Nelle aree dell’entroterra appenninico si nascondono casolari e paesi abbandonati che risuonano di storie antiche e di tradizioni dimenticate
di Gabriele Vecchioni
(foto dell’autore e di Claudio Ricci)
Nelle aree dell’entroterra appenninico si nascondono casolari e paesi abbandonati che risuonano di storie antiche e di tradizioni dimenticate. Sono luoghi che, una volta animati dalla vita quotidiana dei residenti, ora si distendono silenziosi, circondati dal mistero.
Un paesaggio distopico accoglie il visitatore. I sentieri, le mulattiere che li raggiungono sono deserti; i muri delle case, rovinati dal tempo, sono spesso coperti dalla vegetazione e dai tetti crollati emergono i rami degli alberi. Le chiese antiche e le cappelle, con lacerti di affreschi (quello che poteva essere asportato è già stato portato via da anonimi cercatori), sono luoghi di solitudine, di desolazione. Tra le case, le fontane non versano più acqua.
Nonostante l’abbandono e l’evidente decadenza delle cose, c’è però qualcosa di magico in questi posti dimenticati: il vento sussurra tra i muri smozzicati e la natura segue il suo corso: la vegetazione riconquista il territorio, il canto degli uccelli echeggia tra gli edifici abbandonati; a volte, l’ombra di un animale si intuisce tra l’erba alta; un senso di pace avvolge il paesaggio. È come se il tempo si fosse fermato, e ci si ritrovasse in un’epoca lontana, sospesi tra il passato e il presente.
Le case e i paesi abbandonati dell’Appennino sono testimoni silenziosi di una storia ricca di fascino e di mistero, sono luoghi che parlano al cuore dell’escursionista che li raggiunge. Non ripeteremo qui i concetti, più volte espressi, del rispetto e dell’osservazione partecipata, ricordiamo solo che stiamo parlando di testimonianze di un tempo perduto, ma che ancora aleggia tra le pietre e le “strade” di questi borghi-fantasma. Con un po’ di cura e maggiore attenzione forse potrebbero essere riportati in vita, restituendo loro la funzione e la dignità di un tempo.
«Le aree marginali non sono spente. Per accorgersene però bisogna adottare altri sguardi, accendere i fari sulla vita che c’è nei paesi “vuoti”, sui bisogni, le attese e le aspirazioni di quanti restano, tornano e, più raramente, arrivano. Pochi, ma sufficienti per autorizzare la speranza che i luoghi rarefatti siano abitabili (Lento pede. Vivere nell’Italia estrema, 2023)».
La citazione è un messaggio di speranza, anche se è obiettivamente difficile averne dopo aver camminato per i sentieri che portano ai paesi; sono zone che, spesso, appaiono agli occhi del camminatore come integre, dal punto di vista naturalistico: durante il tragitto, lo accompagnano erbe spontanee, boscaglie e albereti attraversati da sentieri poco frequentati e da fossi con acque limpide da guadare. A ben guardare, è evidente la rinaturalizzazione degli ambienti abbandonati, grazie alla riconquista del territorio da parte della vegetazione spontanea (è la cosiddetta wilderness di ritorno).
Paesi dell’Abruzzo viciniore come Laturo (ma anche Serra, Valloni, Vallepezzata, Valle Piola…) o dell’Acquasantano (il cosiddetto “Appennino perduto” e paesi come Rocchetta, Agore, Tallacano) erano (e sono) raggiungibili solo grazie a sentieri e mulattiere e spesso, d’inverno, rimanevano isolati per l’orografia tormentata dei luoghi e la mancanza di strade; i residenti vivevano di un’agricoltura povera e di un allevamento che sfruttava i pochi spazi disponibili e i ripidi crinali. Visitando i paesi di case dirute, si comprendono le ragioni dell’abbandono «anche se va rilevata la tenacia con la quale gli abitanti hanno cercato di “resistere” fin quando hanno potuto».
Sono luoghi ormai abbandonati ma – a costo di essere ripetitivi – ognuno di questi posti ha qualcosa da raccontare: storie di vita vissuta, di lotta quotidiana in un ambiente difficile perché povero di risorse
In realtà, come ha scritto l’antropologo Vito Teti, «Contro ogni apparenza, i luoghi abbandonati non muoiono mai. Si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi abitavano, fino a costituire un irriducibile elemento di identità»: l’autore invita alla ricerca delle tracce e dei significati nascosti nel silenzio dei luoghi deserti, ripercorrendoli con il passo lento della riappropriazione.
È sua la frase relativa a luoghi come questi: «non sono posti per chi ha fretta». Occorre, infatti, visitarli con attenzione, con disponibilità, «abbandonando il proprio punto di vista e concedendosi al silenzio, all’ascolto, all’osservazione partecipata». Va cercato, in definitiva, il senso dei luoghi, come abbiamo già argomentato in precedenza.
Un paese abbandonato (e in zona ce ne sono…) va visto non solo come luogo in disfacimento ma anche per quello che è stato, la residenza di gente reale, che ha resistito senza abbandonare, finché ha potuto, il suo stile di vita. In questi luoghi hanno vissuto famiglie di boscaioli, pastori e contadini che esercitavano i loro mestieri e custodivano i terreni e i castagneti.
Gli ultimi residenti se ne sono andati agli inizi degli anni ’70 del Novecento, poco più di cinquant’anni fa (uno spopolamento preludio all’abbandono…). L’antica civiltà contadina, però, non è scomparsa, è ancora lì, aleggia tra le case abbandonate, i mozziconi di muri, i cancelli e le porte fuori dai gangheri, i campi invasi dalle erbe e dagli arbusti, i sentieri non più curati. I segni che l’uomo ha lasciato sul paesaggio non sono scomparsi, ma sono stati fissati dall’abbandono: le case, le stalle, le chiese in rovina e i sentieri che la natura sta riconquistando raccontano una storia marginale e guidano l’escursionista alla scoperta di una cultura diversa, quella della “montagna minore”.
È sempre interessante conoscere tali realtà perché, come scrive il già citato antropologo Vito Teti nel suo volume Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati (2004), «Noi siamo il nostro luogo, i nostri luoghi, tutti i luoghi, reali o immaginari, che abbiamo vissuto, accettato, scartato, combinato, rimosso, inventato. Noi siamo anche il rapporto che abbiamo saputo e voluto stabilire con i luoghi».
Sono parole che l’escursionista attento deve ricordare quando attraversa queste località.
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