di Luca Capponi
Sospesi in una dimensione fantasmagorica. L’illusione è quella del volo. Oppure di chi si libra magistralmente sott’acqua. Artifici di un certo cinema degli albori. Invece siamo a teatro, dove giocare con gli occhi è anche più difficile. Quelli del Ventidio Basso, sabato e domenica, si sono spalancati su una Divina Commedia inedita; corpi che fluttuano, si rincorrono, brulicano e si incastrano a formare visi, composizioni, a sfidare la gravità. A ripercorrere la fuga dagli inferi, il passaggio al Purgatorio, l’ascesa verso il Paradiso.
Senza apparente gravità la Divina Commedia andata in scena al Ventidio
La doppia recita che ha aperto la stagione del Massimo, ultima creazione di Emiliano Pellisari e del NoGravity Theatre, ha stupito per forza e leggerezza. Il palco, grazie ad un sapiente lavoro di luci, scene e coreografie, è divenuto una specie di schermo sospeso, dove sei danzatori acrobati sono lo strumento di collegamento con una dimensione onirica eppure reale. Un’ora di musiche a tratti trascinanti a tratti mistiche, per uno spettacolo che colpisce e stordisce grazie all’alternanza di quadri che via via si compongono fino a scolpirsi nella memoria.
Senza dubbio un degno inizio per la stagione di prosa 2019/2020 voluta da Comune e Amat, che dopo questo appuntamento di natura più sperimentale torna il 22 e 23 ottobre con “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams, con Mariangela d’Abbraccio e Daniele Pecci diretti da Pier Luigi Pizzi.
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