“Serafino story”, Kappa racconta Adriano: «Per me è un secondo padre»

ARQUATA - A Spelonga è andato in scena il recital “Questa è la storia…” incentrato sulla figura di Celentano e sul film che Pietro Germi girò in loco nel 1968. Sul palco, oltre all'autore bergamasco, le canzoni interpretate da Paolo Menichini e i retroscena del libro di Mauro Scoccia "Effetto Backstage". Un'occasione, l'ennesima, per ricordare una pellicola che ha segnato i ricordi di tutto un territorio e per fare due chiacchiere sul mito del "molleggiato" con chi lo conosce bene
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Menichini, Kappa e Scoccia sul palco di Spelonga

 

di Luca Capponi

 

Ascoltare aneddoti e retroscena da una voce che lo conosce personalmente, e da tanto, fa tutto un altro effetto: «Adriano per me è come un secondo padre, mi ha accompagnato lungo tutta la vita. Lui è così come lo vedi, non c’è niente di costruito nel suo personaggio».

Un momento dello spettacolo

 

Il racconto arriva a margine dell’evento che Kappa, nome d’arte del 55enne autore bergamasco, ha ideato e portato in scena a Spelonga di Arquata, durante la mitica Festa Bella. Una serata in cui il cinema è tornato a respirare tra i monti, quando la luce dei riflettori si confonde con quella dei borghi e i ricordi si fanno presenza viva. Una serata in cui, una volta ancora, rivive il mito del film girato da Pietro Germi nel 1968 tra Amatrice e l’Arquatano, appunto.

 

Qui, davanti a un pubblico caloroso, è andato in scena “Questa è la storia…di Serafino”, un viaggio poetico tra teatro, musica e parole capace di far riemergere lo spirito del “molleggiato”.

Il recital, prodotto da “Fantacon Production”, ha intrecciato le tappe della carriera di Adriano Celentano – dagli esordi in via Gluck alla svolta cinematografica – con il ruolo ribelle e poetico del pastore Serafino, che qui trovò il suo palcoscenico naturale. Ad accompagnarlo, le canzoni reinterpretate dal cantante Paolo Menichini e dallo stesso Kappa in una performance carica di emozione e intensità. Ad arricchire la serata, la partecipazione di Mauro Scoccia, autore del libro “Effetto Backstage”, che custodisce storie e curiosità delle riprese raccolte in anno di certosino lavorio di ricerca.

 

Nonostante le minacce del maltempo, l’accoglienza è stata calorosa. E lascia sperare in un bis, chissà. «Esibirsi nei luoghi stessi del film è stato emozionante, quasi magico», confida Kappa al termine dello spettacolo.

 

Ma dietro il narratore c’è una storia personale altrettanto intensa. Kappa non è solo un fan appassionato, poiché da tempo è parte integrante del mondo di Celentano. Amico personale di Miki Del Prete, storico membro e paroliere del Clan, ha seguito da vicino tutte le trasmissioni di Adriano, dalla rivoluzionaria “Francamente me ne infischio” del 1999 fino all’ultimo Adrian del 2019. Un “factotum” di fiducia, testimone privilegiato di momenti irripetibili.

 

E così gli aneddoti scorrono come frammenti di una lunga confidenza. La prima volta da ragazzo fan quando, pur di assistere al programma cult “Svalutation” (anno domini 1992), riuscì a entrare con un biglietto fotocopiato. Poi, in veste di collaboratore, le ore interminabili per provare una gag in cui Celentano, travestito da Aretha Franklin, cercava la perfezione dal pomeriggio fino alle quattro del mattino; il ricordo di una diretta a “Il Boom”, trasmissione del 1996 di Canale 5 condotta da Gene Gnocchi e Teo Teocoli, quando un fan gridò “sei il numero uno” e Kappa, improvvisando, aggiunse “due, tre, quattro”, provocando in Adriano una risata contagiosa che interruppe la canzone “Così come sei”.

Ma Kappa è stato anche testimone diretto di momenti che oggi appartengono agli annali dello spettacolo italiano: come l’indimenticabile incontro sul palco tra Dario Fo, Giorgio Gaber, Antonio Albanese, Enzo Jannacci e Celentano nella trasmissione “125 milioni di caz..te”, andata in onda nel 2001 su Rai Uno. «Ero lì, in prima fila – ricorda – e vidi con i miei occhi quell’alchimia irripetibile, un frammento di storia culturale che non dimenticherò mai».

 

Il legame con Celentano, però, nasce ancora prima, dall’infanzia: «Avevo cinque anni e in colonia, di notte, canticchiavo per farmi coraggio una melodia che non sapevo di chi fosse. Solo più tardi scoprii che era “Yuppi du“. Nel 1983, ero già più grandicello, la musicassetta con i suoi grandi successi accompagnò tanti viaggi in macchina insieme a mio padre, da lì non ho più smesso di ascoltare Celentano»

 

Racconti che sanno di amicizia, rispetto e gratitudine, e che a Spelonga si sono intrecciati con l’eco di un film che ha fatto entrare queste terre nella storia del cinema. Così, tra le note, le immagini e la voce narrante, Serafino è tornato a vivere, restituendo al pubblico il profumo di un’epoca e la certezza che certi legami – tra artisti, luoghi e memoria – non si spezzano mai.

 

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