di Walter Luzi
Tacciano le armi! L’appello si leva, forte e chiaro, anche dalla festa estiva di Fides Vita, che all’ex galoppatoio di San Benedetto ha animato tutte le serate della scorsa settimana (dal 10 al 17 agosto). Non poteva essere diversamente nel quadro di una manifestazione di spessore, fatta di contagiosa gioia, di giochi, di sport e di canti, ma anche di contenuti, di impegno civile, di incontri, soprattutto.
Alla ricerca di punti fermi, di qualcosa che sia per sempre. Come la pace. Questo sostantivo divenuto, da qualche anno in qua, assai divisivo. Persino impronunciabile in certi ambienti. Ma non a “L’avvenimento in piazza 2025”. Pace perseguibile e accettabile solo se si attaglia agli interessi dei potenti, ma vilipesa, sempre, sulla pelle degli innocenti. Come a Gaza.
Immane e vergognosa tragedia del nuovo millennio, a cui buona parte dei governi europei ha assistito con indifferenza colpevole, spesso con complice e compiaciuta giustificazione per i carnefici. Quelli che la parola pace, invece, anche se lì non è mai stata in atto una vera guerra, ma uno sterminio di civili inermi, non hanno mai smesso di gridarla sono stati pochi. Troppo pochi.
Governi e vip dello starsystem, politicanti e artisti, campioni e cantanti, ma anche tanti comuni mortali, hanno preferito chiudere gli occhi, defilarsi, non prendere posizione davanti all’orrore quotidiano che da quasi due anni continua indisturbato.
Ma si può, si deve, parlare ancora di pace a Gaza. «La pace non si costruisce con gli eserciti – sono le parole del portavoce di Pro terra sancta, Andrea Avveduto – ma con il dialogo fra due Stati che ora non si parlano, che non si riconoscono e legittimano reciprocamente. Due popoli che neppure la narrativa del dolore accomuna, divisi persino su quale, dei due, sia quello più grande».
Le prevaricazioni ai danni del popolo palestinese, spesso usato e penalizzato anche dagli stessi stati arabi, si consumano dal 1948. La libertà di azione sempre concessa ad Israele, e l’impunità garantita per ogni crimine commesso, grazie alle protezioni di America ed Europa, sono diventati via via insopportabili per i palestinesi, e per ogni portatore di umanità.
«Chi ha avuto il coraggio di perseguire una pace storica – continua Avveduto – su entrambi i fronti l’ha pagato caro. Rabin assassinato. Arafat tradito ed emarginato. Quelli che armarono i sicari di Rabin oggi sono esponenti di rilievo del governo israeliano. Dopo Arafat, invece, sono arrivati gruppi ben più radicalizzati e violenti. L’odio di Hamas da una parte, le paure di Israele dall’altro. Parlano sempre della loro sicurezza senza sapere, forse, che nella loro lingua la radice semantica di questa parola, bitachon, significa anche fidarsi, avere fiducia».
Una festa come occasione di incontri si è detto. In videocollegamento da Aleppo c’è anche Jean Francois Thiry di Pro terra sancta. La sua organizzazione distribuisce mille pasti caldi al giorno agli sfollati. Cristiani o musulmani che siano. «Insieme ai francescani – spiega – offriamo anche sostegno psicologico e istruzione. Non siamo qui solo a cercare di risolvere i loro problemi, ma, principalmente, a condividerne i tanti bisogni. Perdere la fede può essere peggio che perdere la vita. Perché proprio la fede può dare un senso alla vita. Conosco tanti giovani stanchi di violenze e uccisioni. Le ricorrenti faide incrociate fra sunniti, alawiti e drusi non le vogliono più. Il perdono, o qualcosa che ci si avvicina molto, è previsto anche nel Corano. Cerchiamo di creare spazi aperti dove le diverse religioni possono incontrarsi e dialogare».
L’importanza dell’incontro, appunto.
Potrebbe servire anche a spiegare a qualcuno che il concetto di “elezione” del popolo ebraico non deve essere frainteso. Non implica, infatti, alcuna superiorità nella differenza etnica. Il suprematismo razzista della destra sionista cozza, insomma, oltre che con l’intelligenza e l’umanità, anche contro i dettami della Torah.
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