sospeso fra cultura e natura, fra arte e trekking, fra sostenibilità e inclusività, ponte fra generazioni, catalizzatore di anime e passioni. Che non smette di riservare sorprese, e svelare piccoli tesori nascosti. È sempre Giovanni Giuliani a guidarci, infatti, poco lontano, ad una delle storiche neviere interrate meglio conservate d’Italia. La grossa buca scavata nel terreno, forse a fine Ottocento, e rivestita accuratamente con blocchi di pietra, a conservare la neve che poi diventa ghiaccio. Prezioso, e indispensabile, per la conservazione dei cibi freschi nelle case che potevano permetterselo, e in alcune attività alimentari. In un mondo ancora senza elettricità e freezer.

Quindi riprende la salita lungo il sentiero nel bosco verso l’eremo. Una perla di rara bellezza incastonata sotto l’altopiano in travertino di Colle San Marco. Ben visibile dalla città, che domina, con una veduta dalle sue bifore, davvero mozzafiato. Un gioiello forse unico sotto alcuni aspetti, colpevolmente trascurato per troppi decenni. Eremi, conventi, monasteri, chiesette e romitori, risalenti al periodo alto medievale, abbondano sui versanti abruzzese e marchigiano, tutt’intorno alla Montagna dei Fiori. L’estrema propaggine verso est di quei monti della Laga, fra le ultime wilderness d’Italia ancora a resistere, e da salvaguardare. Monaci ed eremiti sconosciuti iniziarono a scavare in questa grotta e costruire, pietra dopo pietra, i loro luoghi sperduti di meditazione nel XIII secolo.

Non è da escludere la frequentazione di questo sito di meditazione e penitenza anche da parte di futuri, e famosi, santi e papi. L’asceta anacoreta Agostino fu, di certo, fra i primi frequentatori; l’opera dei frati Benedettini e Cistercensi ne fecero, nei secoli, la grandezza. Dopo l’abbandono dei religiosi furono, invece, i nobili ascolani Sgariglia e Tibaldeschi a dominare sull’eremo.

La trascuratezza e l’incuria di epoca moderna sono stati, provvidenzialmente, interrotti dai restauri e, soprattutto, dalla più giudiziosa e gelosa custodia degli ultimi anni messa in atto, gratuitamente, dall’associazione “Templari oggi aps” (leggi qui link pezzo recentemente uscito).

È augurabile in proposito una sollecita assegnazione, dopo apposito bando di concorso da parte del Comune, dell’incarico. Perché non si può lasciare nuovamente, troppo a lungo, interdetta la fruizione del sito ai visitatori. Le chiavi concesse per l’occasione all’iniziativa del Festival dei borghi, e quindi la possibilità di potervi, comunque, accedere, non possono restare privilegi eccezionali concessi a qualche ostinato volenteroso.

La rilevanza storico-artistica e la straordinaria bellezza dell’eremo di San Marco, ne impongono, al contrario, oltre ad una adeguata protezione e manutenzione, anche una meritata, ulteriore, valorizzazione. Altari e tombe che conferiscono sacralità ad un luogo impregnato di misticismo e contrizione. Solitudine, preghiere e penitenze, lectio divina, sulla via di una redenzione e purificazione per il genere umano ancora oggi di là da venire.

Centodue alti scalini di pietra da salire verso quell’eremo che sa un po’ di Cielo. In una sorta di nuova fuga dal mondo. Ai suoi piedi, per l’occasione, prima dell’abbraccio della comitiva del Festival dei borghi con la comunità di Casa Aquilone a Piagge, l’ultima chicca della giornata.

Le delicate melodie del coro Sibyllaensemble, diretto dal maestro Carmine Leonzi, sono il degno contributo al tentativo di provare a ritrovare, nel silenzio di quei boschi e di quell’eremo accarezzato da canti antichi, anche noi stessi.

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