Le storie di Walter: le donne di Force

DA DOMENICA “Meneca” e Benedetta “Betta” fino a Nunzia e Daniela. Quattro generazioni accomunate dalla passione, e dalla capacità, di alleviare le sofferenze al prossimo. Con le rispettive famiglie, che, in epoche diverse, si sono fatte valere passandosi, idealmente, il testimone di una comune predisposizione alla cura e al benessere delle persone 
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Donne forcesi di ieri…

 

di Walter Luzi

 

Questa è una storia di donne. Di quelle di una volta, e delle loro discendenti. Donne di Force. Di campagna. Forti e generose. Capaci e appassionate. Con un dna che si è trasmesso dalle nonne a figlie e nipoti quasi intatto, più forte del cambiamento dei tempi, del falso progresso portato dal nuovo che avanza. Che tutto stravolge, spegne, avvelena.

…e di oggi

 

Le donne di Force, e tutte quelle come loro, in ogni angolo di mondo antico che hanno abitato, invece, hanno ben saputo tramandare il loro saper fare, il saggio pensare, e l’insegnare, più con l’esempio che con la parola. Hanno saputo anche ben seminare, e trasmettere, in molti casi, a figli, nipoti e pronipoti, le loro passioni, e le loro innate vocazioni.

 

Come regalare agli altri, sorrisi, e sollievi. Alleviare i dolori del corpo e, un po’, anche quelli dello spirito. Usando pratiche terapeutiche ancestrali, rimedi naturali contro ogni malanno, come conoscitrice, e depositaria, di antichi, benèfici, segreti. Solo così, con la loro sapienza tramandata, il loro carisma, la loro energia, le donne di Force hanno ben saputo, inoltre, non da ultimo e non cosa da poco questa, farsi benvolere per tutta la vita, e farsi ricordare, per sempre, anche dopo che la morte se le è portate via. Non riesce a tutti, perché non è facile. Perché devi metterci tutto l’amore che hai.

Nonna Meca (seconda da destra) con alcuni parenti

 

Domenica “Meneca” Caferri

 

Da Colle Riccardo, dove abitava, Domenica, “Meneca” per i paesani “Meca” per i familiari, Caferri, classe 1911, si era presto conquistata la fama di infermiera tuttofare in tutto il forcese.

 

Le punture e le chiarate erano le sue specialità. Oltre a togliere il malocchio s’intende. A neutralizzare l’invidia, gli influssi perniciosi degli sguardi malevoli. La tutto fare, e la tutto cuore. Presidio sanitario di primo soccorso, permanente, popolare, e gratuito, per tutti i bisognosi di cure. E braccia aperte per tutti.

 

Slogature e contratture, i fantomatici “nervetti accavallati” che la scienza fisioterapica moderna non contempla, ma che lei, in ogni caso, riusciva a localizzare e neutralizzare per il sollievo dei vicini di casa e compaesani sofferenti. Molto fortunati ad avere accanto una come lei, una avanguardista della chiropratica.

Fronte carta identità epoca fascista

 

Tutto cuore, come detto, e, appunto, senso pratico. Come quando, con una manovra a forchetta, riusciva a far rientrare le ernie prima della applicazione di taumaturgiche fasce contenitive. O, quando le doglie annunciavano l’imminenza del parto, che era normalità si consumasse nelle case, le donne, prima dell’ostetrica, mandavano a chiamare lei. Poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale sposa Mariano Alesiani, d’ R’pà. Uomo saggio, mite e taciturno, andava orgoglioso dei suoi trascorsi nel corpo dei Bersaglieri.

 

La sorte, essendo uno dei pochi a saper leggere e scrivere a quei tempi, gli aveva evitato i rischi mortali del fronte, facendolo rimanere a Roma, destinato alla consegna di lettere e dispacci. Invecchiando tutti lo chiameranno sempre nonno Mià. Dalla loro unione nasceranno due figli: Benedetta, nel 1939, e Nazzareno, nel 1942. Ma, siccome il latte al suo seno di puerpera abbonderà sempre, Meneca, sarà mamma di latte anche di altri neonati forcesi. Della figlia Benedetta, detta Betta, un’altra delle donne di Force, parleremo ancora più avanti.

 

Sul Rex con Carnera

 

Da Force, sulla via Piroccio di Montecchio, alla fine del primo decennio del Novecento Nicola “Nico’” Bassetti, della casata de lu bastardu, Perché a Force, con molte parole che finiscono con la U, il dialetto sa più di fermano che di ascolano.

 

Classe 1891, terzo di sei figli, Nicò era emigrato in America nel 1912. Aveva servito nell’esercito degli Stati Uniti, acquisito la cittadinanza americana, e, dopo aver fatto diversi lavori nell’Ohio, aveva messo su in Pennsylvania una piccola fabbrica di cappelli. In America era rimasto per ben ventiquattro anni. Tornava in Italia, ogni tanto, a bordo del leggendario transatlantico Rex, reso famoso dal cinema di Federico Fellini. Proprio durante una di queste traversate aveva avuto modo di vedere da vicino, rimanendone impressionato per l’imponenza fisica, anche il grande campione di pugilato Primo Carnera.

Betta e Primo da fidanzati

 

Quel giorno decise che avrebbe chiamato con questo nome, Primo, suo figlio. Se, e quando, ne avesse avuto uno. Perché, sempre preso dal lavoro com’era stato, non aveva potuto dedicare troppo tempo alla ricerca dell’anima gemella. Anche per questo i genitori, preoccupati per la sua lontana singletudine, sollecitavano da tempo il suo rientro in patria.

 

Tornato a Force, Nicò, con i dollari americani risparmiati, ci compra le terre e una casa, tornando a fare la vita del contadino. Senza rimpianti per quella, forse meno sacrificata ma certamente più remunerativa, di brillante imprenditore, very self made man, come si dice da quelle parti, oltreoceano. Conservando una eleganza nel vestire e nel porsi, esaltata dal cappello e dai foulard di seta, che indossava nei giorni di festa.

 

Mette anche su famiglia insieme ad Annunziata, una ragazza di Palmiano. Primo Ascenzio nasce nel 1937. Impara presto a suonare la fisarmonica alla scuola del maestro Francesco Mancini di Santa Vittoria, ed è, per questo, molto richiesto alle feste da ballo spesso organizzate nelle rimesse dei casolari di campagna del circondario. È durante una di queste che conosce Benedetta, “Betta” Alesiani.

 

Il testo continua dopo le immagini

 

Il corteo nuziale con i parenti di Benedetta

Il matrimonio di Betta e Ascenzio Primo

 

Si innamorano presto, e lui, mentre suona, deve tenere un occhio alla tastiera della sua fisarmonica e uno alla pista, dove lei è sempre molto invitata a ballare. Primo e Benedetta si sposano, il 3 settembre 1960, nella chiesa di San Pietro e Paolo. Lui ha 23 anni, lei 21. Nicola arriva l’anno dopo. Annunziata “Nunzia” nel 1962, e Giuseppe nel 1964.

 

A tavola in diciotto

 

Continuano a lavorare la terra, quattro ettari, e ad allevare qualche animale. Come, fra gli altri, le quattro pecore, sempre quelle, che i più piccoli chiamano per nome, come componenti effettivi della famiglia. E che hanno ricevuto l’incarico di accudire ogni giorno.

 

Benedetta con in braccio uno dei figli

I tre fiigli di Betta

Nunzia e il fratello Giuseppe paggetti a un matrimonio

 

Spesso Nunzia e i suoi fratelli portano con loro i quaderni e i libri di scuola per poter fare anche i compiti quando le accompagnano al pascolo.

Benedetta con il marito intenti al taglio della porchetta

 

«I momenti di svago più belli – racconta Nunzia Bassetti – noi bambini li andavamo a passare a Colle Riccardo. Lì, davanti alla casa di nonna Meca, c’era un campo di bocce dove gli uomini andavano a farsi una partita nei giorni di festa dalle case sparse vicine. C’era sempre una gran caciara lì in quei giorni, e noi bambini ci andavamo sempre con grande gioia a giocare. Sono cresciuta in mezzo a tanti fratelli e cugini maschi, e, per questo, più che le bambole sono cresciuta maneggiando le fionde, giocando a pallone o anche andando sui trampoli, arte circense della quale sono stati maestri, per tanti, i compaesani Marco e Piera Fulvi».

 

Nunzia è stata bambina in seno a una di quelle famiglie numerose e ha raccolto le memorie delle mamme e delle nonne forcesi, che sono comuni a quelle di tutte le società rurali di quel tempo. Quando si viveva tutti sotto lo stesso tetto, nella grande casa colonica, e si lavoravano, tutti insieme, le stesse terre. Famiglie patriarcali, nell’ambito delle quali le donne, presto maritate, lasciavano la famiglia di appartenenza per entrare in quelle dei mariti. E gli uomini dovevano, altrettanto presto, portare in casa le proprie mogli per sopperire.

Betta e Primo con il gruppo folk Scartozzà

 

«A tavola, a casa di mamma – ricorda ancora Nunzia – era usuale apparecchiare per diciotto persone. Le femmine di casa non si sedevano per pranzare, o cenare, insieme agli uomini, a cui erano riservati le pietanze migliori, e le porzioni più abbondanti, giustificate dal maggiore fabbisogno calorico per i loro duri lavori agricoli. Loro, le donne di Force, mangiavano da una parte. A cibarsi degli scarti e degli avanzi, come le teste e le zampe della gallina. Perché petti e cosce spettavano, invece, di diritto, ai maschi. E sempre sedute sullo spigolo della sedia, “‘m’pizz’ ‘m’pizz’”, come si dice in dialetto, sempre pronte cioè, ad alzarsi per rifornire, all’occorrenza, di acqua, vino o altro pane affettato, la tavola degli uomini».

 

Benedetta “Betta” Alesiani

 

Betta è l’alfiere delle donne forti e fiere di Force. Con Primo continua a lavorare le terre ed allevare mucche, ma è sempre pronta a rivolgere lo sguardo anche verso altri orizzonti. Infaticabile, sempre entusiasta. Prima di sposarsi fa da aiuto barista all’Euro bar, poi divenuto “di Marta”, in paese. Dopo le incombenze della casa e della campagna si dedica alla tessitura, al ricamo e al cucito in casa. Quando a Force, alla fine degli anni Sessanta, apre una fabbrica di scarpe, la Marilungo, lei si fa assumere. Appena ha potuto ha preso, infatti, la patente a Servigliano, e il papà le ha comprato, dopo aver brontolato parecchio, una Topolino. Che all’occorrenza, come la successiva Fiat 600, è al servizio dell’intera comunità forcese.

l ritratto dei nonni fatto da Beatrice Bassetti in occasione del loro 60° anniversario di matrimonio

 

Ora ambulanza verso il più vicino ospedale di Amandola, ora corriere per riportare dai molini e pastifici di Ascoli la pasta per tutti i paesani. La Topolino di Primo e Betta farà anche da prima auto di scuola-guida per tutti gli aspiranti patentati del paese. Quando inizia a lavorare da Marilungo accompagna prima i figli a scuola, e si porta dietro il pranzo anche per loro, non avendo il tempo necessario per poter tornare a casa. Ma presto, proprio per questo problema, si trasforma in cottimista a domicilio. Marilungo le porta in casa una macchina Pfaff per cucire le tomaie. I piccoli, per quello che possono, le danno anche una mano.

 

Quindi la nuova sfida lavorativa di Benedetta, davvero infaticabile, si sposta nel commercio. A Force, alla fine degli anni Settanta, rileva insieme al figlio Nicola, da Gilberto Tendoni, in centro, un piccolo bazar di casalinghi, ferramenta e bombole di gas. Ne allarga l’offerta con i giocattoli e gli articoli da regalo rilanciando l’attività, ma è nel ruolo di porchettari ambulanti che, sempre Nicola con il validissimo supporto dei genitori, fin dal 1983, si faranno conoscere e apprezzare a lungo per la loro rinomata porchetta forcese. Allevata, condita e cotta al forno con passione, secondo le antiche e laboriose ricette apprese da Paolo Del Bello, la porchetta di Force, di Nicola Bassetti, sarà sempre molto richiesta alle sagre, ai mercati, e alle feste di paese.

 

Lu macchenà la trebbiatura a Force

Gli antichi rimedi

 

Betta, come Meca, perpetua le usanze, i riti e le medicine alternative del passato. A Force una farmacia ai loro tempi c’era già, ma in molti, in paese come in tutte le zone rurali dell’Italia intera, preferivano girargli al largo, cercando di tenere lontani, finchè possibile, dottori e farmaci, ed esorcizzare ogni male declamando la beneaugurante filastrocca. “Fin quando la bocca mi mangia e il culo mi rende – recitavano le strofe in rima – ‘n gorbo alle medicine e a chi le vende!”.

Nunzia e Gianni il giorno del matrimonio con le nonne Annunziata a sinistra e Meca

 

Cura anche lei distorsioni e slogature con le chiarate, che vengono realizzate impastando sapientemente chiara d’uovo, sale e farina. Il risultato è una specie di guaina che, seccando, immobilizza la parte dolorante, protetta da una successiva fasciatura di bende di fortuna, ricavate tagliando a strisce vecchie lenzuola.

 

Un bendaggio rigido naturale ante litteram, che viene applicato dopo il massaggio della parte dolorante con l’aceto caldo, e mantenuto per almeno qualche giorno. Anche Betta, come Meca, ha il potere di togliere l’invidia, segnà la mmidia, come si dice in dialetto, alle persone, ma anche ad animali e a cose. La segreta formula da tramandare solo in avanzata vecchiaia a più giovani, e meritevoli, adepte. Nelle quali riconoscere l’irrinunciabile e riconosciuta bontà d’animo, che le rende degne di ricevere in dono questa eredità.

 

Uno dei tanti segreti, passati di generazione in generazione, fra le donne di Force. Nei piccoli segni di croce, passati su tutto il corpo dei presunti invidiati da queste donne, mentre recitano le segrete formule affrancatrici, sta il mistero di questo rito purificatore che si tramanda da millenni. La tenue fiammella della luma, la piccola lampada a olio, accesa per tutta la durata del rito. Alla effettiva liberazione dai malevoli influssi grazie a questo, si può credere convintamente, o per niente. Ma il mistero della goccia d’olio che si spande nel piatto d’acqua solo quando il malocchio c’è, rimane. Leggi scientifiche, fisiche e chimiche, imporrebbero, infatti, che dovrebbe avere l’identica, stessa reazione. Sempre. A prescindere. E invece.

 

Con la nipote Daniela

Il ballo

 

Ad una festa da ballo organizzata in un fondaco si erano conosciuti, Betta e Primo, e su una pista da ballo continueranno a divertirsi per tutta la vita. Andando a ballare insieme, tutti i sabati e le domeniche dell’anno, insieme alla solita comitiva di amici nelle tante balere della zona. Al Baladì di Torre San Patrizio, al John Lennon di Grottazzolina, al Gilda di Porto Sant’Elpidio in inverno. E ad ogni festa di paese estiva fin nel fermano, soprattutto quando ci sono le riprese di Gente nostra, il seguitissimo programma di Tvrs. Non solo. Sempre in coppia, Betta e Primo, fanno a lungo parte del gruppo folkloristico Scartozzà di Rubbianello.

 

Daniela e nonna Betta compleanni insieme

 

Il nome del gruppo rievoca lo “scartozzà”, la tradizionale scartocciatura manuale, cioè, delle pannocchie di granoturco, e riscuote molto successo sia nell’ascolano che nel fermano. Betta e Primo, infatti, sono bravissimi anche a ballare il Saltarello nei costumi tipici della tradizione marchigiana al suono degli organetti. Lei è sempre gioviale e socievole, aperta e bendisposta, e anche curiosa, e le piace avere intorno a sé figli e nipoti. Per questo si è fatta una casa grande, in contrada Piroccio, e un grande tavolo, dove poter mangiare tutti insieme in ogni occasione propizia.

 

 

Ma anche con parenti, amici e compaesani, in occasione dei tradizionali appuntamenti legati ai lavori agricoli stagionali, che diventano, ogni volta, da sempre, una festa. Da condividere, a turno, dopo l’aiuto reciproco. La mietitura, la trebbiatura, la vendemmia, la macellazione dei suini, le cosiddette “’mmasciate del maiale”, delle quali Betta è espertissima.

Nunzia Bassetti

 

Nunzia, la figlia di Betta, e il suo Giovanni, “Gianni”, un cameriere ascolano, un cittadino che appare, sulle prime, fin troppo emancipato ai suoi, sono insieme da quando lei aveva sedici anni, e lui pochi di più. Si sposano nel 1982. Elisa arriva nel 1985, Daniela nel 1989, cinquant’anni esatti, meno un giorno, dopo nonna Betta.

 

Festeggeranno insieme tutti i loro compleanni. Nunzia si era diplomata alle Magistrali del Bambin Gesù di Ascoli, alloggiando, poco distante, nel collegio delle suore Concezioniste. Tutto dalle suore, una condizione inderogabile questa, posta dal padre per acconsentire a mandarla a studiare in città. Come la mamma, nella sua vita ha saputo fare di tutto. Inizia da cameriera al seguito del marito nei fine settimana, e cuoca in alcune mense aziendali. Fa anche una fugace esperienza come usciere della Provincia, quindi diventa animatore teatrale psico-riabilitativo, che la vede operare come assistente ai disabili nella Pagefha e in alcune scuole.

 

«Mi sono formata con un corso organizzato dallo I.A.L. marchigiano – racconta Nunzia – e quella esperienza teatrale ha fatto più bene a me che ai miei ragazzi. Ne ho tratto un giovamento incredibile a livello psicologico, mi sono scoperta, trovando in pieno me stessa».

 

Il corso per qualificarsi operatrice sociosanitaria non è solo un’altra delle sue tante sfide vinte, ma, soprattutto, la consacrazione di una inclinazione naturale, sempre avvertita, l’abbraccio di una vocazione innata, incisa, come visto, nel patrimonio genetico della famiglia. Quella di prendersi cura degli altri. Inizia a lavorare al benemerito Istituto Bergalucci di Offida, quindi passa alla Rsa comunale di Ripatransone, e poi all’Istituto delle Suore del Preziosissimo Sangue ad Ascoli.

 

Nonna Betta circondata da tutti i nipoti e pronipoti

Per riavvicinarsi ulteriormente a casa sceglie poi l’Istituto Santo Stefano di Monticelli, anche se lei continua a prediligere la Sanità pubblica rispetto alla privata, e a sperare in un contratto a tempo indeterminato. Si rimette a studiare, e a fare concorsi pubblici. Ne vince parecchi, ma tutti fuori sede, per Ancona, per il famoso ospedale “Rizzoli” di Bologna e Imola. Rinuncia sempre, scegliendo la famiglia.

 

Accetta, invece, poco dopo, nel 2016, quando riesce a vincere un concorso a tempo indeterminato anche in Abruzzo, per il reparto Pediatria dell’ospedale “San Salvatore” a L’Aquila. Va e viene ogni giorno con la sua auto. Un’ora e venti ad andare e un’ora e venti a tornare. Nella stessa città studia in quel periodo anche la figlia Daniela. Concomitanza ideale per favorire, con lei, incontri, drink, colazioni e pranzetti a due. Va avanti e indietro per un anno e mezzo, prima del riavvicinamento, all’ospedale “Mazzoni” di Ascoli dopo, dove ha prestato servizio nei reparti di Medicina, Odontoiatria e, da ultimo all’Osco, l’ospedale di comunità per lungodegenti post-acuti. Oggi non ha fretta di andare in pensione perché i contributi sono ancora pochi, e perché, soprattutto, il suo lavoro le piace. Se ne accorgono anche i pazienti, nelle corsie, nei loro letti, che lei ci mette qualcosa in più.

 

«Andare a lavorare – ci dice – non mi ha mai pesato, anzi. Forse è questa mia predisposizione naturale per aiutare il Prossimo, a darmi quella serenità interiore che, forse, traspare».

 

Ciao nonna Betta

 

Betta sarà sempre il faro della famiglia. Il riferimento sicuro. La mente. Primo, il marito, è il braccio, ma è sempre lei a tracciare la rotta. Betta. Che gestisce, che pianifica, che organizza. Ad un certo punto in famiglia cominciano a chiamarla “Onassis”, come il grande uomo d’affari greco. Un nome che lei non riesce nemmeno a pronunciare correttamente, suscitando l’ilarità dei nipoti, che pendono sempre dalle sue labbra. In compenso Betta sa far di conto a mente, senza l’ausilio di queste moderne mini-calcolatrici. Lei e Primo, sempre a braccetto, conseguiranno la licenza Media alle scuole serali. Perché l’istruzione è importante.

 

Negli ultimi anni proprio all’indomani delle piacevolissime serate passate a ballare, Benedetta accusa una forte sensazione di spossatezza. «Sarà l’invidia…», minimizza ogni volta. Anche perché ogni volta, dopo essersela passata, assicura di sentirsi meglio. Forse è solo l’autosuggestione ad aiutarla. Perché si tratta, invece, purtroppo, di qualcosa di molto peggio. Una grave ipertensione, troppo a lungo trascurata, proprio da lei, che si prendeva a cuore la salute di tutti, sfocia in una insufficienza che le sarà fatale.

 

Betta e Primo con i loro figli

 

Betta se ne va il 29 luglio 2025. Al funerale tutti i suoi nipoti e pronipoti le rendono omaggio leggendo una lettera di addio. Accomunati da un dolore e una commozione che non conoscono età. Dai quarant’anni di Elisa, la prima nipote a renderla nonna, fino ai dodici di Francesca e gli otto di Camilla, che, con la loro nascita l’hanno reso due volte bisnonna. Passando per Daniela, Beatrice, Carlo, Filippo, e, infine, Valeria. Tutti cresciuti insieme nella grande, unica e unita famiglia, a casa di nonna Betta.

 

Le scrivono: “…sei stata una guida, un esempio, un rifugio sicuro in cui ognuno di noi ha sempre trovato calore e amore. Ci hai insegnato tanto, senza mai pretendere nulla in cambio. Con i tuoi gesti semplici, le tue parole sagge, il tuo sorriso sincero, ci hai mostrato cosa significa amare davvero. Hai insegnato ai tuoi figli, ai tuoi nipoti e pronipoti che la famiglia è la cosa più preziosa che abbiamo. Che l’amicizia va coltivata con cura. Che ridere insieme è una medicina potente. E che ogni giorno è un dono, da vivere con leggerezza e con il cuore aperto. Hai riempito la nostra casa e le nostre vite di profumi, di risate, di storie che porteremo sempre con noi. Anche nei momenti più difficili, riuscivi a trovare il modo per farci sorridere, per farci sentire amati. Ma non possiamo ricordarti senza pensare alla tua energia contagiosa, alla gioia che provavi nel ballare con nonno, a ridere con gli amici e vivere ogni momento con entusiasmo… sappiamo che continuerai a vivere in noi, nei valori che ci hai trasmesso, nei gesti che ti abbiamo visto fare, nell’amore che ci hai insegnato a donare…”.

Daniela con i nonni il giorno della sua prima laurea

 

Una famiglia di sanitari

 

Accarezzando con lei i cavalli, che a Force sono sempre stati presenti e preziosi, o le mucche, nonno Primo ha trasmesso, senza saperlo, i primi rudimenti dell’osteopatia applicata agli animali alla nipote Daniela, quando era ancora una bambina. «I cavalli – mi diceva il nonno – quando stanno male mica possono dirtelo, ma tu, toccandoli, puoi scoprire l’origine dei loro mali».

 

Daniela, la seconda figlia di Nunzia, fisioterapista e osteopata, plurilaureata, come vedremo, nel 2017, è padrona della scienza che sa riconoscere i problemi del corpo solo con le mani, attraverso le quali riesce a sondare, esplorare ogni organo interno.

Daniela con i nonni il giorno del suo matrimonio con Riccardo

 

Ascoltando i respiri, interpretando ogni dolore periferico che spesso è segnale di sofferenze e patologie di natura interna diversa. In campo olistico o medico operano tanti discendenti di Betta d’R’pà e Primo d’ lu Bastardu.

 

Giuseppe, il figlio di Betta, è medico chirurgo veterinario, Elisa, la prima nipote, come estetista e massaggiatrice, ha a che fare anche lei con la cura del corpo. Fra le altre nipoti, Rosella è dottoressa in farmacia a Civitanova. Daniela ha tre lauree, in Scienze Motorie, Fisioterapia e Osteopatia. I nipoti Carlo e Filippo sono due medici anche loro. Il primo sta ultimando la specializzazione in Psichiatria. Il secondo sta per iniziarla in Ortopedia. I procugini di Primo, usciti dalla numerosa nidiata delle donne forcesi, Nazzareno e Gabriele Bassetti, sono due medici odontoiatri. Professione medica alla quale hanno avviato i rispettivi figli. Alessia e Maria Vittoria del primo, Federico ed Eleonora del secondo.

Nonna Betta con le nipoti Rosella e Daniela

 

Un comune denominatore che ha coinvolto, come detto, anche Nunzia e la secondogenita Daniela, con la quale ha molte affinità. La stessa generosità nel darsi agli altri, per prima. Ha frequentato le Magistrali come la mamma, indirizzo Scienze sociali, sotto-indirizzo Teatro. Percorsi comuni, non a caso. Undici anni di pallavolo nella Libero Volley e nel Monterocco, da attaccante in posto quattro, interrotti bruscamente per un serio infortunio a una spalla. Il dolore, l’inabilità, quel senso di fragilità e impotenza che la lunga riabilitazione alla Kynos, lentamente, attenua, fino, in pochi mesi, a vincere.

 

Il primo contatto, da paziente, con un pianeta che subito l’affascina. La fisioterapia. Quando uno di questi angeli della riabilitazione, Marco Bamonti, riesce a rimettere in piedi anche il padre dopo un brutto incidente che aveva fatto temere a lungo anche per la sua vita, Daniela vede ben delineata la sua strada. Tenta più volte l’ammissione ai corsi per le Professioni Sanitarie, che si rivela impresa ardua. Intanto, a Chieti, anche per accumulare esami validi e riconosciuti, si iscrive a Scienze Motorie all’Università “Gabriele D’Annunzio”. Per mantenersi fa l’istruttrice in alcune palestre, e, dopo la laurea, scopre una scuola privata di Osteopatia. Sei anni di studi a rette abbastanza salate.

 

Ma questa nuova professione sanitaria emergente, basata su una visione olistica complessiva, che attraverso le mani riesce a interconnettere corpo, spirito e mente dei pazienti, la intriga parecchio. I suoi appoggiano, come sempre, le sue scelte, in tutto e per tutto. Nel 2012 nella sua vita arriva Riccardo. È istruttore di boxe, e nonno Primo, grande appassionato, da Carnera fino a Benvenuti, di questo sport, stravede per lui.

 

Si sposeranno nel 2021. È proprio Riccardo a giocare un ruolo importante, insieme a Sara, compagna di studi di Daniela, nella preparazione ad un nuovo test di ingresso a Fisioterapia. Stavolta a L’Aquila. È un doppio successo, perché vengono ammesse entrambe. Daniela riesce a portare anche avanti, di pari passo, e brillantemente, negli anni successivi, i due corsi di studi. Non è facile. Per niente. Come se non bastasse, nel novembre del 2017, le due sessioni di laurea finiscono per accavallarsi nella stessa settimana. Daniela affronta il giovedì la prova pratica di Fisioterapia a L’Aquila, il venerdì quella pratica e teorica di Osteopatia a Pescara, e il sabato, è ancora a L’Aquila per la discussione della tesi. Due lauree in tre giorni. Probabilmente un record nazionale.

 

«Anche se quello in Osteopatia, in fondo, è solo un diploma – illustra Daniela Carfagnama comunque equiparabile, dopo sei anni di studi, ad un vero corso di laurea, per me vale di più. Perché guarda oltre. Il percorso di Fisioterapia, infatti, è più impostato. È fatto di regole e protocolli. Non mira, come l’Osteopatia, a ripristinare gli equilibri complessivi del corpo, ad affrontare, oltre ai disturbi muscolo-scheletrici, anche i suoi legami con problemi funzionali di organi interni. È molto più stimolante, e, professionalmente, più gratificante».

 

Quando hanno mostrato il video della sua laurea a nonna Betta, lei ha sorriso, orgogliosa. Ma a queste moderne scienze ha continuato sempre, però, a preferire i suoi massaggi fatti in casa con l’aceto. Alla ricerca, con le sue dita, dell’immancabile nervetto accavallato.

 

 

 

 

 

 

 


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