Afterhours, le “piccole iene” di Manuel Agnelli graffiano ancora (Video e foto)

MUSICA - Tappa sold out al "NoSound Fest" di Servigliano per la storica rock band, che celebra il ventennale dall'uscita di "Ballate per piccole iene". Due ore taglienti arricchite da brani storici come "Male di miele", "Quello che non c'è" e "Voglio una pelle splendida": «Negli ultimi venti anni abbiamo dovuto sopportare musica di merda»
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Afterhours al NoSound Fest

 

di Luca Capponi 

(foto di Cristiano Ninonà)

 

Se è vero che il sole sorge solo se conviene, è altrettanto vero alle vere iene conveniva essere qui, stasera. Per vedere il sole sorgere di nuovo al cospetto degli Afterhours. Piccole e grandi iene che sanguinano ancora. A 20 anni esatti da quel disco plumbeo, oscuro e tagliente che era, appunto, “Ballate per piccole iene”.

Manuel Agnelli

 

Per l’occasione Parco della Pace di Servigliano ed il “NoSound Fest” segna il sold out, un classico ormai per il bel festival organizzato da Best Eventi e Comune, giunto alla sua undicesima edizione.

 

Manuel Agnelli ed i suoi sodali, Andrea Viti al basso, Dario Ciffo al violino e Giorgio Prette alla batteria, salgono sul palco poco dopo le 21,30, in orario. Anche se è passato un bel po’ dall’ultima volta, il tempo sembra fermo; stessa furia, stessa poesia, stessa rabbia lucida per “La sottile linea bianca”, “Ballata per la mia piccola iena” e tutto il set iniziale che segue pedissequamente la tracklist del disco fino all’ultima “Il compleanno di Andrea”.

 

Le iene sono tornate. O forse non se ne sono mai andate. I primi 50 minuti volano via così, che alla fine si fatica a riprendersi dal cortocircuito spazio-tempo. Manuel e gli After ci sono sempre stati, parentesi televisive da talent a parte. Il rientro sul palco è la prova decisiva, lo schiaffo in faccia che ti scaraventa  tra “Strategie” e adrenaline da leccare. Dee e germi, direttamente dal 1995.

 

Il tempo di una magnetica cover de “La canzone di Marinella” di De André e dell’omaggio, doveroso, ai Black Sabbath di Ozzy Osbourne con “War Pigs” ed eccolo, di nuovo: Manuel a petto nudo, pronto a roteare il microfono come una volta. “La verità che ricordavo” e “Male di miele” (che Prette dedica ai «due angeli, Elisa e Matteo, senza cui non saremmo qui»), “Quello che non c’è” e “Varanasi Baby” sono detonazioni dell’anima, ferite mai rimarginate a colpi di chitarre.

 

«Questo è un tour magico, non ci aspettavamo tanto calore», esordisce Manuel prima di ringraziare, tra i tanti, anche coloro i quali hanno aperto la serata, Jack Nur e Rain Taylor. Facile capire il motivo: «Quelli come loro ci salveranno da questi venti anni di musica di merda che abbiamo dovuto sopportare». 

 

Applausi. Che aumentano al prosieguo dell’arringa: «Viviamo un periodo storico strano, dove i traguardi raggiunti in passato sembrano perduti. È bene tenere gli occhi aperti. Non rimanete a casa a premere un bottone con l’illusione di partecipare, perché in realtà così accade proprio il contrario e divenite innocui. Uscite e lottate per ciò in cui credete, fate pressione affinché le cose possano cambiare, fatelo sul Governo, perché spinga per far cessare il fuoco e per riconoscere lo stato della Palestina».

 

Poco da aggiungere. Anzi no, qualcosa, e poi come, c’è: spetta a “Non si esce vivi dagli anni ’80”, “Padania”, “Bye bye Bombay”, “Non è per sempre” e “Voglio una pelle splendida” chiudere le due ore di live. Manuel e compagni salutano, prima che le luci si accendano a sancire la fine. Le iene sono tornate. E sì, ci erano mancate tanto.

 

 


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