«Nove anni dopo il sisma, Pescara del Tronto non può più aspettare»

ARQUATA DEL TRONTO - La lettera aperta di Sergio Giangregorio, presidente del Consorzio “Ricostruire Pescara del Tronto 1”, al Commissario straordinario Guido Castelli
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Il ricordo delle vittime del terremoto, a Pescara del Tronto, la notte del 24 agosto 2025 (Foto Fabrizio Ottavi)

Una lunga lettera indirizzata al Commissario straordinario per la ricostruzione, Guido Castelli. A scriverla è Sergio Giangregorio, presidente del Consorzio “Ricostruire Pescara del Tronto 1”, che a nove anni dalla tragedia del 24 agosto 2016 affida alle parole tutto il dolore e la speranza di chi da quasi un decennio attende una rinascita che sembra non arrivare.

«Sono passati nove anni. Nove interminabili, sospesi, dolorosi. Eppure per me e per tanti come me – quella notte del 24 agosto 2016 non è mai finita. È rimasta ferma nella mia mente, nei muri spezzati delle case che non ci sono più, nei silenzi delle vallate che un tempo echeggiavano di voci e risate, nei volti di chi non tornerà mai, ma che io rivedo nei ricordi.

Pescara del Tronto è stata inghiottita da una ferocia che la natura, quella notte, ha scatenato senza pietà. Cinquantadue persone. Cinquantadue nomi. Cinquantadue storie. Cinquantadue vite strappate in pochi secondi.

Io non c’ero. Potevo esserci. Dovevo esserci. Ma il destino, il caso, la coincidenza hanno deciso diversamente. E questo pensiero, invece che consolarmi, mi costringe a riflettere ogni giorno.

Gentile Senatore Castelli, il terremoto non è solo una scossa. È un prima e un dopo. C’è un prima in cui la vita è fatta di quotidianità: il caffè al bar con gli amici, la passeggiata nel borgo, il suono dei passi familiari sulla ghiaia, le cene d’estate nelle piazzette. E poi c’è un dopo che è silenzio, polvere, buio. È fatto di occhi che cercano tra le macerie, di mani sporche che scavano, di urla che diventano pianti e di pianti che diventano preghiere. Preghiere che, purtroppo, spesso non trovano risposta.

In quella notte, molti hanno perso tutto. Anch’io ho perso tanto, troppo: pezzi di me che non torneranno mai. Non c’è logica, non c’è un motivo. Perché alcuni si salvano e altri no? Me lo chiedo spesso. Non ho mai trovato una risposta. Ma so una cosa: chi resta ha il dovere di ricordare e di resistere. Resistere alla burocrazia, all’avidità, all’indifferenza. Resistere, dopo un terremoto, non significa soltanto sopravvivere. Significa ricostruire. Non solo case, ma vite, cuori, anime, corpi, sogni, relazioni.

Tutto ciò che è andato in frantumi va riassemblato dove è possibile e, dove non lo è, bisogna imparare a gestirlo con umanità. Altrimenti si perde il senso della vita.

Il problema è che, in Italia, la ricostruzione non è mai solo una questione tecnica. È un labirinto di carte, di autorizzazioni, di progetti, di firme, di lungaggini che sembrano studiate per farti desistere. Nel frattempo, chi ha perso tutto aspetta. Aspetta un tetto, una risposta, che i diritti si concretizzino. E mentre aspetta, si consuma. Molti sono andati via, alcuni, nell’attesa, sono morti di speranza, altri hanno scelto il silenzio. Io ho scelto di non dimenticare.

Ci sono i lutti personali, quelli che la vita fisiologicamente ti impone. Ma il lutto collettivo è diverso: ti spacca in due, perché perdi tutto insieme. Non piangi una sola persona, piangi un’intera comunità. Il dolore di uno diventa il dolore di tutti. E il tuo dolore diventa, giorno dopo giorno, una responsabilità, perché la memoria non può restare sepolta sotto le macerie. E così, ogni gesto che compio è un atto di memoria. Scrivere, parlare, denunciare, insistere… tutto è memoria. Ma a volte non basta. Non consola.

Pescara del Tronto dopo l sisma del 2016

Gentile Senatore, il terremoto visto in televisione commuove. Le immagini delle case crollate, i soccorritori tra le rovine, le lacrime di chi ha perso tutto: ti si stringe il cuore per qualche minuto. Poi si cambia canale. Poi arriva un’altra notizia, un’altra emergenza, un altro dramma, e tutto svanisce. Ma per chi ha vissuto davvero il terremoto non c’è pausa. Non esiste il “poi”. Esiste un presente continuo fatto di assenza. Chi ha sentito la terra tremare sotto i piedi, chi ha visto una casa cadere come sabbia, chi ha udito l’ultimo respiro di una persona amata, non dimentica mai. E capisce, in quell’istante, quanto tutto ciò che sembrava scontato fosse in realtà un dono: un caffè, un bacio, una porta che si apre, un odore di sugo la domenica mattina.

Dopo nove anni, ci si aspetterebbe di vedere un territorio risorto. E invece no. Troppi paesi, tra cui Pescara del Tronto, sono ancora scheletri di se stessi. È una ferita doppia: quella del terremoto, che ti toglie tutto, e quella dell’abbandono, che ti toglie anche la speranza. Abbiamo chiesto solo una cosa: tornare a vivere in abitazioni dignitose, ma a volte sembra che sia troppo.

Non siamo solo numeri. Cinquantadue vittime: lo si dice così, in fretta. Ma io li conosco. Uno per uno. So i loro nomi, i volti, le storie. So dove vivevano, che lavoro facevano, cosa amavano. Erano persone, non cifre in un bollettino. C’erano vite vere.

E adesso? Adesso ci siamo noi, i superstiti. Chi ha pianto tutti i giorni e chi ha imparato a sorridere tra le lacrime. Chi ha lasciato, e chi è rimasto a combattere. Il nostro dovere: ricordare e resistere. In questi anni ho visto di tutto: solidarietà vera e commovente, ma anche promesse mancate, speculazioni, indifferenza. E ho capito che resistere è l’unico modo per onorare chi non c’è più.

Resistere significa lottare contro l’oblio. Continuare a raccontare. Ribellarsi quando serve. Difendere il ricordo di un paese che aveva un’anima, un’identità, una storia. Perché la memoria non è solo tristezza. È anche lotta, verità, amore.

Bisogna resistere. Lo dobbiamo a chi non ce l’ha fatta. Lo dobbiamo a chi, ogni anno, torna al Parco della Memoria con le lacrime agli occhi, cercando qualcosa che nessuno potrà più restituirgli. Lo dobbiamo a Pescara del Tronto, a quel piccolo borgo incastonato tra le montagne. Perché il dolore, quando è condiviso, si fa forza.

Gentile Commissario Castelli, faccia suo questo dolore e lo trasformi in azioni concrete e veloci, per ricostruire tutto ciò che si deve, dando finalmente un senso a questi nove anni di attesa».

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