La famiglia Facchini (Foto della pagina Facebook del sindaco di Monsampolo Massimo Narcisi)
di Maria Nerina Galiè
«La mano dell’uomo ci ha gettato nel buio, la mano di Dio ci ha sollevato nella luce eterna del suo amore» (Stava – Val di Fiemme – 19 luglio 1985): parole che toccano mentre ravvivano la memoria di Federico Facchini, della moglie Anna Maria Giannetti e del figlioletto di 3 anni Emanuele, la cui esistenza è stata cancellata in pochi minuti, 40 anni fa (leggi qui).
Il sindaco di Tesero Massimiliano Deflorian e il sindaco di Monsampolo del Tronto (Foto della pagina Facebook di Massimo Narcisi)
LA COMMEMORAZIONE – Ma non è possibile cancellare il ricordo, tra chi l’ha conosciuta e amata, di questa giovane famiglia originaria di San Benedetto e residente a Monsampolo del Tronto anche se per pochi anni, sufficienti per lasciare il segno, la cui eredità è stata raccolta dal sindaco Massimo Narcisi. Ieri – proprio nel giorno della ricorrenza – ha partecipato alla cerimonia commemorativa a Tesero, in Trentino, dove è avvenuta la tragedia che ha provocato 268 vittime, tra cui appunto i Facchini.
«Ho accolto con piacere – le parole del sindaco di Monsampolo – l’invito della Fondazione Stava 1985 di partecipare alle celebrazioni per il quarantesimo anniversario della catastrofe. Un grazie sincero al sindaco di Tesero Massimiliano Deflorian e al presidente della Fondazione Stava 1985 Graziano Lucchi per l’impegno a tenere viva la memoria su una tragedia prevedibile ed evitabile, con la loro disponibilità a collaborare per organizzare un momento di ricordo anche sul nostro territorio».
Il monumento a ricordo delle vittime (Foto pagina Facebook del sindaco Massimo Narcisi)
L’APPELLO – Non può, né vuole dimenticare, Lorella Rotondi, cugina di Federico, insegnante e giornalista, autrice della toccante frase. Auspica, lanciando un accorato appello alle istituzioni, che i nomi di Federico, Anna Maria ed Emanuele riecheggino in una scuola, in una palestra, in una biblioteca o in altro luogo simbolo di San Benedetto.
E’ quella la città dove hanno vissuto Federico e Anna Maria, dove si sono innamorati tra i banchi del Liceo Scientifico, dove lui è stato protagonista nello sport e nel sociale, dove tante persone hanno svelato di essere state aiutate dal medico dentista nel momento della difficoltà, anche economica, soltanto davanti alle tre bare.
«Non sapevamo che Federico avesse fatto del bene anche in questo modo – racconta la professoressa Rotondi – lui che è stato tra i primi a scavare nel fango dopo l’esondazione dell’Albula (ottobre 1970), tanto per dirne una, lui che nella vita ha sempre portato avanti la convinzione che “l’altro conta”. Esempio di cui ho fatto tesoro».
Per la cugina, Federico era un idolo, tanto che lo aveva scelto come testimone di nozze. Dovevano avvenire nell’anno della tragedia. Sono state rimandate. «E’ stato straziante andare dal sarto a riprendere il suo abito per il mio matrimonio. Federico era alto più di due metri ed il vestito lo aveva ordinato su misura». Un gigante buono lo descrive la cugina, cresciuta con lui come fratelli, e che ha tentato di fare scudo al figlio con i suoi 2.05 metri, ma la furia del fango non ha dato scampo a nessuno dei tre.
I MOMENTI PRIMA DELLA TRAGEDIA – Era il 19 luglio del 1985 quando, alle ore 12,22, una massa di fango di circa 180mila metri cubi si staccò dai bacini minerari di Prestavel in Val di Stava ed investì a 90 chilometri orari la vallata, travolgendo case, alberghi, capannoni e ponti. E vite umane (leggi l’articolo).
I Facchini si trovavano all’hotel Erika, spazzato via in un batter d’occhio, dove avevano deciso di trascorrere l’ultimo giorno della vacanza in Trentino, per salutare un amico ortopedico. Erano arrivati da pochissime ore e, con la moglie del collega – pure lei deceduta – si preparavano per il pranzo. L’ortopedico è sopravvissuto perchè lavorava e non aveva ancora raggiunto moglie e amici. Lo avrebbe fatto a brevissimo.
Prima di Stava, la famiglia Facchini era stata a Cortina d’Ampezzo e da lì ha mandato una cartolina alla famiglia, arrivata una settimana dopo la morte. Riscone la seconda meta, dalla quale hanno chiamato per dire “Ci vediamo a casa”.
«Apprendemmo della frana alla radio – racconta Lorella Rotondo con la voce rotta dal pianto – era difficile, allora, avere notizi in tempo reale. I miei zii, genitori di Federico, e i genitori di Anna Maria partirono subito per il Trentino. Il resto è storia». Una storia che deve essere ricordata.
La strage 40 anni fa: una famiglia del Piceno tra le 268 vittime della frana in Val di Stava
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