Il commosso addio a Roberto Renga: «È stato un esempio» (Foto)

ASCOLI - Una piccola folla ha accompagnato a piedi il feretro dopo la cerimonia funebre officiata da don Giansante. La sua chitarra, deposta sulla bara, è stata sepolta insieme a lui
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L’addio a Roberto Renga

 

di Walter Luzi

 

C’era tanta gente a salutare per l’ultima volta Roberto Renga. La piccola cappella del cimitero gremita come non capita spesso. Commossi in tanti, perché a lui, in tanti, volevano bene davvero.

 

 

Davanti alla bara, l’amata chitarra di Roberto

Un addio consumato nel perimetro di quelle poche centinaia di metri dentro il quale ha vissuto gli ultimi anni della sua breve vita. Fra quell’angolo del grande parcheggio del cimitero, dove aveva fermato la sua roulotte nel 2017, e la fossa scavata nella madre terra che ha idealmente abbracciato lui e la sua inseparabile chitarra. Dentro quella roulotte aveva vissuto con i pochissimi confort e il suo tantissimo amore. Per Laura, la sua compagna precocemente scomparsa proprio in quell’anno, e per i suoi amati cani, Molly, Mia, Ciro e Camilla. Aveva scelto di continuare a vivere, fisicamente, nel punto più vicino alla sua tomba, quindi a lei, che, lo sapeva già, non avrebbe mai potuto dimenticare.

 

 

Portandosi nel cuore la persona più bella e cara che gli era capitato di incontrare nella sua vita, e riversando tutto l’affetto straziato da quel lutto, sui suoi cani. La sua nuova famiglia allargata. Animali, sotto molti aspetti, più affettuosi e sensibili di troppi, cosiddetti, umani.

 

 

Roberto con la sorella Daniela

Roberto si portava dentro anche il peso di errori e amarezze del passato, ora alleviate dalla serenità ritrovata in quella solitudine voluta. Alla fine aveva convinto anche le sorelle, Meri e Daniela, la cui tenera vicinanza non è mai venuta meno, e Giulio, il fratello, che lui stava bene lì. Vicino a Laura. In quella roulotte che proprio loro gli avevano regalato. Era diventato così il custode della casa di tutti i morti. Non solo della tomba della sua compagna, che continuava a ricoprire di lettere e biglietti d’amore, ma di tutto il cimitero.

 

 

Roberto con la sorella Meri

Teneva in ordine, sistemava gli spazi, ripuliva i vialetti e persino gli annessi servizi igienici. Si metteva al servizio degli anziani che faticavano troppo ad arrivare ai loculi più alti con le scale. Disinteressatamente. Un sorriso e una buona parola con tutti. Presenza sempre discreta e rassicurante per i frequentatori più assidui del cimitero ascolano. Era diventata figura famigliare, degnissima di stima e rispetto. In molti, per sdebitarsi, gli portavano da mangiare, per lui e per i suoi amatissimi cani. Cercavano di ricompensare, con altrettanta generosità, la sua, cogliendone quella bontà, e dignità, che, al giorno d’oggi, si stenta a riconoscere in troppi altri. Era andato a mangiare alla mensa della Zarepta, poche volte, perché, diceva, in tanti altri ne avevano più bisogno di lui. Cercava, a volte, di raccattare qualche spicciolo in centro suonando la sua chitarra per la strada. Suonare gli piaceva. Dare fastidio, in qualsiasi maniera, oziare, o approfittarsi del prossimo, quello proprio no. Così come detestava la disonestà, e i troppi soldi. Soprattutto quelli facili.

 

 

Aveva potuto contare, finché è esistito, sul reddito di cittadinanza. La sopravvivenza negata a tanti poveri, irrisi, sempre più numerosi e sempre più poveri, da pochi ricchi sempre più ricchi. Aveva provato, invano, a trovarsi anche un lavoro, memore dei suoi trascorsi giovanili di cuoco in Germania, e aveva fatto una domanda senza speranza, per l’assegnazione di un alloggio popolare. Ma in fondo, intanto, era ben contento di restare dove voleva stare. Una sistemazione precaria, tollerata a stento dalle autorità locali, e per niente da branchi di bruti, senza cervello e senza cuore, sempre incollati, con le loro dita pelose, alle tastiere sui social media. Finché, da un circa anno a questa parte, aveva trovato una nuova possibilità, accolto per un tirocinio di inclusione sociale nella pensione canina “Scondizolandia”, a Venagrande, grazie alle encomiabili sorelle Irene e Costanza Matricardi. Lì, tra gli animali, era divenuto insostituibile, sempre pronto a dare una mano nella cura degli amici a quattro zampe che lì trovano ospitalità.

 

«Roberto è stato un esempio – ha detto don Giansante Lenti, il frate cappuccino cappellano della piccola chiesetta del cimitero, nella sua omelia – un modello, per l’amore dimostrato verso la sua famiglia e la sua sposa. Per stare vicino a lei si era fermato qui. Con il suo fare aperto, delicato, di cose buone e belle, il suo parlare semplice. A servizio di tutti. Esempio, ancora, di carità cristiana e fraterna. Che non può prescindere mai dalle gioie dell’amare, dal donare, dall’accogliere».

 

Il vecchio frate pesarese ha affidato Roberto alla infinita misericordia di Dio con semplicità, officiando senza chierichetti e concelebranti. I ragazzi della Funeraria lo hanno scortato con la partecipe tenerezza di cui solo loro sono capaci, attraverso i vialetti verso la zona più alta del cimitero ascolano. A piedi. Dietro, segue, muta, la piccola folla. Il silenzio rotto solo dallo scricchiolare del brecciolino sotto il peso dei tanti passi. C’è un bel sole. La sua chitarra, le sorelle, la fanno seppellire insieme a lui. L’avrà già a tracolla, Lassù, dove ha riabbracciato, finalmente, la sua Laura. I suoi cani, in attesa di una adozione che si meritano, e che non dovrà tardare, l’avranno, certamente, capito anche loro. Avranno smesso di guaire. E abbaiano ora, scodinzolando, al Cielo.


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