di Salvatore Mastropietro
La notizia della morte di Kobe Bryant, leggenda del basket mondiale, ha sconvolto tutto il mondo dello sport. È stato un incidente occorso all’elicottero su cui viaggiava nei pressi di Los Angeles, la città in cui ha collezionato record su record, a portarlo via insieme alla figlia Gianna Maria (13 anni) ed altre tre persone. L’americano era noto anche ai non appassionati per via della spontanea simpatia che emanava la sua figura e della grande ammirazione che egli aveva per il nostro paese, in cui si recava spesso in visita memore dei propri ricordi infantili e adolescenziali. Il “Black Mamba” – così decise di autosoprannominarsi – visse, infatti, in Italia dal 1984 al 1991, al seguito di suo padre Joe, ex giocatore di basket con le maglie di Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggiana.
In pochi sanno che la carriera italiana di Joe Bryant prese le mosse proprio nel territorio piceno. Era il 1984 e la Sebastiani Rieti, allora militante nel campionato di A2, era alla ricerca di qualche americano in grado di fare la differenza. Si pensava di acquistare proprio Joe, ma il team manager Attilio Pasquetti ed il tecnico Nico Messina preferirono prima metterlo alla prova in un contesto diverso da quello americano in cui si era sempre confrontato. Inoltre su di lui pesava un giudizio non proprio positivo per via di un carattere un po’ troppo fumantino ed uno stile di gioco definito da “campetto”. L’occasione per testare le sue capacità capitò al “Circolo Maggioni” di San Benedetto del Tronto, dove era in programma il più classico dei tornei precampionato. Joe Bryant, sbarcato poco prima a Roma, fu immediatamente mandato in campo. Nonostante un’atmosfera a lui totalmente sconosciuta, incantò tutti fin da subito in una sfida contro Napoli con giocate da applausi che convinsero Rieti a tesserarlo. Pochi mesi dopo nel capoluogo reatino fu raggiunto anche dalla famiglia, tra cui il piccolo Kobe di sei anni.
Proprio quel bambino che, ignaro di tutto e con il suo papà come esempio da seguire, avrebbe iniziato da lì il suo percorso nel diventare uno dei più grandi di tutti i tempi. Di aneddoti riguardanti le sue esperienze scolastiche e sportive in giro per l’Italia ne sono pieni siti web e libri, proprio in questo giorno in cui a rileggerli scappa quasi un piccolo sorriso, insieme alla commozione e all’incredulità di chi, anche solo una volta, si è emozionato nel vederlo giocare. Kobe Bryant è stato un punto riferimento per grandi e piccini innamorati della pallacanestro, anche in un territorio come quello marchigiano che – da Pesaro a Fabriano, passando per Montegranaro e Porto San Giorgio (per citarne alcune) – ha fatto contribuito alla storia della palla a spicchi italiana. Ciò che è certo è che anche da lassù il suo esempio continuerà a guidare sportivi e non. E qualsiasi bambino, con una palla in mano ed il numero 8 o 24 sulla schiena (sono i numeri che hanno reso celebri Bryant), sognerà di potercela fare. Proprio come la leggenda Kobe ha sempre insegnato.
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