C’è chi è entrato alle 9 ed è uscito alle 23, ricoverato altrove per mancanza di posti. C’è anche chi si è fatto tutta la nottata nella stessa sala d’attesa. E per fortuna che le temperature non sono le stesse, proibitive, di qualche giorno fa. Ciò non toglie nulla, però, al disagio che deve spesso sopportare chi fruisce del pronto soccorso dell’ospedale “Mazzoni”. Al di là della retorica e del qualunquismo, le tante segnalazioni dell’utenza meritano la giusta attenzione.
Il monitor interno non rimanda il dato disponibile sui tempi medi di attesa, ma chi frequenta questi ambienti sa bene che possono protrarsi per ore, senza certezze. Il personale sanitario – medici, infermieri, Oss – lavora encomiabilmente senza sosta, spesso in condizioni di stress e sotto organico. Ma il sistema sembra non reggere più. I codici rossi, com’è giusto, hanno la precedenza. Ma per tutti gli altri, l’attesa può diventare un limbo. C’è chi fronteggia la cosa come può, chi si lamenta e chi scherza amaramente: «Conviene portarsi un letto e una tv, tanto si vive qui».
Il disagio non è solo fisico, ma anche psicologico. L’incertezza, la stanchezza, la mancanza di informazioni chiare esasperano i pazienti e i loro familiari. E nei giorni di caldo torrido, l’attesa può diventare un rischio per la salute, soprattutto per le persone più fragili. Il pronto soccorso dovrebbe essere un luogo di cura e di sollievo, non un banco di prova per la resistenza umana. Eppure, sempre più spesso, è proprio questo che diventa.
Lu. Ca.
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