«Una indagine sbirresca» e il rien ne va plus alla banda delle rapine
SAN BENEDETTO - Hanno avuto ragione i metodi vecchia maniera messi in campo dagli uomini del Commissariato che hanno posto fine all'incubo dei supermercati. Gli elogi del loro "capo" Leo Sciamanna
«E’ stata una indagine sbirresca». Il vice questore Leo Sciamanna, da un paio di mesi a capo del Commissariato di Polizia di San Benedetto, a un certo punto della conferenza stampa – durante la quale ha raccontato dell’arresto dei tre rapinatori di supermercati (e di un latitante incappato nella rete tesa per la loro cattura) – ha trasformato questo insulto (“sbirro”) in un elogio per i suoi uomini.
Leo Sciamanna, dirigente del Commissariato di San Benedetto del Tronto
Sì, perché questa volta la tecnologia ha dovuto cedere il passo alle indagini condotte con il “metodo TP”, cioè… tacco e punta. Ovvero, la vecchia scuola degna di “guardie e ladri”, con le indagini che partono da una intuizione, da un frammento di memoria, da un indizio mai rimosso dai ricordi personali di agenti che del territorio, e di chi ci vive, hanno un archivio mentale che nessun microchip potrà mai vantare. Niente a che vedere con quanto mostrano film e telefilm nei quali l’eroe di turno schiaccia un pulsante sul computer e, tempo cinque secondi, ecco che sullo schermo appare il colpevole, con tanto di residenza e numero di scarpe.
Questa volta gli agenti del Commissariato di San Benedetto non avevano frammenti di immagini da cui ricavare indizi. Niente volti, niente auto in fuga, niente particolari rivelatori. Solo facce travisate di rapinatori che sembravano cambiare ogni volta (i tre arrestati erano infatti polivalenti e interscambiabili poiché chi entrava nei supermercati erano ogni volta due diversi, col terzo fuori ad aspettare col motore acceso). Invece, da altri particolari che nessun computer riuscirà mai a memorizzare e tirare fuori al momento giusto, ecco che da una postura, da un movimento ripetuto, da un accento, è scattato il ricordo, il frammento in uno degli uomini in divisa. Da lì, andando a istinto, intuizione e una grande professionalità, è partita un’attività investigativa vecchia maniera. Appostamenti, pedinamenti, osservazione dei sospetti. Insomma, tanta fatica e notti in attesa, aspettando che uno dei tre si tradisse. Quasi sicuramente l’anello debole della catena dei tre (ma forse sono in quattro, poiché le indagini proseguono) è stato Simone Pompei – una nostra ipotesi, poiché sul come hanno operato non trapela nulla dal Commissariato – e il suo dividersi tra casa dei genitori e l’abitazione della romena da cui ha avuto un figlio.
Una professionalità che Sciamanna rivendica per i suoi uomini: «Il merito è loro. Io sono arrivato da poco e ho trovato una squadra che ha una profonda conoscenza del territorio e di chi vi opera».Così, se volete capire come si è arrivati alla cattura dei tre rapinatori, non guardate film o telefilm del terzo millennio, ma rifatevi alle indagini raccontate sul piccolo o grande schermo nell’altro millennio, quando era l’uomo a scoprire il colpevole e non un’immagine o un frammento di Dna.