di Walter Luzi
Al bar Marconi di Ascoli, vecchio covo bianconero da sempre, c’è chi è venuto molto presto a prendere posto su una delle poche sedie sotto il gazebo esterno consacrato al calcio in tv. Gli altri sono rimasti fuori. Dentro, il bar è pieno. Ma tutte le partite a carte sono state sospese alle 14,30. Causa derby in tv.
Qualcuno più fortunato si è portato la sedia davanti alla vetrina, dove, anche da fuori, il maxischermo si vede bene. Ben coperti. Perché a queste teste pelate, o imbiancate per chi qualche pelo, in testa, ce l’ha ancora, anche una raffreddatura potrebbe portare malanni. Sono quelli che hanno memoria dei derby di una volta. Ma di comprarsi un biglietto per lo stadio hanno smesso da un pezzo, e la tessera del tifoso non sanno neanche cosa sia.
Al bar Marconi, da Caciola, in anni migliori sotto ogni aspetto, hanno potuto dare pacche sulle spalle al loro amatissimo presidente, Costantino Rozzi, e c’erano, loro, quando il “Processo del Lunedì” di Biscardi lo facevano, in diretta televisiva, proprio lì dentro. Si ricordano di Capelli “penna bianca”, di Campanini “faccia da gol”, e di quel difensore lungagnone arrivato dalla Roma, Mazzone, che hanno visto diventare, da ascolano di adozione, un mito del calcio italiano. Hanno ancora nelle orecchie le voci familiari di “Tutto il calcio minuto per minuto”, la domenica pomeriggio, e negli occhi le lacrime al funerale di Roberto Strulli.
Hanno visto cose che voi giovani ultras moderni a rischio daspo, non potete neanche immaginare. Le sputazzate contro i finestrini delle loro auto, quando di ritorno dalle trasferte ad Ancona o a Macerata, lungo l’Adriatica, al semaforo nel centro di San Benedetto, li aspettavano ogni volta le forche caudine rossoblù. O le sassate, nottetempo, alla stazione ferroviaria sambenedettese, contro il loro treno speciale carico di tifosi bianconeri, reduci dal big match al vertice perso a Parma. E le scazzottate al “Ballarin”. Che però finivano lì, confinate in una rivalità accesa, sospesa fra animosa goliardia ed esasperato folklore, ma senza odio cieco e suprematista.
Loro i vecchi tifosi come noi, se ne stanno seduti silenziosi, aspettando il calcio d’inizio. Sbuffano, ascoltando questo giovane telecronista che, come tutti i suoi colleghi contemporanei, anche più famosi, urla ogni volta, propinando esaltato sensazionalismo ad ogni costo. Che continua a pompare, ancora, a dismisura, come hanno fatto un po’ tutti nelle ultime settimane, questo derby che torna dopo quasi quarant’anni. Grondando retorica e luoghi comuni, aneddotica trita e ritrita, fino all’ultimo secondo utile della lunghissima attesa.
Il minuto di raccoglimento osservato dalle due squadre prima dell’inizio, per le tre giovani vite spezzate negli ultimi giorni nel Piceno, sarebbe l’unica cosa seria, e drammatica, da raccontare. Invece no. La banalità drogata del presente incombe. Con logiche perverse che sfuggono al buon senso. Come una città militarizzata, e uno schieramento imponente di forze dell’ordine, sovradimensionato, a vigilare sul nulla. E che senso ha quel settore intero chiuso alla tifoseria ospite, ma desolatamente vuoto, con tutta la richiesta di biglietti che non ha potuto essere soddisfatta per sold out dei posti disponibili? Misteri fitti questi, dopo la trasferta dei tifosi, anche giustamente, e meritatamente, negata in entrambe le direzioni.
È cominciato, intanto, il derby. In uno stadio glorioso, e monco di quella curva sud, chissà ancora fino a quando. Ennesima rappresentazione, pomposa e patinata, di un calcio moderno che non ci appartiene più. Fatto di giocattoli costosissimi senza più anima, di ingranaggi appesantititi e inquinati da troppi interessi incrociati e spesso opachi. “Il calcio moderno ci fa skifo”. Recitava uno striscione al “Del Duca” quando si cominciò a giocare ad ogni ora di ogni giorno della settimana. Non abbiamo mai smesso di condividere.
Si indispettiscono i vecchi tifosi del bar Marconi quando la lentezza della costruzione del gioco bianconero si fa eccessiva, o eccessivamente leziosa. Si vedono bei calcioni, più che bel calcio, prima che le fiammate ascolane di fine primo tempo cambino la storia della partita. Inveiscono anche contro l’arbitro, i vecchi tifosi del bar Marconi. Uno definito esperto, ma che parla troppo, e ammonisce troppo poco. E ridono delle stucchevoli pantomime delle chiamate Fvs, acronimo anglosassone che sta per Football Video Support, un Var di Serie C, moderna tecnologia di assistenza arbitrale che viene invocata dalle squadre contendenti anche per cambiare colore ai cartellini dell’arbitro. Sempre peggio.
Meglio tornare alla partita, dove le prodezze di questo Samuele Vitale, giovane portiere bianconero che sa giocare bene la palla anche con i piedi, salvano faccia e risultato, ma non possono fare il paio con i due legni colpiti dall’Ascoli. Soprattutto per quanto visto nella ripresa, giocata quasi tutta dalla Samb in dieci contro undici, senza soffrirne e senza arretrare. Per fortuna finisce in gloria.
Contava solo vincerlo questo derby. Non importa come. E si è vinto. Anche i vecchi tifosi hanno esultato al fischio finale, come ai bei tempi andati. Quelli delle doppiette sulla Samb di Giuliano Bertarelli e di Giovanni Quadri. Apoteosi autentiche quelle. Sì. E memorabili. Stavolta, invece, la fine sa un po’, come ogni fine, di liberazione. Si avviano verso casa rialzandosi i baveri dei giacconi i vecchi tifosi del bar Marconi.
Dallo stadio giungono ancora gli echi dei cori festanti della tifoseria bianconera ebbra di questa vittoria nel derby atteso per quarant’anni. “Vi vogliamo così!” intonano entusiasti. Uno dei vecchi tifosi bofonchia fra i denti e i colpi di tosse: “Così proprio no eh… Possiamo anche giocare un po’ meglio, la prossima volta…”.
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