di Walter Luzi
“Stay with P.P.C.!” Cominciò su queste note, quasi dieci anni fa, la grande avventura del Piceno Pop Chorus. Ottantacinque, a oggi, i componenti. La sua peculiarità principale sta proprio in questo, nelle dimensioni straordinarie del corpo corale. Una caratteristica comune a pochissime altre realtà a livello nazionale. Ugole potenti e grandi cuori. Che cantano per desiderio, e amore, di cantare.
Un progetto, un’idea diventata concreta e frizzante realtà, che stravolge il concetto tradizionale stesso, più serio, solenne ed austero, di coro, o corale che sia. Che suona, con tutto il dovuto rispetto, anche un pelino più noioso. Il Piceno Pop Chorus nasce da un’idea di Giorgia Cordoni e Pier Paolo Piccioni, in arte Petò.
Giorgia ha studiato canto al Saint Louis College of Music di Roma, lavorando soprattutto sulle armonie, e si è appassionata alla musica corale e gospel cantando in diversi gruppi. Oggi insegna al Cotton Lab annessa al Cotton Jazz Club con Emiliano D’Auria, figlio d’arte, insieme al quale ha avuto anche occasione di esibirsi. Lei sente l’esigenza di uno spazio esterno alle realtà scolastiche ove già opera, da aprire a tutti quelli che hanno il piacere di cantare, pur senza avere la minima idea di dove l’avrebbe portata questo progetto.
Luoghi fisici e organizzazione materiale che può fornirle Pier Paolo Piccioni, già inserito nelle sale di registrazione del Pio Istituto di Gesù. Petò risponde con entusiasmo e partorisce l’idea di uno spot di lancio sui social che avrà molto più successo, ed efficacia, del tradizionale passaparola. Stay with me la colonna sonora di un appello, Stay with P.P.C., a stare nel Piceno Pop Chorus. È uno spot che spacca.
Appuntamento, per chi ci sta, a dicembre 2016, negli studi di Musicandia, a viale Vellei. Arrivano in tantissimi per iniziare un percorso tutto da definire. Che non ha ancora programmi precisi, ma che si alimenta principalmente dalla grande passione che Giorgia riesce bene ad esternare. Con il suo desiderio di dare vita a una realtà aperta alla città. Costruire una opportunità per chi ama cantare pur senza averne le basi strutturate dagli studi, offrire la possibilità di poter esprimere una passione, e svilupparne le doti innate. In un coro pop. Che è cosa ben diversa dai cori classici, liturgici, o folcloristici. Che va a trattare il repertorio dei brani più popolari, che possono essere successi epici del passato, o del momento, ma, comunque, molto ben noti a tutti.

La maestra Giorgia Cordoni, il chitarrista Marco Piccioni, il beatboxer Misaele Saldari e due cantanti del PPC
L’appuntamento successivo è fissato per il 12 gennaio 2017, un giovedì post bagordi natalizi. Si presentano in trentacinque. È il nocciolo duro dei grandi padri fondatori del P.P.C. Gli unici a non essere stati selezionati per avere l’onore, e l’onere, di farne parte, dopo una prima, sommaria, suddivisione per tonalità di voce. Il primo step di prove dura sei mesi per preparare una prima scaletta di quattro brani.
«A ripensarci oggi – confessa la maestra Giorgia Cordoni – a cominciare dai miei arrangiamenti, eravamo di un livello qualitativo lontanissimo da quello che poi abbiamo raggiunto successivamente».
Il primo brano a cui mettono mano è Get lucky dei Daft Punk. Un pezzo dance, successo del momento, molto ballato e conosciuto. La prima ribalta che viene loro offerta è la Notte bianca ascolana dell’estate 2017. Il 10 agosto prima assoluta di esordio nella loro città, sulla scalinata di accesso al Teatro “Ventidio Basso”. Ma il repertorio, di solo quattro pezzi, che comprende, oltre a Get lucky, Fiori rosa fiori di pesco di Battisti, Gianna di Rino Gaetano, e un mashup creato dalla maestra Cordoni dal titolo Rapsodia del pompiere azzurro, è troppo esiguo. E la notte troppo lunga.
La performance si ripropone, quindi, in loop, intervallata da ripetute e brevi pause, ma ad ogni nuovo attacco gli spettatori aumentano sempre di più, fino a riempire, all’inverosimile, l’intera via del Trivio e straripando verso l’attiguo chiostro maggiore di San Francesco. Un successone. Amplificato dai social, e decretato dalle richieste di adesione, alla ripresa delle attività, il mese successivo.
II P.P.C. raddoppia, fino a settanta elementi, e prende coscienza della sua crescente popolarità. Ma anche dell’esigenza, a quel punto indispensabile, di porre un limite alle richieste di entrare a farne parte. Iniziano così le audizioni per la selezione di ingresso, mentre l’agenda degli impegni stagionali si va sempre più infittendo.
Sandro Avigliano è uno dei co-fondatori del P.P.C. Uno che calca palcoscenici e ribalte televisive da una vita, in varie vesti, e con lo stesso versatile talento. «Quello dell’alto numero di coristi – ci dice – è un’arma a doppio taglio. Quando ci spostiamo occorre almeno un pullman a due piani, e se dovessimo anche pernottare sarebbe un problema grosso. Infatti, cerchiamo sempre di evitarlo. Trovare da mangiare e dormire per 85 persone non è sempre facile».
In effetti i maligni sono convinti che sia stato proprio questo il vero motivo della meritata finale preclusa loro al talent show “Tu sì que vales” di tre anni fa. «Quella volta eravamo tutti belli carichi – ricorda Giorgia, la maestra – e tutti abbiamo sentito la stessa tensione. Uno stato emotivo condiviso che ha influito positivamente, in quella occasione, sulla qualità, davvero di alto livello, della nostra performance».
Il P.P.C. sbanca con un mashup degli Oblivion. Un mix con le parole di Fatti mandare dalla mamma di Gianni Morandi sulle note della prima parte di Bohemian rhapsody dei Queen. Una esperienza galvanizzante ma, che, paradossalmente, li penalizza proprio a causa del numero elevato di artisti impegnati.
«Ci alloggiarono a spese di Mediaset, e ci fecero tamponi anticovid a gogo – ricorda Chiara Allevi, un’altra delle co-fondatrici del gruppo musicale – in giuria c’erano Rudy Zerbi, Maria De Filippi, Teo Mammuccari e Gerry Scotti. Andò benissimo. Quattro sì su quattro dei giudici in studio, con il 93 % di gradimento del pubblico in sala. Gli autori del programma ci davano già in finalissima, che sarebbe però andata in diretta, e quindi saremmo dovuto rimanere lì a Roma da mercoledì fino al sabato. Ci stavamo già organizzando per prolungare le ferie con i nostri rispettivi lavori, quando, forse, dopo essersi fatti due conti, hanno visto che sarebbe costato troppo mantenerci tutti quanti in albergo per altri tre giorni, e ci hanno rimandato a casa».
Quella esperienza di livello nazionale non resterà l’unica. A Natale del 2017 per un minuto le loro voci vengono trasmesse addirittura in mondovisione, con la benedizione Urbi et Orbi di Papa Francesco. Intonano Happy Christmas – War is over di John Lennon. A L’Aquila, nell’estate del 2023, si esibiscono nel corso della rassegna I cantieri dell’immaginario. A gennaio 2024, diretti dal maestro Leonardo De Amicis, con Alex Britti e Stefano Di Battista partecipano, su Raiuno a La notte dei Miracoli. Sono ospiti canori a Miss Italia 2024, e partecipano, nell’estate dello stesso anno, al teatro “Parioli” di Roma, alla serata Sedotta e sclerata show condotta da Alessandro Greco.
Nelle ultime due edizioni si sono esibiti anche al Ruvo Coro Festival di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari. «A un certo punto – dice sempre la maestra Giorgia Cordoni – quando, con le prime apparizioni televisive abbiamo cominciato a varcare i confini locali, ci era balenata l’idea anche di cambiare il nome, che poteva suonare un po’ troppo provincialotto. Ma l’abbiamo scartata subito. Ci sembrava di tradire le nostre origini, le nostre radici, picene, appunto».
Il Piceno Pop Chorus di Ascoli è il terzo coro più numeroso d’Italia, il primo dell’intero centro-sud. Una settantina i concerti in otto anni di attività. Nell’ultima estate ben sei serate si sono concentrate dal 6 al 15 agosto. Fra il mare di Tortoreto e le montagne di Norcia. Un piccolo tour de force per dei volontari non retribuiti. Gli applausi della gente a ricompensarne piccoli e grandi sacrifici. Puglia e Liguria le location, fino ad oggi, più lontane e prestigiose. Tredici ore di pullman verso il Festival di Sanremo 2024. Un sabato intero di flash mob canori per le vie del centro, intasate di gente sotto la pioggia, ad animare la promozione della regione Marche nella giornata finale del Festival.
Secondo Monica Marchetti, un’altra delle coriste co-fondatrici, e Roberta Raimondi, arrivata otto mesi dopo, invece, è stata l’esibizione nel corso delle ultime festività agostane quella più emozionante. «Cantare nella nostra città – ci dicono – il 5 di agosto, Sant’Emidio, in una Piazza del Popolo piena di gente, è stato veramente da brividi».
Ma anche nella provincia più remota le sensazioni sono sempre forti. La folla che si addensa, colma ogni vuoto di piazze e strade, con lo scorrere dei pezzi in scaletta. Dai palcoscenici allestiti a gradoni solo per loro, la calca che cresce si vede bene, o, anche, al buio, si percepisce. A pompare altra adrenalina nelle vene. A Grottammare, piazza Kursaal non è bastata, e la gente ha trovato posto persino in spiaggia, pur di rimanere. Sorpresa, rapita, avvolta, come da un abbraccio caldo, rinfrancante, familiare. Fatto di sound che hanno segnato epoche. Musiche e testi che hanno fatto ballare e commuovere, e, forse, anche innamorare, generazioni intere.
Giornate da ricordare, e serate da dimenticare. Come tre anni fa a Porto d’Ascoli. Scalette della chiesa affacciata su una piazza, già troppo anguste per riuscire a contenere tutti gli elementi del Piceno Pop Chorus. Ritardo spaventoso accumulato rispetto ai tempi inizialmente previsti, dalle interminabili premiazioni di piccoli atleti. Performance sfregiata, su un pezzo, fra l’altro abbastanza intimista, di Lucio Dalla, prima da un sorvolo a bassa quota di un elicottero, e poi dalle sirene di una ambulanza. Quindi, fin quasi dall’attacco, in criminosa contemporanea, partono anche i fuochi artificiali fatti in casa. Loro, i coristi del P.P.C., che, molto professionalmente, e a sprezzo anche del pericolo, non interrompono la loro interpretazione. Fra i botti che esplodono poco sopra le loro teste, le puzze dei fumi e le ricadute di piccoli detriti intorno. Un incubo insomma. Da riderne per il resto della vita, dopo le abbondanti, liberatorie e irriferibili, imprecazioni del momento.
I professionisti, a parte il fuoriclasse Sandro Avigliano, sono solo tre. La maestra Giorgia Cordoni, il chitarrista Marco Piccioni, figlio d’arte, e Misaele Saldari, il beatboxer che cura tutta la parte ritmica su cui poggiano le varie sequenze canore. Ecco perché il loro coro non può definirsi a cappella, cioè senza ausilio di alcun strumento musicale. Il P.P.C. è diviso in cinque sezioni: i bassi, i tenori, i contralti, mezzosoprani e soprani raggruppati in posizioni definite. I coristi uomini sono in minoranza (non discriminata), uno ogni due donne, perché bassi e tenori sono, per natura, di sesso maschile.
Dentro, dai 25 anni di Silvia Ciarrocchi, ai 77 di Tommaso “Tommy” Pietropaolo c’è tutto un piccolo mondo. Coppie che non scoppiano, madri e figlie. Vi sbocciano amori, e altri appassiscono, come in ogni vita viva e vera. Tanti anche quelli che hanno mollato strada facendo. Per i motivi più svariati: studio, lavoro, sentimenti, scelte di vita, o, anche, più semplicemente, stanchezza. Sono, a oggi, una cinquantina, o giù di lì. Ma alla grande festa che si sta già preparando per il decennale ormai prossimo, saranno invitati anche loro, gli ex, che della grande famiglia del Piceno Pop Chorus non hanno mai smesso di fare parte.
I repertori non nascono democraticamente. Decide lei. La maestra. «La maggior parte delle scelte dei pezzi che finiranno nelle scalette degli spettacoli – ammette Giorgia – le faccio io. Per gusto, o per istinto. Butto giù l’arrangiamento dei pezzi dopo essermi confrontata con Marco e Misaele. All’interno del coro le mie scelte possono risultare più o meno popolari, ma tant’è».
Alcuni dei componenti del coro hanno anche altre deleghe. Troppo facile solo cantare. Incarichi operativi supplementari, con compiti che esulano dal lato prettamente artistico per rivestire anche altri ruoli: come tecnici, audio/luci/logistica, facchinaggio, commerciali, comunicazione, amministrativi. Gian Luigi Melchiorre è uno di questi. Alberto Crementi fa da addetto stampa, Maria Giulia Zeller è, invece, la social media manager.
Da qualche tempo ormai i candidati coristi del P.P.C. passano da una severa selezione di ingresso.
«Nelle audizioni – spiega sempre la maestra Giorgi Cordoni – oltre alle capacità canore, la praticità sulla ritmica, sondiamo anche la disponibilità dei candidati, perché oggi far parte del nostro coro è molto impegnativo. Per lo studio dei brani del repertorio attuale, molto più complessi, ma anche di quelli del passato, da dover padroneggiare, per mettersi alla pari degli altri componenti. Abbiamo bisogno di persone motivate – continua la maestra – che riescono a conservare l’entusiasmo iniziale anche quando si rendono conto del lavoro che li attende. Un impegno che va ben oltre le due o tre ore di prove a settimana e le trasferte per gli spettacoli. Resta chi è contento di restare, e grato, perché questo gli è stato concesso, come di essere accolti e avvolti nella nostra energia positiva, che travolge noi, e, di riflesso, riusciamo a trasmettere anche al pubblico che assiste ai nostri concerti».
«Per stare in un coro di ottanta persone – aggiunge Maria Giulia Zeller – non basta solo saper cantare. Sennò fai il solista. La dimensione umana è prevalente. Bisogna saper ascoltare, mettersi a disposizione degli altri. E farlo mentre canti, ma anche mentre non canti, e cantano gli altri. È la gioia di far parte di un gruppo, di ritrovarsi a cena insieme. Se non sposi la pluralità non va. Abbiamo conosciuto momenti di difficoltà, di confronto, anche difficili, come quello sotto Covid, ma abbiamo sempre tenuto botta mantenendo l’unità».
In un coro, insomma, non può esserci spazio per chi si sente un fenomeno. «In un coro la primadonna non può esistere – confermano Chiara e Maria Giulia – a chi è capitato di sentirsi tale se ne è andato da solo. Nessuno è stato mai cacciato. Il non saper accettarsi all’interno di un coro, come il non saper rinunciare a primeggiare, è un grosso limite che molto raramente si supera».
Le loro soste negli autogrill durante le trasferte diventano, quasi sempre, flash mob canori che lasciano a bocca aperta i fortunati testimoni occasionali del momento. Come è successo anche a Piazza di Spagna, in mezzo a frotte di turisti strabiliati nella notte romana. Cantano per il piacere di cantare, quelli del P.P.C., lo abbiamo detto. Dove e quando è relativo. Al freddo e al gelo più allucinante, o nella calura più opprimente, loro cantano. Aliti che diventano fumetti in prossimità dello zero termico, o magliette che si inzuppano subito, quando, neppure dopo il tramonto, l’aria si rinfresca.
D’estate i check sound nella canicola pomeridiana sono bagni di sudore. In inverno, invece, le notti gelide possono venire scaldate solo da un idoneo e provvidenziale aumento, di supporto, del tasso alcolico. A combattere il freddo aiutano anche le coreografie, i balletti, le mossette, il battere ritmato delle mani. Tutto quanto fa spettacolo. E tenere il tempo, in ottanta, è molto più complicato di quanto non sembri standoli a guardare, battendo, anche noi, per terra, senza neppure accorgercene, le suole delle scarpe.
Perché il P.P.C., moltiplicatore naturale di dopamina e serotonina, è formazione dinamica, non statica. Che, anche per questo, trascina, coinvolge, abbraccia, penetra. Perché l’energia che ognuno dei coristi trasmette al pubblico gli viene da dentro. E va oltre la performance, oltre gli spartiti, scritti ogni volta, diligentemente, dalla maestra con note, toni e testi che non tutti i suoi allievi stanno sempre a leggere.
Venti i brani, mediamente in scaletta, per ogni spettacolo. Un’ora e tre quarti filati, tutti di un fiato, di repertorio frizzante. Musica champagne. A starli a sentire, e a guardare, non ci si annoia mai. Gli immancabili applausi del pubblico sono per loro una sostanza eccitante. I cachet delle serate non sono destinati ad ingrassare i conti correnti di pochi, ma a sostenere le attività dell’associazione culturale, che è di tutti. Server audio luci, oneri di trasferta, e un palcoscenico multilivelli di 120 metri quadrati, sono le voci di passività in bilancio.
Il poco che avanza viene puntualmente reinvestito in associazione. Come? In incontri con professionisti di livello nazionale, seminari di aggiornamento con grandi artisti, stages tenuti da quelli più bravi. Perché? Per crescere, migliorare, sempre di più. E per continuare a stare insieme. Come in occasione delle rituali cene annuali. Ogni anno, infatti, subito dopo le feste natalizie, i componenti del coro si ritrovano in qualche locale riservato, per l’occasione, tutto per loro. Per la festa di compleanno del P.P.C.. Cene con brindisi e risate. Per un piacere di continuare a ritrovarsi, che, inusualmente, permane, nonostante il contatto costante, giocoforza, a cadenza settimanale, per le rituali prove del giovedì sera alla Bottega del Terzo Settore, durante tutto l’arco dell’anno.
Incontro conviviale total relax che prevede sempre la tradizionale sfida di canto in famiglia. Una spietata challenge fratricida, votata per gioco, ma senza sconti per nessuno. Tutti contro tutti, insomma, per una serata all’anno almeno. Per ridere, ancora una volta, insieme. È proprio questo, forse, il segreto del loro successo. Per far parte di questa isola felice Sandro Avigliano ha rinunciato, senza rimpianti, alla luce esclusiva dell’occhio di bue in ribalta. Quella riservata, tutta e soltanto, ai leader, ai frontman. Quando gli chiedono «Ma chi te lo fa fare?», lui risponde: «È semplice. Mi piace».
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